n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE Partnership Chili e UCI LG: arriva l’OLED 4K Nikon D810 Decreto Il cinema non teme più Prezzo a partire Evoluzione ma Franceschini: l’Home Theater 06 da 7500 euro 07 non rivoluzione 23 vendere l’Italia (e gli italiani) un tanto al chilo Finalmente il decreto Franceschini di adeguamento dei compensi per copia privata è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Noi di DDAY. it, che amiamo la trasparenza, abbiamo rivelato tutte le cifre del decreto alcuni giorni prima della pubblicazione. Cifre che evidentemente il Ministero voleva tenere più riservate possibili prima della pubblicazione ufficiale per evitare che diventassero oggetto di dibattito pubblico. Un’operazione che con la trasparenza sbandierata dal Governo e dalla stessa SIAE non ha nulla a che spartire. La vicenda della copia privata – non ci sono dubbi - è torbida. Torbida – e l’abbiamo visto – nei meccanismi di determinazione dei compensi; torbida – e lo vedremo nei prossimi giorni – nei meccanismi di ridistribuzione, clamorosamente complicati e parcellizzati, tanto da rendere nella realtà non controllabile dall’esterno il fiume di soldi che arriva nelle casse della SIAE e da esse (solo in parte) riesce per tutti gli step di ridistribuzione successiva. Ora che il decreto e le sue tariffe impazzite diventeranno legge, è giusto interrogarsi sugli effetti delle nuove determinazioni. Impossibile fare una stima ragionevole di quale diventerà la raccolta SIAE per copia privata, e non perché non si possano fare previsioni sensate sul mercato di smartphone, tablet e hard disk. Ma perché, come abbiamo già ampiamente visto nel 2003 e poi nel 2009, moltiplicando le nuove tariffe per per i volumi di vendita non si otterrà la cifra che SIAE riuscirà a raccogliere. E questo perché in molti (sia consumatori che e rivenditori) semplicemente compreranno all’estero evitando di versare i compensi. I rivenditori meno propensi al rispetto delle regole (o con più “acqua alla gola”) compreranno all’esterno in evasione SIAE; in consumatori lo faranno senza evadere nulla, visto che è un loro diritto comprare all’estero all’interno della UE senza alcun ulteriore onere. Il succo: prezzi sui canali italiani “trasparenti” che inevitabilmente saliranno, spingendo i consumatori (più o meno consapevolmente) verso i rivenditori nostrani “torbidi” o semplicemente verso i rivenditori esteri, che non mancheranno di approfittarne potenziando pubblicità e presenza di siti in lingua italiana. Insomma, un danno che finirà per colpire soprattutto l’Italia, i nostri rivenditori onesti (e i loro dipendenti) e le filiali italiane delle multinazionali (e i loro dipendenti). Quanto ai consumatori meno attenti, questi finiranno per comprare, senza neppure saperlo, prodotti in adempimento SIAE, spendendo un po’ di più, e questo aiuterà (ma meno di quanto si spera) le casse della SIAE, che ha bisogno come il pane di aumentare la raccolta e allungare i tempi di ridistribuzione, in modo da sostenere con i proventi finanziari una gestione tipica che anche i bilanci ufficiali certificano come fallimentare. Non è “fantapolitica”. È solo la storia che si ripete, lo scrivevamo 12 anni fa, lo riscriviamo ora. Il compenso per copia privata negli anni scorsi è stato uno stimolo incredibile per insegnare ai consumatori a comperare CD e DVD all’estero, distruggendo il tessuto distributivo italiano, che infatti in quel settore è defunto. Oggi, né più né meno come le accise sulle sigarette, i compensi per copia privata saranno un nuovo stimolo al “contrabbando” di prodotti in evasione; oppure dreneranno denari freschi dalle tasche dei cittadini con il “vizio” della tecnologia (e magari nessun interesse per la musica o il cinema). Un provvedimento anti-italiano frutto solo dei poteri forti che non si fanno scrupolo di compromettere la nazione per interessi di parte. Parafrasando una canzone dei vecchi Genesis: “Vendere l’Italia un tanto al chilo…”. Gianfranco GIARDINA torna al sommario Copia Privata, tutte le nuove tariffe del decreto Franceschini DDAY.it rivela in anteprima le cifre dei nuovi compensi Raccolta raddoppiata e doppia imposizione TV-Hard Disk 02 Android L: Google pronta a domare tutti i dispositivi 08 La nuova versione di Android pronta a diventare il cuore dei TV e delle auto Con Android Wear sale la febbre degli Smartwatch 13/14 Presentati i nuovi tecno-gadget LG e Samsung con a bordo Android Wear Ford Focus Electric, guidare elettrico è un vero piacere Com’è guidare un’auto elettrica? Può sostituire una macchina tradizionale? Abbiamo passato due settimane con la Focus Electric e abbiamo scoperto che... 26 IN PROVA 28 LG G3 Sfida all’ultimo pixel 32 Panasonic AX800 Pronti a dimenticare il plasma? n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MERCATO Sono finalmente trapelate tutte le cifre complete delle nuove determinazioni dei compensi per Copia Privata Copia Privata, le tariffe del decreto Franceschini Il provvedimento pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo il 7 luglio. La stangata su TV, PC, smartphone, tablet e hard disk di Gianfranco GIARDINA iamo riusciti ad entrare in possesso, con alcuni giorni di anticipo sulla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (avvenuta lunedì 7 luglio) di una copia del decreto ministeriale firmato oramai più di quindici giorni fa dal Ministro Dario Franceschini riguardante l’adeguamento dei compensi per copia privata per il prossimo triennio. Pubblichiamo in anteprima tutte le cifre, una per una, delle nuove determinazioni. Si tratta, come ampiamente previsto, di un provvedimento che negli intendimenti degli ideatori dovrebbe portare a un forte aumento del prelievo in considerazione del fatto che sono state inserite ex novo delle categorie soggette, è stata fortemente aumentata l’imposizione sui prodotti di successo e le riduzioni hanno riguardato solo supporti e apparecchi in grande contrazione di mercato. Tra le altre cose vengono introdotti i compensi su alcuni componenti separati, come gli hard disk, con un’incidenza di circa il 30% del prezzo al pubblico del prodotto: ancora una volta è dimostrata l’impossibilità che questi compensi vengano assorbiti dall’industria, come Ministero, SIAE e Confindustria Cultura vorrebbero far credere. I compensi - come peraltro previsto dalla legge, ricadranno sul consumatore finale, finendo per essere addirittura aumentati da IVA e marginalità del canale distributivo. Infine, sono stati introdotti casi di doppia imposizione: si pagherà, tanto per fare un esempio, su TV con funzione PVR ma anche sugli Hard Disk e sulle chiavette USB senza le quali i TV non sono in grado di registrare. Ovviamente, il prelievo, come già successo nel 2003 e nel 2009, con i due più importanti adeguamenti del passato, potrebbe non portare il “raddoppio” sperato dagli aventi diritto: la storia ci insegna come uno dei risultati evidenti di questi aumenti, forte anche la sempre maggiore diffusione dell’e-commerce, sarà quello di indirizzare gli acquisti verso negozianti esteri o negozi italiani poco trasparenti, mettendo ancora più in ginocchio rivenditori e retailer italiani ligi alle regole, con effetti indiretti anche sul livello di occupazione e sul prelievo fiscale. Per chi non lo sapesse, la copia privata è il diritto che un consumatore ha di copiare un contenuto legittimamente acquistato (e quindi tassativamente non pirata) su altri dispositivi di sua proprietà. I contenuti copiati non possono essere ceduti a terzi a nessun titolo, anche non oneroso. Per poter avere questo diritto (che però è sempre più difficile esercitare perché può essere svolto solo nel rispetto delle misure di protezione anticopia), il consumatore è tenuto al pagamento di un compenso che grava su supporti e apparecchi. Per semplicità di gestione, il compenso è prelevato a monte e precisamente da chi importa o produce i prodotti assoggettati, che poi - nella stragrande maggioranza dei casi - carica quest’onere sulla filiera a valle (con incremento di IVA e margine del canale distributivo) fino ad arrivare al consumatore finale. Ecco in ordine di rilevanza la nuova determinazione dei compensi, finalmente nella sua formulazione completa. S torna al sommario Smartphone e Tablet Telefonini Il compenso precedente per gli smartphone era pari a 0,90 € a prescindere dalla capienza; sui tablet non c’era imposizione. Il compenso sugli smartphone viene quindi ora esteso ai tablet e viene aumentato secondo la seguente tabella. I cellulari tradizionali erano soggetti tanto quanto gli smartphone a un compenso di 0,90 €. Ora il compenso scende a 0,50 €. Inutile dire che le vendite di telefonini non smartphone stanno crollando. TELEFONINI SMARTPHONE E TABLET Compenso fisso a prescindere da potenza e prezzo 0.50 € MEMORIA COMPENSO fino a 8 GB 3,00 € Hard Disk da > 8 fino a 16 GB 4,00 € da >16 fino a 32 GB 4,80 € oltre 32 GB 5,20 € La situazione degli Hard Disk è fortemente mutata: con i vecchi compensi l’imposizione era solo per gli Hard Disk esterni (pari a 0,02 € per GB fino a 400 GB e 0,01 per GB sopra i 400 GB). Oggi l’applicabilità viene estesa a tutti gli Hard Disk esterni, anche senza case, ovverosia anche i componenti destinati per esempio a essere integrati in personal computer o NAS. I nuovi compensi porteranno un Hard Disk da 2 TB a un compenso di 20 €, circa il 30% del prezzo attuale al pubblico di questo prodotto. Quindi, a fronte di un’apparente riduzione dei compensi, l’estensione della fattispecie anche agli Hard Disk “nudi” eleva notevolmente la previsione di gettito da questa categoria. Televisori I TV senza hard disk non erano contemplati dal decreto precedente: SIAE aveva tentato di inserirli unilateralmente tra i prodotti soggetti equiparandoli a videoregistratori. Viene ora formalizzato e introdotto un compenso forfettario su tutti i TV dotati di funzione PVR pari a 4,00 €. Questo porta ovviamente a una doppia imposizione: si paga per il TV (che senza hard disk non può registrare nulla) e si paga anche per l’hard disk da collegare al TV. I TV con hard disk integrato sono invece tariffati secondo la capienza: vedi oltre per i compensi correlati. TELEVISORI TV con funzione PVR HARD DISK Compenso per GB 0,01 € Massimo applicabile 20 € 4,00 € Schede di memoria Computer Per i PC era previsto un compenso differenziato a seconda che ci fosse o meno il masterizzatore integrato: 2,40 € o 1,90 €. Ora che il masterizzatore è praticamente assente dalla maggior parte dei notebook, il compenso diventa fisso e più che raddoppia: Le schede di memoria erano e saranno assoggettate, anche con il nuovo decreto, in maniera uniforme, a prescindere dal fatto, per esempio, che alcuni formati oramai siano presenti solo sulle fotocamere. In particolare, le vecchie tariffe prevedevano un compenso di 0,05 € a GB fino a 5 GB da aumentare di 0,03 € per PERSONAL COMPUTER Compenso fisso a prescindere da potenza e prezzo 5,20 € segue a pagina 03 n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MERCATO Audio player Copia Privata, tutte le tariffe segue Da pagina 02 MAGAZINE Nel caso dei player portatili audio (come per esempio gli iPod) o dei sistemi Hi-Fi con memoria integrata, le tariffe sono rimaste identiche. Eccole nel dettaglio: ogni GB successivo ai 5 GB. Le tariffe ora aumentano sensibilmente come di seguito riportato: SCHEDE DI MEMORIA CAPACITÀ COMPENSO 0,64 € 0€ da >128 MB fno a 512 MB 2,21 € 0,09 € da >512 MB fno a 1 GB 3,22 € da >1 GB fino a 5 GB 5,15 € da >5 GB fno a 10 GB 6,44 € fino a 40 GB 6,44 € da >10 GB fno a 15 GB 7,33 € da >40 GB fino a 80 GB 9,66 € da >15 GB fno a 20 GB 9,66 € da >80GB fino a 120 GB 12,88 € 12,88 € da >120 GB fino a 160 GB 16,10 € da >160 GB fino a 250 GB 22,54 € COMPENSO PER GB fino a 32 MB >32 MB fino a 1 GB 0,09 € Massimo applicabile 5,00 € Chiavette USB Le chiavette USB restano quasi ai medesimi livelli, salvo un piccolo aumento (sopra i 4 GB era 0,09 € a GB). La tariffa diventa praticamente uniforme a 0,10 € a GB, secondo la seguente tabella: CHIAVETTE USB CAPIENZA COMPENSO PER GB fino a 256 MB 0€ >256 MB fino a 1 GB 0,10 € per ogni GB successivo al primo 0,10 € Massimo applicabile 9,00 € da >20 GB in su Personal Video player Anche nel caso dei Personal Video Player (come per esempio gli iPod Touch) le tariffe dei compensi per copia privata sono rimaste immutate. Eccole nel dettaglio: PERSONAL VIDEO PLAYER CAPIENZA COMPENSO fino a 1 GB 3,22 € da >1 GB fino a 5 GB 3,86 € da >5 GB fno a 10 GB 4,51 € da >10 GB fino a 20 GB 5,15 € Supporti vergini da >20 GB fino a 40 GB 6,44 € Nel caso dei supporti, ci sono state alcune conferme e alcune revisioni, generalmente verso il basso. Peraltro è noto che il ricorso alla masterizzazione è oramai pratica residuale e in via di abbandono, con conseguente quasi sparizione degli acquisti di supporti, se non per usi professionali. Paradossale poi osservare come siano ancora contemplati supporti dei tutto scomparsi dal mercato e della cui sparizione evidentemente il Ministero non è informato. I compensi sono rivisti come da tabella seguente. da >40 GB fino a 80 GB 9,66 € SUPPORTI VERGINI TIPO VECCHIO COMPENSO NUOVO COMPENSO Audiocassette 0,23 € per ora di reg. 0,23 € per ora di reg. VHS 0,25 € per ora di reg. 0,10 € per ora di reg. 0,22 € per ora di reg 0,22 € per ora di reg. CD-R/RW Audio e Minidisc CD-R/RW dati D-VHS 0,15 € ogni 700 MB 0,10 € ogni 700 MB 0,29 € per ora di reg. 0,22 per ora di reg. 0,41 € ogni 4,7 GB 0,20 ogni 4,7 GB Blu-ray Disc R/RE 0,41 € ogni 25 GB 0,20 ogni 25 GB DVD-R/+R/ RAM/-RW/+RW torna al sommario Questa voce integra tutti gli apparecchi audio video che integrano un Hard Disk, come anche i TV: ovviamente nel caso dei TV, questa imposizione esclude quella relativa ai TV con funzione PVR ma senza Hard Disk. Le tariffe in questo caso sono rimaste immutate rispetto a prima, e precisamente: fino a 128 MB CAPIENZA per ogni GB successivo al primo AUDIO PLAYER Memoria o Hard Disk integrati in VCR, Decoder o TV da >80 GB fino a 120 GB 12,88 € da >120 GB fino a 160 GB 16,10 € da >160 GB fino a 250 GB 22,54 € da >250 GB fino a 400 GB 28,98 € da >400 GB in su 32,20 € MEMORIA O HARD DISK IN VCR, DECODER O TV CAPACITÀ COMPENSO da >250 GB fino a <400 GB 28,98 € da 400 GB in su 32,20 € Registratori e masterizzatori La situazione è immutata: masterizzatori e registratori audio o video pagano il 5% del prezzo di vendita di chi importa. Nel caso di prodotti polivalenti, il compenso viene calcolato come 5% del prezzo di prodotto non polivalente con analoghe funzionalità di registrazione. Altri apparecchi con memoria o Hard Disk Eventuali altri apparecchi contenenti memoria a stato solido o Hard Disk e dotati di funzioni di registrazione e riproduzione audio-video sono tariffati secondo la capienza e non hanno subìto cambiamenti rispetto al recente passato. Precisamente: ALTRI APPARECCHI CON MEMORIA O HARD DISK CAPACITÀ COMPENSO fino a 256 MB 0,54 € Hard Disk esterno con uscite audio video da >256 MB fino a 384 MB 0,97 € Gli Hard Disk multimediali sono sempre più rari sul mercato. Le tariffe restano immutate rispetto a prima. Eccole nel dettaglio: da >384 MB fino a 512 MB 1,29 € da >512MB fino a 1 GB 1,61 € da >1 GB fino a 5 GB 1,93 € da >5 GB fino a 10 GB 2,25 € COMPENSO da >10 GB fino a 20 GB 2,58 € fino a 80 GB 4,51 € da >20 GB fino a 40 GB 3,22 € da >80GB fino a 120 GB 6,44 € da >40 GB fino a 80 GB 4,83 € da >120 GB fino a 160 GB 7,73 € da >80 GB fino a 120 GB 6,44 € da >160 GB fino a 250 GB 10,42 € da >120 GB fino a 160 GB 8,05 € da >250 GB fino a <400 GB 12,88 € da >160 GB fino a 250 GB 11,27 € da 400 GB in su 14,81 € da >250 GB fino a 400 GB 14,49 € da >400 GB in su 16,10 € HARD DISK CON USCITE A/V CAPACITÀ n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MERCATO Il decreto ministeriale che ha aumentato i compensi per copia privata muove le acque La copia privata ha spaccato Confindustria Confindustria Digitale convoca una conferenza stampa contro gli aumenti dei compensi Confindustria Cultura risponde a distanza difendendo gli aumenti. Si attendono ricorsi di Gianfranco GIARDINA I l decreto ministeriale con il quale Dario Franceschini ha aggiornato (in aumento) i compensi per copia privata scuote i palazzi. Da un lato c’è Confindustria Digitale che, per voce del Presidente Elio Catania, ha convocato una conferenza stampa per chiedere la revisione completa della disciplina della copia privata, non più al passo con i tempi; dall’altro lato c’è Confindustria Cultura, il cui Presidente Marco Polillo appoggia la firma del decreto considerando l’impianto della copia privata come il migliore possibile. Il tutto nello stesso giorno. Voci contro, quindi, anche solo dentro a Confindustria, per tacere di tutte le altre più scontate contrapposizioni, consumatori da un lato e percettori dei compensi dall’altro. La tesi di Confindustria Digitale (che associa i produttori di elettronica) è quella che di fatto si vuole configurare il compenso per copia privata come un sussidio da un’industria, quella del digitale, a un’altra, quella dei contenuti. Questo è vieppiù vero - dicono le aziende - se il compenso dovesse essere assorbito tout court dall’industria, come prospettato dal Ministro e da SIAE nei propri comunicati stampa; cosa che però - premettono in Confindustria digitale - è impossibile, dati i prezzi in costante caduta libera, il mercato stagnante e la marginalità che oramai è ridotta ai minimi termini. Quindi - chiarisce Catania con certezza - non c’è alcun dubbio che l’applicazione dei nuovi compensi avrà un impatto sulla dinamica dei prezzi. Confindustria Cultura definisce, invece, il compenso per copia privata come “una giusta retribuzione del diritto Elio Catania, Presidente di Confindustria Digitale torna al sommario ANITEC contro Franceschini: “Provvedimento che chiude la porta al futuro” ANITEC esprime amarezza e disappunto per il provvedimento del Ministero dei Beni Culturali che innalza l’equo compenso d’autore”. Confindustria Digitale risponde che, secondo proprie stime, la raccolta di compensi per copia privata, con le nuove determinazioni del Ministero, passerebbe in Italia dai circa 65 milioni del 2013 a quasi 160 milioni di euro (su una raccolta totale di diritti d’autore da parte di SIAE di 600 milioni), finendo per rappresentare una parte tutt’altro che marginale e “residuale” dell’assetto del diritto d’autore, come invece prescriverebbe la direttiva UE: vero, a patto che la stima, fatta sui nuovi compensi che non sono ancora stati comunicati (almeno ai cittadini), sia corretta. Confindustria Cultura da parte sua scende anche in campo in difesa della SIAE, sostenendo che la società degli autori ed editori avrebbe solo incarico di raccogliere “ma l’intera somma viene poi ripartita agli aventi diritto”, cosa quantomeno imprecisa, visto che la SIAE (e le altre associazioni a valle) trattengono quote non trascurabili come “rimborso spese”. Confindustria Digitale sottolinea con forza come i nuovi compensi non siano affatto di freno alla diffusione della tecnologia; Confindustria Digitale ribatte con le tabelle con tutti i compensi relativi a tablet, smartphone e PC per dimostrare che in almeno 10 nazioni (tra quelle che prevedono la copia privata) i compensi su questi prodotti sono a zero e che di conseguenza le medie europee sarebbero nettamente inferiori ai livelli di imposizione attuali in Italia. La copia privata è fonte di forti conflitti anche fuori dai nostri confini nazionali: è di questi giorni la notizia del pronunciamento da parte del Consiglio di Stato francese che per la sesta volta ha sospeso le correnti tariffe dei compensi per copia privata, anche con un valore retroattivo (le aziende potranno chiedere dei rimborsi di quanto pagato); malgrado ciò Copie France, Marco Polillo, Presidente di Confindustria Cultura l’ente che stabilisce i compensi, ha nel frattempo rideterminato gli stessi per superare la delibera cassata dal Consiglio di Stato, riaprendo i giochi e provocando un nuovo ricorso da parte dell’Industria. Tutto ciò, appunto, in Francia che è sempre presa come esempio principale dagli aventi diritto visti i livelli di compensi esorbitanti previsti in questo Paese: i cugini d’Oltralpe contribuiscono all’intera raccolta europea di compensi per copia privata con oltre 200 milioni di euro e un’incidenza da soli intorno al 25%-30% del totale continentale. Insomma, l’attuale disciplina della copia privata sembra tutt’altro che assestata e condivisa e una revisione dovrà comunque essere fatta al più presto (se ne sta discutendo tra l’altro in sede europea). Altrimenti il futuro sarà fatto di ricorsi incrociati e tribunali, a vantaggio degli avvocati e tutto a danno di due figure: i consumatori, che pagano, e gli aventi diritto che non ricevono dato che i fondi restano bloccati in attesa di sentenza o al massimo distribuiti con riserva, con costose fideussioni richieste dalle collecting society. di Paolo CENTOFANTI Grande delusione da parte di ANITEC, l’Associazione Nazionale Industrie Informatica, Telecomunicazioni ed Elettronica di Consumo, per il provvedimento del Ministro dei Beni Culturali con cui si dà il via libera al “nuovo” equo compenso, il cui adeguamento include anche smartphone e tablet. Disappunto oltre che per la sostanza anche per la forma, come sottolinea il Presidente del gruppo elettronica di consumo di ANITEC, Lamperti: “Volevamo attendere qualche giorno, affinché il testo del provvedimento fosse noto, prima di esprimere un giudizio, ma rileviamo che ad oggi non è ancora, incomprensibilmente e poco trasparentemente, stato reso disponibile”. Come ricorderete il Ministro Franceschini ha annunciato la firma del decreto via social network nel dopo partita dell’Italia ai Mondiali. Lamperti, che è anche Vice Presidente di ANITEC, non risparmia critiche nel merito del provvedimento: “l’aggiornamento di cui abbiamo notizia non tiene conto né dei risultati evidenziati dallo studio commissionato dal Mibact stesso, né del principio di una legge che, per quanto desueta, lega comunque l’equo compenso alla capacità di registrazione sul dispositivo di contenuti protetti da diritto d’autore”. Agli occhi di ANITEC, e non solo, rimane intatto il peccato originale della legislazione sull’equo compenso per copia privata, cioè il fatto che si tratta di un “balzello sulle intenzioni” che colpisce tutti, nonostante solo il 13% di utenti effettua davvero una copia privata su smartphone e tablet. Clicca qui per leggere il comunicato di ANITEC. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MERCATO La tecnologia potrà essere integrata a breve in Google Play Music e YouTube Google compra Songza per musica su misura Il servizio è nato per fornire playlist musicali basate sui propri gusti e sullo stato d’animo di Emanuele VILLA oogle ha annunciato l’acquisto del servizio di streaming musicale Songza per una cifra non comunicata ma che dovrebbe aggirarsi (secondo il New York Times) intorno ai 39 milioni di dollari. Lungi dall’avere la medesima portata dall’acquisizione di Beats da parte di Apple, la mossa strategica di Google è volta a migliorare il proprio servizio musicale (Google Play Music), ma anche a fornire una risposta chiara a Apple, che sicuramente sta studiando interessanti sinergie tra il proprio colosso iTunes e il neo-acquisito Beats Music. La tecnologia alla base di Songza, che resterà ancora a lungo un’app indipendente, potrà essere impiegata sia in Google Play Music che in YouTube per l’ascolto di playlist personalizzate che si avvicinino ai gusti dell’utente: molti commentatori d’oltreoceano fanno no- G tare come Google disponga già di una tecnologia di auto-apprendimento dei gusti dell’utente, ma d’altronde Songza funziona in modo diverso poiché le sue playlist, basate sui gusti, sensazioni, stati d’animo, momenti della giornata e via dicendo, sono realizzate da persone in carne e ossa. In tal senso, Songza ricorda Pandora e non si dif- ferenza poi tanto da Beats Music, che può disporre di un team di musicisti ed esperti per realizzare le playlist pubblicate nel proprio servizio. Qualche mese e scopriremo come il servizio di Songza, che per inciso ha riscosso un notevole successo tra gli appassionati, verrà integrato nell’ampio catalogo di servizi di Big G. Microsoft e Canon insieme per il Lumia PureView? Microsoft e Canon annunciano la stretta di un accordo incrociato per i rispettivi brevetti Nel comunicato si parla di nuovi dispositivi mobile e si pensa agli smartphone ex Nokia I di Paolo CENTOFANTI torna al sommario Dopo la separazione da Sony, Vaio Corporation ha lanciato i primi computer (Vaio Fit e Vaio Pro) sul mercato giapponese. Nonostante il brand Sony sia sparito, l’azienda assicura che il DNA Vaio è sempre lui di Emanuele VILLA MERCATO Non sono chiare le intenzioni di Canon e a quali tecnologie Microsoft è interessata prossimi smartphone Lumia con fotocamera PureView potrebbero avere dentro ottica o tecnologia Canon? Dopo l’accordo annunciato da Microsoft e il produttore giapponese è sicuramente possibile. Le due aziende hanno, infatti, siglato un accordo incrociato di licenza per l’accesso al reciproco catalogo di brevetti accumulati negli anni. I dettagli dell’accordo non sono stati ancora resi noti, ma Microsoft parla esplicitamente di “certi prodotti di digital imaging e dispositivi consumer mobile”, per cui è lecito pensare subito agli smartphone e in casa Microsoft questo vuol dire gamma Lumia dopo l’acquisizione della relativa divisione di Nokia. Meno chiare, invece, sono le intenzioni di Canon e soprattutto a quali particolari tecnologie Microsoft potrebbe essere interessata nello speci- Vaio torna sul mercato Sony non c’è più fico. Certamente sono tanti i prodotti Canon che si appoggiano alla piattaforma Windows, ma in questo caso si parla di via libera per un’integrazione decisamente più profonda. È improbabile pensare a un sistema di ripresa con sistema operativo Windows (mobile o meno), mentre è una strada già percorsa dalla concorrente Nikon quella della produzione di una fotocamera con sistema operativo Android, ed è noto che Microsoft ha imposto accordi di licenza a molti produttori di dispositivi che integrano il sistema operativo mobile di Google; non è da escludere, quindi, che ciò possa rientrare nei termini degli accordi stretti con Canon. Mesi fa Sony diede l’annuncio della vendita della propria divisione Vaio a un fondo d’investimenti giapponese (Japan Industrial Partners), annuncio che segnò l’allontanamento dell’azienda dal mondo del PC. Motivi ovvii: divisione troppo grossa per la domanda e necessità di concentrare al massimo gli sforzi sui mercati trainanti, ovvero smartphone e tablet. La cosa curiosa è che da quel giorno, dei PC Vaio si sono perse le tracce. Fino a quando la neonata Vaio Corporation ha iniziato a distribuire Vaio Fit e Vaio Pro in Giappone. Tristemente (ma in modo del tutto logico), il logo Sony è scomparso, al suo posto il brand Vaio rappresenta sia la linea di prodotto, sia il produttore stesso. L’unico “resto del tempo che fu” è online: al momento, infatti, i PC Vaio vengono venduti in Giappone tramite il Sony Store. Come da previsione, al momento si tratta di un “affare” tutto giapponese e con poche possibilità di estensione ad altre parti del mondo, quanto meno nel breve periodo: la stessa azienda ha annunciato un forte ridimensionamento rispetto al “periodo Sony”, con un massimo di 240 impiegati e operazioni al momento limitate al mercato domestico. Ma il DNA Vaio non si tocca. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE ENTERTAINMENT Un accordo di portata storica: il cinema non ha più paura dell’Home Theater Divertimento continuo dalla sala al salotto Chili e UCI annunciano una partnership strategica che porterà diverse promozioni congiunte di Gianfranco GIARDINA ade una barricata. Quella che da sempre separa il mondo degli esercenti cinematografici da quello dell’home entertainment che, fino a oggi, a torto o a ragione, si sono sempre sentiti in concorrenza. È stato comunicato, infatti, un accordo che, per il settore, ha una portata storica e che non ha molti precedenti neppure all’estero: UCI Cinemas, una delle principali catene di sale cinematografiche, ha stretto un accordo di partnership a lungo termine con Chili, la videoteca online. In forza di questo accordo, sin dai prossimi mesi assisteremo a una serie di attività congiunte con l’intento di creare una sorta di continuum tra l’intrattenimento in sala cinematografica e quello a casa. Il target è chiaro: gli appassionati di cinema. Una passione quella per i film che non può essere confinata a una o all’altra modalità di fruizione. Gli intervenuti alla conferenza stampa hanno sottolineato che si andrà al di là delle semplici attività di comunicazione congiunta (come gli spot Chili prima della proiezione del film al cinema, cosa già vista): la nuova partnership annunciata da Stefano Parisi (presidente di Chili) e Andrea Stratta (amministratore delegato di UCI) permetterà ai due gruppi di allestire C MERCATO Pioneer vende la divisione audio/video Pioneer perde un altro pezzo: arriva la notizia della vendita della divisione audio/video al fondo Baring Private Equity Asia (Hong Kong) e a Onkyo Corporation. Il fondo cinese deterrà il controllo di Pioneer Home Electronic con il 51% (società che era già stata separata da Pioneer), mentre i tre player della partita (Pioneer, Onkyo e Baring) decideranno come dividersi il restante 49%. L’accordo è in via di definizione anche se la chiusura è data per imminente, con l’affare che verrà chiuso alla fine di agosto. Sia Onkyo che Pioneer manterranno la loro identità nel mercato dell’audio/video, anche se verranno unite le forze per brevetti, ricerca, sviluppo e produzione. torna al sommario Diritti calcio serie A: molto rumore per nulla Raggiunto l’accordo in Lega Calcio per i diritti TV delle stagioni 2015-2018: dopo diffide e controdiffide, non cambia nulla. Sky e Mediaset sempre protagoniste di Roberto FAGGIANO L’annuncio è stato dato da Stefano Parisi, presidente di Chili, e Andrea Stratta, amministratore delegato di UCI Cinemas. delle offerte innovative: per esempio andando a vedere in sala l’ultimo film di un regista, si potranno ottenere sconti e promozioni sul noleggio virtuale o sull’acquisto di tutti i suoi vecchi film, ovviamente sulla piattaforma di streaming di Chili. Già adesso, inoltre, è possibile acquistare nei foyer dei cinema UCI le carte prepagate di Chili, che permettono quindi di vedere film in streaming senza dover inserire alcun dato relativo a carte di credito o Paypal. Ma gli sviluppi futuri possibili sono probabilmente la cosa più interessante: sarebbe interessante, per esempio, poter acquistare direttamente al cinema, ovviamente dopo la visione del film, l’upgrade per la visione del medesimo film anche in streaming (non appena disponibile in VOD), magari per condividere l’esperienza con il resto della famiglia non presente in sala; il tutto - si spera - a un prezzo ben inferiore della somma dei due “biglietti”, quello del cinema e quello del noleggio online. E il fatto che sia Parisi che Stratta hanno sottolineato che la partnership (in esclusiva) è a lungo termine e non un “mordi e fuggi”, fa sperare bene per l’ideazione di nuove e interessanti promozioni “cross-piattaforma”. A questo punto, la palla passa ai responsabili marketing, la cui fantasia può essere l’unico limite. MERCATO Riciclaggio valido per un nuovo iPhone o iPad Permuta iPhone anche in Italia Dal 30 giugno Apple valuta l’usato di Paolo CENTOFANTI A pple ha attivato anche in Italia il programma di riuso e riciclo per iPhone e iPad che consente di avere una valutazione sul proprio usato per l’acquisto di un nuovo dispositivo presso gli Apple Store. Per avere una valutazione del proprio iPhone o iPad usato, basta recarsi in un Apple Store oppure compilare le apposite voci sullo store online, all’indirizzo http://store.apple.com/it/browse/reuse_and_recycle. La valutazione dipende naturalmente dalle condizioni del dispositivo: eventuali danni esterni, danneggiamento da liquido, software già ripristinato, presenza o meno del caricabatterie originale, integrità del display touch, ecc. In caso di dispositivo in condizioni perfette, la valutazione può arrivare fino a 342 euro per gli iPad più recenti. Presso gli Apple Store la valutazione viene effettuata al momento in negozio e l’utente può decidere se accettare il prezzo offerto e quindi utilizzarlo come sconto per l’acquisto di un nuovo modello di iPhone o iPad. È possibile riciclare un iPhone per acquistare un iPad e viceversa naturalmente. Utlizzando la procedura online, invece, è possibile organizzare il ritiro del proprio dispositivo e la cifra stabilita verrà versata all’utente tramite un bonifico. Gli sportivi italiani in pantofole possono stare tranquilli: anche le prossime tre stagioni calcistiche saranno disponibili in TV con le stesse modalità attuali. Sky avrà l’esclusiva sul satellite per tutte le partite, mentre Mediaset diffonderà sul digitale terrestre tutte le gare delle migliori otto squadre del campionato. In Lega Calcio hanno scelto di rinunciare a qualche decina di milioni pur di non turbare l’attuale situazione: in pratica, sono state accettate le offerte di Sky e Mediaset, anche se non erano le più vantaggiose, nei rispettivi pacchetti in palio. Risultano, invece, non assegnati i diritti per il web, dato che nessuno ha presentato delle offerte, e anche le immagini degli spogliatoi prima delle partite perché l’offerta di Sky è risultata insufficiente. La Lega incasserà circa 945 milioni di euro contro gli 1,1 miliardi disponibili se fossero state scelte le migliori offerte; Sky sborserà 572 milioni di euro per 132 partite in esclusiva, Mediaset verserà invece 373 milioni. Ricordiamo che tutto questo è riferito alle stagioni dal campionato 2015-2016, quindi c’è tutto il tempo per cambiamenti in corsa con mediazioni tra i due colossi delle pay-tv. In particolare Sky potrebbe offrire qualcosa a Mediaset pur di non perdere le partite di Champions League sempre dalla stagione 2015/16 e non è ancora chiaro a cosa serviranno i canali DTT affittati da Sky: estensioni dei pacchetti a pagamento usufruibili dal nuovo MySky in DVB-T2 oppure nuovi canali in chiaro oltre a Cielo e all’imminente Sky TG24? n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE TV E VIDEO LG UK ha ufficializzato il lancio dei TV OLED 4K: arriveranno in Europa dopo l’IFA L’OLED 4K LG arriva in autunno a 7500 euro I prezzi vanno dalle 6.000 sterline per il 65” alle 20.000 sterline per il 77” visto a Las Vegas Verranno chiuse a novembre le fabbriche di plasma Samsung Per ora si producono solo modelli base a basso costo, ma non arriveranno in Italia Si chiude un’era del TV a schermo piatto di Roberto PEZZALI I TV OLED 4K presentati da LG al CES di Las Vegas arriveranno in Europa dopo l’IFA. LG Italia ci aveva confermato l’arrivo dei due modelli da 65” e 77”, ma è LG UK a rompere gli indugi, annunciando non solo i due modelli ma anche i prezzi di listino. Che LG facesse sul serio con l’OLED si era già capito, ma ora con l’OLED 4K può davvero dare all’appassionato quello che desidera, la tecnologia per il nero perfetto unita alla risoluzione. Nonostante il 4K sia ancora di Roberto PEZZALI prematuro, chi investe tanto su un TV difficilmente si accontenta del Full HD: 65EC970V e 77EC980V, tecnologia sempre OLED WRGB, offriranno quindi un pannello da 3840 x 2160 pixel organici e avranno a bordo anche la piattaforma smart WebOS. I prezzi saranno alti, ma il 65” è comunque abbordabile: 6000 sterline di listi- no, 7500 euro al cambio attuale vanno confrontati con i 5500 euro richiesti oggi per un LCD 4K da 65”, non una follia. Più elevato invece il prezzo per il 77”, un prodotto più elitario e anche più difficile da produrre: 20.000 sterline. Lo scoglio più difficile da “eliminare” è ora la curvatura dello schermo: nella testa di LG tornare al piatto significa fare un passo indietro, ma forse sarebbe un passo indietro che gli appassionati gradirebbero. TV E VIDEO Arriva in autunno il nuovo MySkyHD, riunisce in un solo decoder DVB-S, DVB-T e web In arrivo il super decoder DVB-S, DVB-T e web di Sky Tom’s Hardware pubblica le foto di uno dei modelli prodotti dai partner. Probabile il DVB-T2 di Roberto PEZZALI T orna il decoder unico: Sky si prepara a lanciare a ottobre il nuovo MySkyHD che sarà compatibile con tutte le piattaforme di distribuzione di contenuti: digitale terrestre, satellite e internet. Il sito Tom’s Hardware ha pubblicato le prime foto di uno dei modelli di decoder e con un rapido giro di telefonate abbiamo avuto conferma che il prodotto esiste e che è davvero previsto l’arrivo sul mercato per la prossima stagione televisiva. Il nuovo modello torna al sommario Bye Bye plasma Anche Samsung dice addio avrà doppio tuner sia satellitare che digitale terrestre, e Sky quasi sicuramente ha inserito a bordo un tuner DVB-T2 per tenersi pronta a trasmettere sul nuovo standard con compressione HEVC. Il nuovo decoder avrà hard disk da 500 GB integrato, supporto per il WiFi e connessione di rete gigabit. Sky, dopo l’accordo raggiunto con Telecom per l’uso della rete è pronta anche a trasmettere in DVB-T sui canali affittati a Telecom Italia Media (anche questo è confermato): difficile capire se trasmetterà il calcio (servirebbero più canali) ma sicuramente una offerta Sky DVB-T o DVB-T2 è ai nastri di partenza. Il plasma è destinato a sparire entro l’anno: dopo Panasonic, e questo forse è stato l’addio più doloroso, anche Samsung decide di interrompere la produzione di pannelli al plasma a novembre. Samsung SDI, la divisione che si occupata della produzione dei pannelli per le TV, ha annunciato che le fabbriche verranno riconvertite per altri usi (batterie) e in qualche caso cedute a terzi. Con l’abbandono delle TV al plasma da parte di Panasonic la tecnologia è al capolinea: già quest’anno Samsung Italia aveva deciso, e non è stata la sola filiale, di non importare più TV al plasma, A questo punto, ormai, resta sul mercato la sola LG con prodotti di primo prezzo destinati alle promozioni presso la grande distribuzione. Il plasma, oltre a non essere più richiesto dai consumatori e con una rendita davvero bassa per chi lo produce, non si presta neppure ad uno sviluppo tecnologico: davvero difficile fare un plasma Ultra HD a basso consumo, meglio lasciare perdere. È la fine del plasma, ma speriamo che coincida con l’inizio dell’era degli OLED. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MOBILE La nuova versione di Android, che sarà rilasciata nel corso dell’anno, è la più grossa rivoluzione del S.O. di Google Android L: una sola release per domarli tutti Google gioca la carta pigliatutto: Android L da smartphone e tablet passerà gradualmente anche su auto, TV e computer S di Paolo CENTOFANTI e per Apple l’arrivo di iOS 7 ha rappresentato un cambio epocale per la sua strategia mobile, un anno dopo è il turno di Google che tenta la svolta con il nuovo Android L. Di fronte a migliaia di sviluppatori, Google ha illustrato le potenzialità e tutti i tentacoli del suo prossimo sistema operativo che verrà rilasciato entro l’anno per gli utenti finali, ma che gli sviluppatori potranno adottare e usare fin da subito per i loro dispositivi. Una scelta ovvia, anche perché la release “L” è probabilmente la più difficile da adottare per gli sviluppatori che costruiscono app per il sistema operativo Google: dopo anni di incoerenza nel design delle app ora Google cerca di dettare una via da seguire con quello che viene chiamato “Material Design”. La base è quella del Flat UI Design, ma ombre e effetti aiutano a dare un senso di profondità all’interfaccia che così non si sviluppa solo nelle due dimensioni di base del piatto schermo. Una interfaccia che si estenderà a tutto l’ecosistema Google, dagli smartphone e tablet ai nuovi device come gli smartwatch, le auto, i Chromebook e il TV. Google ha lavorato molto in questi ultimi mesi sul design e qualche nuova app prodotta proprio da Google è già basata sulle nuove linee guida, che prevedono anche un adattamento del font Roboto, migliorato per adattarsi meglio a scalare su tutte le risoluzioni, anche quelle più basse. Ora tocca agli sviluppatori: sapranno realizzare app qualitativamente belle anche dal punto di vista del design e dell’interfaccia? Il tempo c’è, anche perché è probabile che, come per gli altri sistemi operativi,ci vorrà un po’ per vedere L adottato su tutti i dispositivi. Android L conta oltre 5000 nuove api per gli sviluppatori e tantissime novità anche per gli utenti finali, che non si limitano solo al restyling: le notifiche ad esempio sono più interattive, vengono ordinate non solo per cronologia ma anche per importanza e soprattutto possono andare in hover su applicazioni come giochi o video. Migliora anche la sicurezza: oltre al kill switch, per bloccare il dispositivo in caso di furto, Google ha anche aggiunto un nuovo metodo di autenticazione basato sulle specifiche di Bluetooth 4.0, ovvero la vicinanza torna al sommario con un dispositivo che può essere una smart tag o uno smart watch. Lo smartphone si sblocca, quindi, solo se è nei paraggi dello smartwatch e resta inaccessibile se lasciato ad esempio sul tavolo o lontano dal suo proprietario. Android L ha assimilato anche tantissime migliorie da alcune apps e da alcuni tweaks pubblicati dalla community sui vari forum: dai link si possono, ad esempio, aprire direttamente le apps ed è stata implementata una nuova modalità a basso consumo, che assicura fino a 90 minuti in più di autonomia spegnendo i servizi non essenziali, una cosa che ricorda un po’ la Stamina Battery degli Xperia. Cambiano anche le prestazioni: oltre a Chrome Mobile, che gestisce animazioni a 60 fps, Android L ha abbandonato il vecchio interprete Dalvik per passare a ART, che assicura prestazioni raddoppiate e soprattutto supporta processori a 64 bit. Un cambio significativo, che permetterà una apertura più rapida delle app e anche un consumo minore di batteria, perché Android impiegherà meno tempo Google I/O, Material design a decompilare e interpretare il codice. Novità anche per chi sviluppa videogiochi: grazie all’Android Extension Pack si potranno aggiungere ai giochi elementi grafici e effetti aggiuntivi per quei processori che li supportano, un po’ quanto fatto fino ad oggi da NVIDIA con le applicazioni su Tegra Zone. Il risultato, almeno da quanto visto durante la presentazione, è eccellente. Android L, già scaricabile per gli sviluppatori, si estende anche agli altri mondi Google, dal nuovo TV all’auto. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE TV & VIDEO Il nuovo Android L potrà funzionare sui TV, anche come ricevitore Chromecast Dal flop di Google TV nasce Android TV Sony, Sharp e TPVision hanno già detto sì, LG e Samsung proseguono per la loro strada G di Roberto PEZZALI oogle ci aveva già provato, ma i risultati non sono stati quelli sperati: dei Google TV e dei set top box Google TV non resta altro che un ricordo. Android TV torna ora al centro dell’attenzione con un nome nuovo e grazie a Android L: non si tratta di un sistema dedicato con piattaforma di app per i TV, ma una declinazione del sistema operativo pensata apposta per il salotto. In realtà nel nuovo Android TV batte proprio Android L, una release con aggiunto un modulo per la gestione di tuner, ingressi HDMI e altri accessori e funzionalità proprie di un TV, ma è chiaro che la parte “media & apps” è quella su cui Google punta. E qui, dopo gli errori del passato, si attinge finalmente a Google Play con tutte le sue app, che possono “scalare” sul grande schermo grazie al design “liquido”. Android TV è l’evoluzione dei TV basati su Android già visti, come ad esempio quelli prodotti da TPVision e Haier. TPVision è stata una delle prime aziende ad accettare la nuova piattaforma e nel corso del prossimo anno, passerà a Android su tutti i modelli smart. Una scelta che faranno anche Sony e Sharp, con TV basati su Android e abbandono della vecchia piattaforma smart. Google non è riuscita, tuttavia, a catturare l’attenzione di chi con i TV riesce ancora a fare numeri, ovvero LG e Samsung, ottimi partner per la telefonia ma intenzionati a proseguire per la loro strada per quanto riguarda il TV. Tornando al nuovo sistema operativo Android TV, oltre a poter eseguire tutte le app destinate all’enter- tainment, funzionerà anche come ricevitore Chromecast e si potrà interfacciare con diversi dispositivi, dai controller per il gioco agli smartwatch. Android TV è una bella sfida soprattutto per i produttori, che si apprestano ad abbracciare una piattaforma che ha già fatto flop una volta: sarà la volta buona? I primi TV Android li vedremo solo nel 2015, anche se probabilmente uscirà entro l’anno qualche set top box con i quali si potrà gustare in anteprima l’experience dei nuovi TV pensati da Google. MOBILE Android L introduce alcune interessanti innovazioni anche per quanto riguarda l’audio Con Android L arriva l’audio ad alta definizione Il nuovo S.O. di Google supporterà i 96kHz/24bit e la bassa latenza in ingresso (20ms) di Emanuele VILLA A ndroid L dovrebbe portare novità interessanti anche sotto il profilo audio: a livello di puro ascolto, la prossima versione di Android supporterà campionamenti fino a 96kHz/24bit. Allo stato attuale, il core di KitKat effettua processing a 16bit, nonostante alcuni telefoni dal 2013 in poi dispongano di DAC 24/96 e alcuni produttori (viene segnalato LG) abbiano modificato il kernel proprio per ottenere il supporto per l’audio ad alta definizione. Ma di fatto, si tratta di personalizzazioni delle singole aziende. Novità importanti anche per chi è interessato agli aspetti di produzione audio, da una semplice registrazione all’utilizzo del terminale come dsp per effetti in tempo reale e per la registrazione da sorgente esterna. Uno dei problemi di Android, migliorato con KitKat ma non torna al sommario del tutto risolto, è la latenza in ingresso e uscita: soprattutto in ingresso, questa può raggiungere anche i 600ms, rendendo di fatto impossibile ogni genere di produzione. Android L porta con sé un’accelerazione sul processing audio tale da portare il delay in ingresso a circa 20ms, non propriamente zero ma comunque impiegabile per la maggior parte degli usi, anche di processing real-time. Da segnalare, poi, un processo di resampling migliorato, operazione che si rivela necessaria tutte le volte in cui il campione audio da riprodurre non combacia perfettamente con i formati supportati dal DAC: l’interpolazione lineare di Android KitKat pare introdurre molti artefatti che si ripercuotono sulla qualità d’ascolto, mentre il resampler di Android L è stato riscritto dalle fondamenta proprio per evitare introduzioni nocive sull’audio originale. Oltre a questo, vengono segnalati miglioramenti sul sync audio e video, che fino a KitKat potevano raggiungere anche i 100ms, ed è stato introdotto ufficialmente l’USB audio. La fotocamera di Android L scatterà in RAW Si apre un nuovo capitolo per la fotografia da smartphone Le funzionalità del sistema operativo permetteranno di realizzare app più professionali di Andrea ZUFFI Gli appassionati di fotografia con smartphone non potranno che gioire per le importanti novità annunciate con Android L per il comparto foto. I dispositivi che vedranno la luce con la versione L di Google OS avranno infatti applicazioni che consentiranno il controllo manuale di tutti i parametri più significativi. Merito della nuova API Camera2, che permetterà agli sviluppatori di realizzare app molto più evolute di quelle viste finora. Le nuove app daranno all’utente il controllo manuale di parametri quali il tempo di esposizione, la messa a fuoco, l’innesco del flash, il bilanciamento del bianco, la stabilizzazione. Altro punto di svolta sarà il supporto nativo del formato DNG (RAW). Con la nuova API sarà infatti possibile catturare assieme allo scatto in JPG o PNG, anche l’immagine RAW bypassando tutti gli algoritmi di ottimizzazione presenti su buona parte degli smartphone attuali, quasi sempre poco sofisticati. Le app di fotografia per Android L, inoltre, potranno “spremere” i sensori e l’hardware dei dispositivi in realtime, senza dover sottostare ad eventuali limiti imposti dal produttore: il risultato sarà la possibilità, ad esempio, di scattare foto in sequenza settando gli FPS a piacere. E a giovare delle novità non saranno solo gli smartphone, ma anche le nuove generazioni di fotocamere (Samsung e Nikon ad esempio) che si avvarranno di Android L. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MOBILE Finalmente svelato il progetto con cui Google intende conquistare l’automobile Google sale in macchina con Android Auto Non è una nuova piattaforma ma un collegamento tra smartphone e il display della plancia A Al Google I/O è stato presentato Google Fit Il sistema è integrato in Android L e monitora tutte le nostre attività di Paolo CENTOFANTI l Google I/O 2014 è stato finalmente presentato il frutto della Open Automotive Alliance, l’iniziativa che Google ha creato con l’industria automobilistica per portare Android alla guida. Si chiama, guarda caso, semplicemente Android Auto, ma non è come qualcuno poteva aspettarsi una vera e propria nuova piattaforma. Si tratta di qualcosa di molto simile a CarPlay di iOS, cioè una nuova interfaccia grafica che lo smartphone (e non il sistema di bordo dell’automobile) è in grado di visualizzare sul display della plancia. Lo smartphone, e con esso Android, prende quindi il comando del sistema di intrattenimento dell’automobile, con un’interfaccia più pulita, semplice e che sfrutta molto i controlli vocali. Android Auto si appoggia infatti molto su Google Now, con la capacità di visualizzare informazioni in modo contestuale a seconda di quello che si sta facendo (o meglio dove stiamo guidando). Buona parte della presentazione è stata dedicata chiaramente a Google Maps, che proprio nell’auto trova il suo campo di applicazione ideale, ma anche alla nuova interfaccia di Roberto PEZZALI semplificata di Play Music, capace però di dare accesso, anche con i controlli vocali a tutte le funzionalità. L’interfaccia di Android Auto è in grado di visualizzare anche le notifiche dei messaggi in arrivo, con lettura vocale dei messaggi e allo stesso modo possibilità di rispondere dettando il messaggio. Da quello che si è visto, esattamente come per CarPlay, anche con Android Auto lo smartphone andrà collegato al sistema di bordo via cavo e al momento Google rilascia un SDK per lo sviluppo delle applicazioni con supporto ad Android Auto con due set di API: riproduzione audio (quindi per app di streaming musicale ad esempio) e di messaggistica, per sfruttare il sistema di notifica e di risposta vocale anche in applicazioni di terze parti. Google promette che la prima auto compatibile Android Auto uscirà dalle fabbriche entro la fine dell’anno e ha mostrato l’ampio supporto ottenuto dall’Open Automotive Alliance, con una lista praticamente di tutti i principali marchi automobilistici, ma anche di importanti nomi dell’elettronica di consumo (Alpine, Clarion, Kenwood, Pioneer e tanti altri). MOBILE Google tende la mano al mondo business con un sistema integrato nei nuovi prodotti Android For Work: stesso telefono per casa e lavoro Aumenta la sicurezza e permettere ai dati personali di coesistere con quelli professionali D di Massimiliano ZOCCHI urante il Google I/O, Big G ha presentato Android For Work, un sistema che sarà integrato in Android L, che permetterà la coesistenza di dati personali e professionali sullo stesso device. Decisiva, in questo caso, la collaborazione di Samsung: Android For Work integra, infatti, il core di Samsung Knox, sistema della casa coreana creato proprio per la sicurezza dei dispositivi utilizzati in ambiente lavorativo. Google ha precisato che i vantaggi dell’adozione della tecnologia sviluppata da Samsung sono molteplici, primo fra tutti il fatto che al momento è l’unica esistente, ponendo di fatto le basi per un futuro standard. Inoltre, le applicazioni che già sono predisposte per Samsung Knox non torna al sommario Anche Google ti vuole in forma Ecco Google Fit necessitano di modifiche, se non in minima parte, rendendole immediatamente compatibili. Tramite il sistema studiato dai due partner, non sarà necessario creare due ecosistemi differenti e distaccati, ma le app potranno separare e distinguere i dati personali da quelli profes- sionali, rendendo tutto più semplice e fluido. I principali produttori integreranno la piattaforma nei nuovi modelli, ma se avete un vecchio smartphone Google ha pensato a un aggiornamento (o a un’app apposita, non è ancora chiaro) per i device con a bordo almeno Ice Cream Sandwich. L’incredibile successo dei device indossabili, e di tutta la schiera di applicazioni che ne consegue, ha attirato l’attenzione dei principali brand, Google compresa, che per non perdere terreno nei confronti dei concorrenti ha presentato Google Fit. Ma di cosa si tratta? In pratica, come già visto in sistemi analoghi della concorrenza, Google Fit è un Hub software che raccoglie tutte le informazioni sulla salute, sul fitness e le attività motorie dell’utente, raggruppando dati derivanti da altre applicazioni dedicate e, ovviamente, dai wearable device. È quindi una piattaforma, non una semplice app. Per far ciò Big G ha messo in piedi una collaborazione con i principali nomi del settore, sia per quanto riguarda le app, sia per quanto riguarda l’hardware e i sensori necessari alle misurazioni, coinvolgendo realtà come Nike, Adidas, Polar, Intel, LG, ma anche basandosi sulle app più conosciute come Runtastic, RunKeeper o Noom. Ellie Power, product manager di Google, ha precisato che si tratterà di un sistema integrato nella nuova release Android L, che permetterà di consultare ogni dato, metrico o statistico, senza accedere ad applicazioni di terze parti. Questo grazie ad un unico set di API disponibili nell’SDK, che verrà rilasciato a breve, così da rendere i dispositivi e i software di terze parti compatibili e connessi al nuovo ecosistema. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MOBILE L’obiettivo di Google è quello di ottenere coerenza di utilizzo sui vari dispositivi Google come Apple, sceglie lo stile “flat” Wear, Auto e TV non si personalizzano Non ci sarà libertà di personalizzazione per Android TV, Android Wear e Android Auto I produttori non potranno toccare nulla del S.O., ma solo produrre hardware compatibile di Roberto PEZZALI l nuovo linguaggio visivo di Google, il Material Design, è stato uno dei protagonisti del recente Google I/O. Google, per la prima volta, ha spinto sull’acceleratore per riuscire a raggiungere quella coerenza stilistica tra applicazioni e servizi, da sempre uno dei punti di forza di Apple. Google adotterà il nuovo stile “flat” su tutte le declinazioni del suo prossimo sistema operativo Android L, non solo tablet e smartphone ma anche TV, smartwatch e auto. Android Wear, Android Auto e Android TV saranno accomunati non solo dal “core” Android ma anche dall’aspetto e dall’interfaccia, elemento importantissimo per permettere ai consumatori di adattarsi senza problemi a device di svariate marche senza dover lottare con interfacce diverse. Rispetto a quanto succede, però, con Android per smartphone e tablet, i produttori partner di Google per i nuovi servizi non avranno libertà di personalizzazione se non l’installazione di applicazioni dedicate differenti, scelta anomala e controtendenza per Google che ha fatto della personalizzazione il suo cavallo di battaglia. A dare l’annuncio è David Burke, direttore dello sviluppo software di Google: “Wear, TV e Auto saranno progetti gestiti direttamente da Google e non verranno lasciate libertà ai produttori per quanto riguarda I funzionalità, skin o interfaccia”. Questo vuol dire che tutti gli Android Wear saranno uguali nel funzionamento, con un’esperienza d’uso coerente e differenze minime legate all’hardware: nel caso degli smartwatch G Watch e Gear Live, ad esempio, la differenza principale è la presenza di un sensore di battito cardiaco sul Samsung con relativa app. Una scelta molto “Apple”, con la differenza che Apple produce i suoi dispositivi mentre Google si affida a partner esterni che potrebbero non essere così felici nel dover tenere un’interfaccia e un’esperienza identica a quella dei competitor. Non è un caso, probabilmente, che Samsung e LG non abbiano abbracciato il programma Android TV: troppe le limitazioni imposte da Google, con il rischio di TV identiche tra loro nel funzionamento e difficili da differenziare a livello di marketing. Il lavoro di Google sul “design” dell’interfaccia utente rischia di creare anche qualche problema con smartphone e tablet: la nuova interfaccia Flat e il nuovo visual kit di Google spingeranno gli sviluppatori a creare applicazioni con uno stile coerente a quanto fatto vedere da Google stessa, ma quanto fatto vedere da Google probabilmente non sarà sulla maggior parte degli smartphone in vendita: Samsung, HTC, LG e Huawei hanno interfacce personalizzate che poco hanno a che vedere con quanto fatto da Google. Chi potrà godere della nuova interfaccia Google? Probabilmente i produttori minori, che usano android stock, e i device Nexus. La scelta fatta da Google è particolare: blindare tutto evitando che i produttori mettano mano a Wear, TV e Auto è un comportamento da Apple, ma questa scelta vuole anche dire aggiornamenti veloci, niente frammentazione e un maggiore controllo. Tutto cose buone, ma gli appassionati della customizzazione potrebbero non capirlo. Sony è stata la prima a rilasciare Android 4.4.4 Il nuovo firmware è disponibile per gli smartphone Sony Xperia Z1, Z1 Compact e Z Ultra S ony ha cominciato a rilasciare l’aggiornamento ad Android KitKat 4.4.4 per alcuni dei suoi terminali, a meno di 10 giorni dal rilascio di Google. Il nuovo firmware 14.4.A.0.108 è disponibile per gli smartphone Sony Xperia Z1, Xperia Z1 Compact e Xperia Z Ultra e introduce gli ultimi fix per bug e problemi di sicurezza introdotti nel- torna al sommario l’ultima versione di Android, tra cui la sostituzione della libreria OpenSSL in cui erano state evidenziate criticità non da poco. L’aggiornamento, oltre ad allineare gli smartphone con l’ultima versione disponibile di Android, introduce anche dei miglioramenti per quanto riguarda l’interfaccia personalizzata di Sony, tra cui una “aggiornata e migliorata esperienza d’uso per la fotocamera”, e le Google apre lo store con le applicazioni per Android Wear Al Day 1 ci sono applicazioni per le mappe, social network, chat, notizie e... compagnie aeree di Emanuele VILLA MOBILE L’aggiornamento ad Android KitKat 4.4.4 chiude i bachi di sicurezza di OpenSSL di Paolo CENTOFANTI Android Wear Arrivano le prime app ultime versioni delle app Sony. Nessuna informazione, invece, ancora per quanto riguarda il modello più recente di Sony, l’Xperia Z2. Con il lancio del primi smartwatch basati su Android Wear, Google ha inaugurato un canale ad hoc all’interno del proprio Play Store, nel quale è già possibile dare un’occhiata all’offerta prevista per il day 1. C’è bisogno dell’app ufficiale Android Wear per provvedere agli aggiornamenti di sistema e per il pairing con il proprio dispositivo (per la compatibilità, ricordiamo che essa è assicurata solo per dispositivi con Jelly Bean 4.3 e superiori), dopo di che si può spaziare all’interno dell’offerta disponibile e pensata per estendere le funzionalità dello smartwatch. Tra le app già prevista ne troviamo alcune diffusissime, quali Bandsintown, per essere sempre informati sulle proprie band preferite e, soprattutto, sui concerti della propria zona, ma troviamo anche le news di The Guardian, gli immancabili Google Maps e Hangouts e il diffusissimo Pinterest. Per gli appassionati e chi lavora nel mondo della finanza è disponibile l’app di Thomson Reuters, c’è un corso d’inglese, Talkray per chiamate e chat, e le app ufficiali di due “pesi massimi” nel mondo delle compagnie aeree: Delta e American Airlines. Per chi volesse estendere il discorso, lo store aperto a questo indirizzo. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MOBILE Compatibilità con gli smartphone Android 4.3 o superiori che abbiano Bluetooth 4.0 LG G Watch con Android Wear a 199 euro LG G Watch è uno dei primi tre dispositivi con Android Wear presentati al Google I/O Lo smartwatch è disponibile in preorder da qualche giorno a 199 euro. Anche in Italia L di Roberto PEZZALI G Electronics ufficializza anche in Italia G Watch, uno degli attesi smartwatch basati su Android Wear. Insieme al nuovo Gear Live di Samsung, G Watch sarà uno dei primi ad arrivare, perché l’incredibile Moto 360 arriverà solo più avanti nel corso dell’anno, presumibilmente a settembre. “LG è una tra le prime aziende a vendere un device Android Wear. Nella fase di sviluppo del nostro G Watch abbiamo tenuto in mente il consumatore e realizzato un prodotto che potesse essere un compagno essenziale e, ancor più importante, semplice da usare”, ha affermato Jong-seok Park, presidente e CEO di LG Electronics Mobile Communications Company. LG G Watch è potente quanto uno smartphone di fascia media: all’interno, infatti, troviamo uno Snapdragon 400 da 1.2 GHz affiancato a un display IPS Always-On da 1.65 pollici a basso consumo. Anche se per un orologio l’abito è quello che più conta (e qui forse Motorola può davvero fare il botto), G Watch racchiude tutte le funzionalità di Android Wear, quindi schermo sempre acceso con l’ora visualizzata, connessione Bluetooth allo smartphone per gestire messaggi e chiamate in entrata e soprattutto controllo dei dispositivi, dallo smartphone stesso alla TV. Con la nuova interfaccia a schede basata sul Material Design che contraddistingue Android L, la nuova release di Android, G Watch integra anche il riconoscimento vocale per la ricerca, la dettatura di messaggi e l’aggiunta di appuntamenti in agenda. Il prezzo non è affatto male, 199 euro, soprattutto se si considera che è waterproof e dust proof (IP67), ha una cassa in acciaio inossidabile e può essere personalizzato con qualsiasi tipo di cinturino. Per gli avidi di altri dettagli tecnici di G Watch si conosce la risoluzione dello schermo (280x280), la batteria (400 mAh) e la memoria (4GB per le app, 512 MB di RAM): le dimensioni sono di 37.9x46.5x9.95mm e il peso di 63 grammi; connettività ovviamente Bluetooth, giroscopio, accelerometro e bussola integrata e due colori, white e black. Una parola, infine, sulla compatibilità, anche se è quella di Android Wear: G Watch, come gli altri smartwatch basati sullo stesso sistema operativo, sarà compatibile con tutti gli smartphone Android 4.3 o superiori ovviamente con Bluetooth 4.0 a bordo. Nessuno, invece, ha parlato di autonomia, e qualche dubbio a noi viene: uno Snapdragon 400 con 400 mAh di batteria può durare più di un giorno? Clicca qui per il video. Windows Phone 8.1 per tutti entro metà luglio Microsoft comunica tramite Twitter l’aggiornamento per i dispositivi Windows Phone 8 L umia 630/635 e l’ormai prossimo Lumia 930 sono i primi dispositivi Windows Phone ad essere stati progettati per lavorare con la versione 8.1 del sistema Microsoft, release che come sappiamo però sarà resa disponibile anche per tutti gli altri device già equipaggiati con una delle precedenti build 8.0. Dopo numerose indiscrezioni sulle effettive tempistiche del rilascio, ora pare essere arrivata una conferma definitiva sulla data. Ad annunciare il tutto ci ha pensato la divisione indiana di Micro- torna al sommario Al momento il suo nome in codice è Robin e di lui si sa ancora poco. Avrà un display AMOLED, un corpo molto sottile e un prezzo accessibile se confrontato con quello dei suoi rivali di Andrea ZUFFI MOBILE WP 8.1 arriverà prima su Nokia Lumia 1020 e 925, poi sul 520, infine su tutti gli altri di Vittorio Romano BARASSI Asus prepara lo smartwatch ultra sottile soft che, tramite Twitter, ha comunicato che l’aggiornamento sarà disponibile per tutti i dispositivi entro la metà del mese di luglio. Gli utenti Windows Phone 8 dovranno dunque attendere qualche altro giorno prima di mettere le mani sul nuovo sistema operativo (qui la nostra prova approfondita); nonostante non sia ancora ufficiale, indiscrezioni parlano di un rilascio “graduale”: WP 8.1 arriverà prima sui Nokia Lumia 1020 e 925, per poi diventare disponibile su Lumia 520 - best seller assoluto della gamma di smartphone Nokia - e solo dopo su tutti gli altri dispositivi. Anche il primo smartwatch di Asus ha ora un nome. A rivelare il codename, Robin, è un tweet di @evleaks. Anche se non sono disponibili informazioni ufficiali, secondo le indiscrezioni circolate negli ultimi giorni Robin avrà un display AMOLED e sarà lo smartwatch più sottile della categoria. Quest’ultima informazione, sicuramente a favore di design ed ergonomia, desta qualche perplessità sull’autonomia. Per saperlo, però, bisognerà attendere qualche mese. Asus, infatti, non vorrebbe agire in modo affrettato, ma piuttosto lavorare al consolidamento degli sviluppi incentrati sul nuovo Android Wear e iniziare la distribuzione in settembre. Inoltre, come avvenuto per altri suoi dispositivi sul mercato, Asus starebbe puntando ad aggredire il mercato con un prezzo più abbordabile rispetto ai competitor. Con il G Watch di LG a 199 euro, il Samsung Gear Live allo stesso prezzo e l’elegante Moto360 il cui prezzo ipotizzato sarà intorno ai 249 dollari, sarebbe una bella sorpresa per i consumatori trovare Robin a un prezzo che, se i rumor saranno confermati, dovrebbe essere compreso tra i 99 e 149 dollari. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MOBILE Smartwatch con una dotazione hardware buona e un occhio di riguardo per il design Arriva Samsung Gear Live con Android Wear Samsung presenta ufficialmente il suo prossimo techno-gadget a tutto Android Wear di Michele LEPORI a famiglia “Gear” di Samsung accoglie un nuovo membro di tutto rispetto: Gear Live è il primo smartwatch della casa coreana con sistema operativo Android Wear ad arrivare sul mercato. Google, per bocca del suo vicepresidente Sundar Pichai, annuncia grandi cose in arrivo dalla partnership con Samsung e questo Gear Live è solo l’inizio: “… gli orologi che montano Android Wear a bordo vogliono essere i compagni ideali della nostra giornata, grazie alla loro batteria in grado di durare una giornata intera e allo schermo luminoso che ne garantisce la visibilità anche in piena luce”. Gli fa eco JK Shin, CEO Samsung e responsabile della divisione IT & Mobile: “… grazie alla lunga partnership con Google, abbiamo tratto il meglio L da Android Wear e quello che può offrire Samsung è un’esperienza che solo Samsung stessa può dare. Insieme possiamo far crescere questa fetta di mercato”. A livello tecnico, lo smartwatch monta un display da 1,6” con risoluzione 320x320 con processore da 1,2 GHz, 512 GB di RAM e sensore della frequenza cardiaca racchiuso in una struttura di 9 mm di spessore e 59 grammi di peso. La comunicazione con gli smartphone Android 4.3 Jelly Bean o superiore è garantita da protocollo Bluetooth e permette di visualizzare notifiche, messagi e chiamate. Doppia colorazione, nera e rossa, con la possibilità di usare qualsiasi cinturino sul mercato, nel classico formato da 22 mm: una scelta che strizza l’occhio all’aspetto più fashion di questi disposi- tivi e che non c’è dubbio contribuirà a renderli più di uso quotidiano e meno da “nerd”. Prezzo di listino dello smartwatch Samsung Gear Live di 199 euro. Withings presenta Activité, l’orologio “smart” Activitè è un orologio di classe, realizzato in Svizzera su specifiche di designer francesi Ma è anche smart, è capace di registrare quello che facciamo e lo invia allo smartphone L torna al sommario tura silver o nera e il quadrante in zaffiro assicura classe e resistenza. Il tutto accompagnato da un cinturino in vero cuoio. E dove sarebbe smart? Intanto oltre alle lancette principali ce n’è un’altra, che invece di segnare i secondi (come in quasi tutti gli orologi dell’universo) serve a monitorare i progressi dell’utente verso l’obiettivo fissato, obiettivo che viene impostato tramite smartphone. In pratica, Activité non ha display nascosti, effetti speciali, fotocamere e affini, semplicemente i sensori interni (tra cui l’accelerometro) permettono la misurazione di tutti i parametri delle più comuni fitness band: passi, distanza percorsa, calorie bruciate, anche la qualità del sonno, oltre a fungere da sveglia Smentendo le voci degli ultimi mesi, un dirigente Google ha affermato che il brand Nexus non verrà “cancellato” dagli Android Silver di Emanuele VILLA MOBILE L’autonomia dell’orologio è di un anno e, al momento, il prezzo è di 390 dollari di Emanuele VILLA a prima critica che si muove agli smartwatch in commercio riguarda il design: abbiamo sempre considerato l’orologio come un oggetto di stile, un complemento della nostra personalità, un dispositivo tanto utile quanto bello da vedere e da “vivere”. Passare da un orologio raffinato a uno smartwatch non è facile: va bene la tecnologia, va bene il mondo smart, ma a livello stilistico sembra (eccezioni escluse) di essere tornati indietro, oltre al fatto che un orologio a batteria dura anni e uno smartwatch va ricaricato con una frequenza simile (pur non la stessa, a dire il vero) a quella di uno smartphone. Withings vuole risolvere la situazione proponendo uno smartwatch che ha le sembianze, il look e la raffinatezza di un orologio, e la cui autonomia è di un anno: Activité. L’orologio è realizzato dalla collaborazione tra un team di designer francesi e di produttori svizzeri, la cassa è in acciaio con fini- Nexus non deve morire: parola di Google con tanto di vibrazione. Le rilevazioni vengono ovviamente inviate a un’app (per il momento iOS) che permette la gestione dell’attività e l’impostazione di percorsi di fitness personalizzati. Tutto come gli altri smartwatch, solo che qui non bisogna ricaricare nulla alla sera e lo si può tranquillamente portare con sé durante la cena di gala, certi di fare bella figura. Il prezzo, al momento in dollari, è di 390$. Sono mesi che fonti più o meno attendibili sostengono che Google sia in procinto di eliminare il brand Nexus per concentrarsi sugli Android Silver, smartphone di terze parti gestiti da Google sotto il profilo software. In pratica, i telefoni della “serie” Android Silver avranno la medesima versione software (Android L?) e le stesse personalizzazioni a prescindere dal produttore: Google potrà garantire un’esperienza utente analoga e immediatezza di aggiornamenti, senza dover attendere tutte le modifiche custom da parte dei singoli produttori. Ciò premesso, e nonostante il progetto Android Silver sia vivo e vegeto, parrebbe che Google non sia intenzionata a “uccidere” Nexus. Secondo Dave Burke, responsabile tecnico per Android e Nexus, la fine di questo brand è stata una deduzione degli utenti: in realtà, sostiene Burke, “questa è una conclusione del tutto sbagliata […] stiamo ancora investendo in Nexus”. Intervistato a proposito di Android Silver, il dirigente Google ha però preferito glissare, dichiarando di non voler ancora rilasciare dichiarazioni ufficiali sull’argomento. La certezza è che a questo punto Nexus resisterà almeno ancora un anno, ed entro fine 2014 potremo vedere sia gli Android Silver sia i nuovi Nexus: sarà poi un problema di Google permetterne una coesistenza pacifica, per noi significa un’estensione dell’offerta, e non possiamo che esserne felici. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MOBILE Fidelys,oltre alle funzionalità degli smartwatch, offre riconoscimento dell’iride Ecco lo smartwatch che ti riconosce se lo guardi Una piccola fotocamera riconosce l’utente, sbloccando automaticamente alcune funzioni di Emanuele VILLA È l’anno degli smartwatch, questo è certo. Sony e Samsung l’anno scorso con i Gear (poi replicati quest’anno), ora tutti gli Android Wear, un iWatch a breve e chissà quanti all’orizzonte; ciò nonostante, le idee più innovative sembrano arrivare dai piccoli produttori indipendenti, da quelli che per mettere il produzione il proprio progetto hanno bisogno di una campagna di crowdfunding. È il caso di Fidelys, uno smartwatch che all’apparenza ci ricorda il Moto 360, con quadrante tondo che richiama l’eleganza di un orologio tradizionale unita alle molteplici funzioni della “generazione smart”: ma qui quello che conta non è tanto il Bluetooth, l’NFC, le notifiche, l’ora, il player musicale e le previsioni del tempo, quanto il fatto che per sbloccarlo è sufficiente guardarlo. Sì, perché all’interno della cassa c’è una camera che fotografa l’iride dell’utente e “immette” la rilevazione all’interno di un sistema di riconoscimento biometrico. È in pratica l’evoluzione del sistema di riconoscimento delle impronte che, dopo il successo di iPhone 5S e Galaxy S5, ormai va tanto di moda. Ma ci si domanda: a cosa servirebbe? A sbloccare l’orologio, probabilmente, ma si ipotizza anche che il riconoscimento dell’iride “sblocchi” automaticamente certi servizi dell’orologio o immetta automaticamente password laddove richiesto. Tanto che molti la stanno già vedendo come la soluzione definitiva alle mille mila password che ci portiamo dietro: possiamo dimenticarcele senza problemi, tanto alla fine basterà guardare lo schermo per entrare in siti protetti e aree riservate. Ecco perché l’idea è sì di partire con uno smartwatch, ma poi di estendere la tecnologia di IriTech a tanti altri dispositivi, tra cui PC, telefoni e tablet. Curiosamente, infine, lo smartwatch non è touch ma si controlla ruotando la cornice e il sistema operativo è proprietario, il che assicura (tra l’altro) compatibilità con Android, Windows Phone e, prossimamente, anche con iOS. Qui un video che svela le principali caratteristiche di questro particolare smartwatch Anche in Italia ora si può dire “Ok Google” Con la fatidica frase è possibile lanciare la ricerca e i comandi vocali in Google Now A di Paolo CENTOFANTI torna al sommario Si chiama Pelty ed è italiano il diffusore Bluetooth che usa come energia il calore della fiamma di una candela di Roberto FAGGIANO MOBILE Google aggiorna l’app di ricerca, la frase “Ok Google” è disponibile anche in italiano Il comando “Ok Google”, diventato simbolo soprattutto dell’utilizzo dei Google Glass, ora è disponibile anche in italiano. Con il lancio della versione 3.5.15 dell’app di ricerca, Google ha infatti attivato la frase chiave anche dispositivi Android con lingua di sistema italiana: basta aprire Google Now e dire “OK Google” affinché lo smartphone o il tablet si metta automaticamente in modalità ascolto, pronto per accettare altri comandi vocali. È possibile effettuare ricerche sul web, in alcuni casi anche in linguaggio naturale (ad esempio “trovami un ristorante” o “che tempo fa”), ma anche avviare app con il comando “apri”, oppure effettuare azioni come inviare una mail, un messaggio, creare un pro- Pelty, il diffusore che va a candela memoria (“ricordami di”), un evento in calendario e così via. Da notare che Ok Google funziona unicamente dalla finestra di Google Now o - per chi non ha attivato l’assistente di Google - cliccando prima sul widget della barra di ricerca. Non è quindi ancora disponibile la funzione “sempre in ascolto”, che permette di accedere ai controlli vocali in qualsiasi momento e da qualsiasi schermata del telefono proferendo la frase magica. L’idea è enuta a Gianluca Gamba: un diffusore che se ne può stare al centro del tavolo perché sfrutta come energia il calore della fiamma di una candela, senza fili o batterie. Il diffusore si chiama Pelty, è realizzato in Italia ed è al momento un progetto lanciato su un sito di crowfounding ma dovrebbe essere pronto per il prossimo novembre. Il nome del diffusore non è casuale perché il principio fisico che crea l’energia parte da Charles Peltier, un fisico francese del 1800 che scoprì come una corrente fatta passare tra due metalli genera calore. Da qui l’effetto opposto - detto di Seeback - sul fatto che una notevole differenza di calore tra due metalli crea energia elettrica. Il Pelty è un oggetto molto ben rifinito, in ceramica e vetro, facile da collocare ovunque e bello anche quando non è in funzione. La base in ceramica ospita un lumino, quelli comunemente usati per gli scaldavivande, appena sopra la fiamma c’è il collettore di calore metallico che alimenta il sovrastante diffusore e il relativo amplificatore. Una copertura in vetro protegge la fiamma e convoglia aria e calore verso l’alto. Il collegamento verso smartphone e tablet avviene tramite Bluetooth; nel prototipo è utilizzato un altoparlante da 7,5 cm con amplificatore da 12 watt. Non solo il progetto ma anche le parti in ceramica e vetro sono realizzate in Italia. Clicca qui per il video. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MOBILE Complice il presunto avvio della produzione, si intensificano i leak sul iPhone 6 iPhone 6: torna l’ipotesi del display curvo Nikkei pubblica le foto dei mockup, 9to5mac fa un incontro ravvicinato con la cover frontale A di Emanuele VILLA vvicinandosi la fatidica data di lancio (fine settembre, presumibilmente), il mondo dell’informazione tecnologica è letteralmente invaso da notizie riguardandi l’iPhone 6: chi propone foto di componenti, chi caratteristiche più o meno attendibili, chi porta avanti un discorso più generico e cerca di capire, al di là di alcuni aspetti ormai noti, come si presenterà il prodotto finito. È il caso di Nikkei, che ha pubblicato sul proprio sito web una gallery di mockup che svelano (qualora autentici) alcuni dei dettagli di design della prossima generazione di telefoni Apple: il rumor è interessante poiché diverse fonti ritengono che proprio in questi giorni i produttori asiatici abbiano iniziato la fabbricazione dei due iPhone che vedremo dopo l’estate. Certamente alcune cose non sono definitive: il pulsante home sembra piccolo se paragonato a quello di iPhone 5S e non combacia perfettamente, così come il display. Nikkei torna, di conseguenza, sull’ipotesi che iPhone 6 abbia un display leggermente curvo per amalgamarsi perfettamente con il case in alluminio. Esclusa, comunque, la possibilità che tutto il telefono sia concavo come i modelli presentati recentemente da LG e Samsung. I mockup visti di profilo dimostrano quello di cui si parla da settimane: il design di iPhone 6 sarà più sottile e “morbido” rispetto a quello delle ultime due generazioni e la disposizione di tasti e connettori sarà sostanzialmente analoga. Una sola differenza rilevante: il tasto di accensione/stand by non sarà più sul profilo superiore ma di fianco, vicino allo slot nano SIM. Dotazione di tutto rispetto e prezzo competitivo per il nuovo smartphone Huawei con display retina da 5 pollici di Andrea ZUFFI Dal canto suo, 9to5Mac ha pubblicato una gallery di foto relative alla cover frontale dell’apparecchio, foto che sostanzialmente confermano tutte le indiscrezioni degli ultimi mesi: display ampio, due versioni, rigorosamente piatto. L’unica novità meritevole di menzione è la presenza di una nuova feritoia di fianco all’altoparlante, che presumibilmente dimostra il riposizionamento della fotocamera frontale o il sensore di prossimità. MOBILE Non è ancora uscito il Sony Z2 Compact e in molti sospettano che non arriverà mai Sony Xperia Z3 e Z3 Compact arriveranno all’IFA In rete le foto di Xperia Z3 e Z3 Compact, che l’azienda dovrebbe presentare a Berlino C di Emanuele VILLA om’è noto, il rinnovamento di tablet è smartphone segue di solito una cadenza annuale. Ma non in casa Sony, che è solita andare ancor più veloce: dopo Z1 è arrivata la versione Compact, poi è comparso Z2, del quale stiamo ancora attendendo l’analoga versione compatta. Ora, però, si parla già di Z3, con tanto di foto dei primi mockup. Se i rumor degli ultimi giorni dovessero rivelarsi attendibili, Sony presenterà a IFA 2014 (5-10 settembre) addirittura Z3 e Z3 Compact, abbandonando nel dimenticatoio Z2 Compact, che non vedrà mai la luce. Nulla più che un rumor, che va preso per quel che è, ma a ben pensarci avrebbe senso: Sony è stata criticata lo scorso anno per aver presentato Z2 a un mese di distanza (o poco più) da Z1 Compact, che sarà pure potente, ma che rappresenta comunque un torna al sommario terminale della generazione precedente. Plausibile, dunque, il fatto che Z2 Compact non veda mai la luce, ma che le 2 versioni di Z3 (normale e Compact) vengano presentate contemporaneamente, approfittando appunto di una fiera importante come quella di Berlino. Dalla foto sembrerebbe che Sony abbia deciso di ridurre enormemente lo spessore della cornice, allineandosi in questo modo ai competitor coreani e soprattutto a LG, che con G3 ha reso davvero millimetrica la distanza dal display al confine Huawei Ascend G630 Display 5 pollici per 199 euro del telefono. Troppo presto per ipotizzare caratteristiche tecniche, ma le dimensioni del display sembrano di fatto ricalcare quelle di Z2, per cui è plausibile che anche Sony si avventuri nel Quad HD. Staremo a vedere… Huawei arricchisce la sua gamma di dispositivi mobili presentando Ascend G630, uno smartphone Android dal design essenziale e sottile (8,1 mm), caratterizzato da display da 5” con tecnologia IPS 295 PPI e risoluzione 1.280 x 720 pixel. Il processore è un Qualcomm MSM8212 quad-core da 1,2 GHz, con 1 GB di RAM e capacità di storage di 4 GB, espandibile fino a 32 GB tramite scheda Micro SD. Il sistema operativo è Android, qui nella versione 4.3 con interfaccia utente Emotion 2.0 UI Lite. La connettività è affidata al modulo 3G, sono presenti le interfacce Wi-Fi b/g/n, Bluetooth 4.0 e MicroUSB High Speed. Niente NFC. La fotocamera principale da 8 Megapixel, con flash LED e autofocus, integra la funzione Audio Control Mode che permette di scattare fotografie con un comando vocale. Per le videochiamate è presente sul lato frontale una seconda fotocamera da 1 Megapixel. Ascend G630 dispone inoltre del sistema di amplificazione Qualcomm Audio + Effect, che garantisce un buon volume audio per l’ascolto di musica anche senza cuffie. La batteria da 2000 mAh promette la classica giornata di autonomia. Ascend G630 è già disponibile in Italia, nei colori bianco o nero, al prezzo di 199€. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MOBILE I tablet Asus su cui si può scaricare Sky Go sono MeMO Pad FHD 10 LTE e MeMO Pad 10 Sky Go su tablet Asus, Samsung non più sola Asus ha annunciato la partnership con Sky per portare Sky Go sui suoi tablet Android Solo due modelli, ma ora Samsung non è più sola. A quando una maggiore apertura? A di Roberto PEZZALI sus ha raggiunto un accordo con Sky per portare Sky Go su alcuni modelli di tablet, per la precisione l’Asus MeMO Pad FHD 10 LTE (ME302KL) e l’Asus MeMO Pad 10 (ME102A). Una scelta questa che permetterà a Sky Go di aumentare il bacino di utenti, anche se solo due modelli della vastissima famiglia Asus forse rappresentano una piccola nicchia del potenziale che la partnership tra Asus e Sky poteva offrire (il Nexus 7?). “ASUS è da sempre attenta ad assicurare ai propri utenti esperienze ricche, avvincenti e soddisfacenti nell’utilizzo dei propri prodotti. Per questo motivo siamo estremamente lieti della collaborazione con Sky che ci consente di offrire ai quasi 80.000 utenti della nostra gamma di tablet MeMo Pad MOBILE Il nuovo iPod Touch 16 GB a 209 euro Apple ha annunciato una nuova versione dell’iPod Touch più economico, quello con memoria da 16 GB, che ha ora le stesse caratteristiche di quelli da 32 e 64 GB, con fotocamera posteriore da 5 MP e disponibilità in 6 colori diversi (rosa, giallo, azzurro, argento, grigio siderale). Le altre caratteristiche rimangono invariate: processore A5 e display Retina da 4’’. La vera novità è forse il prezzo, visto che l’iPod Touch da 16 GB costa ora 209 euro, ma anche gli altri due modelli già a listino hanno subìto un sensibile taglio dei prezzi. L’iPod Touch da 32 GB costa ora 259 euro (prima 329 euro), mentre il modello da 64 GB passa a 309 euro, contro i 439 euro. torna al sommario Microsoft e Nokia credono in Android: ecco X2 Confermate le indiscrezioni sul nuovo smartphone Nokia-Microsoft con il robottino a bordo: X2 è realtà e porta con sé anche la tecnologia dual-SIM e un ventaglio di colori di Michele LEPORI 10 il meglio dell’intrattenimento SKY offerto dal servizio in mobilità” commenta Manuela Lavezzari, direttore marketing di ASUS Italia. Per scaricare Sky Go sul proprio tablet, i clienti Asus dovranno passare dallo store dedicato ASUS Plus, disponibile sul Play Store di Google. Con l’arrivo di Asus, Samsung non è più quindi la sola azienda del mondo Android a proporre Sky Go come applicazione, e forse sarebbe ora di allargare ulteriormente l’utenza anche verso altri produttori. MOBILE Skype è dunque controllabile con comandi vocali Skype per Windows Phone 8.1 Ora la app funziona con Cortana S di Paolo CENTOFANTI kype aggiorna la sua app per Windows Phone 8.1 con l’integrazione con Cortana. Diventa possibile controllare l’app in modo completo con comandi vocali in linguaggio naturale.Una delle principali nuove funzionalità di Windows Phone aggiunte con l’aggiornamento 8.1 è sicuramente Cortana, il sistema di controlli vocali in linguaggio naturale di Microsoft. Cortana è stato aperto anche ad applicazioni di terze parti e una delle prime a sfruttare questa possibilità è Skype. Con il nuovo aggiornamento dell’app, infatti, Skype è ora completamente controllabile con comandi vocali, anche senza aprire direttamente l’app. Per chiamare un contatto con Skype basterà, infatti, dire a Cortana qualcosa del tipo “chiama tizio con Skype”, questo almeno quando l’assistente vocale verrà reso disponibile anche in italiano. Ricordiamo, infatti, che al momento Cortana funziona unicamente in inglese e impostando in questo modo la lingua di sistema di Windows Phone 8.1. Potete leggere la nostra prova completa di Windows Phone 8.1 per tutti i dettagli su Cortana e le altre novità dell’ultima versione del sistema operativo mobile di Microsoft. Ne avevamo già parlato, e ora Microsoft e Nokia lo annunciano ufficialmente: Nokia X2 è realtà, segno che a Redmond credono nelle potenzialità di Windows Phone senza perdere di vista la popolarità e la penetrazione di mercato dell’OS di Google. Con la prima generazione di X, Microsoft e Nokia hanno fuso la veste grafica di Windows Phone e dei servizi Microsoft con le potenzialità d’uso di Android: una scelta che il mercato ha accolto tiepidamente ma che ha spinto il colosso americano a provarci nuovamente con un terminale che farà del prezzo entry level (99 euro) e di colori lucidi quali verde, arancione e nero (giallo, bianco e grigio a breve) due armi importanti per ottenere favori del pubblico e quote di mercato. A livello tecnico, l’X2 conferma i rumors: schermo da 4,3”, processore dual-core da 1,2 GHz e 1 GB di RAM che non fanno gridare al miracolo rispetto al modello precedente ma che gli utenti sperano possa far fare un salto di qualità nell’esperienza d’uso, che sul primo X mancava soprattutto di reattività nel passaggio fra le app in multitasking. L’arrivo sul mercato europeo (e italiano) è previsto per il prossimo luglio. Clicca qui per il video. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MOBILE Abbiamo provato rapidamente il nuovo Surface Pro 3: la realizzazione è impeccabile. Prezzo a partire da 819 euro Surface Pro 3, le nostre prime impressioni d’uso Il competitor diretto è il Macbook Air, ma Microsoft è fermamente convinta di avere qualche freccia in più al suo arco M di Roberto PEZZALI icrosoft ha presentato in Italia Surface Pro 3 e, con qualche settimana di ritardo rispetto ai colleghi americani, siamo riusciti a mettere le mani per qualche minuto. Il nuovo “laptop replacement” made in Redmond è per Microsoft il prodotto della svolta, almeno per quanto riguarda la gamma Surface: dopo aver vacillato tra il Surface consumer (quello con Windows RT) e il Surface Pro l’azienda ha finalmente capito che forse è quest’ultimo il ramo dal quale trarre più soddisfazioni. Microsoft è particolarmente ambiziosa a riguardo, lo stesso Luca Callegari, Direttore Marketing di Surface per l’Italia, ci confida che il prodotto messo nel mirino è il Macbook Air di Apple. Professionisti, creativi, utenti evoluti: il target di Surface Pro 3 è abbastanza ampio e abbraccia tutti coloro che desiderano portabilità, leggerezza, flessibilità e, ovviamente, necessitano di Windows come sistema operativo, per la precisione Windows 8.1 Pro. Surface Pro 3 resta un tablet, ma grazie ad una serie di accorgimenti, come la tastiera con blocco magnetico e il kickstand, Microsoft ha cercato di proporre la migliore esperienza notebook possibile, con possibilità quindi di digitare con il tablet appoggiato ad un piano o anche sulle gambe. Leggero e ben costruito Con Surface Pro 3 Microsoft ha fatto un lavoro eccezionale dal punto di vista costruttivo e sicuramente non ha lesinato gli sforzi: leggerezza e robustezza si ottengono investendo sui materiali e basta guardare le cerniere del kickstand e la lavorazione del cabinet in magnesio per capire il motivo di un prezzo che è quasi triplo rispetto a quello di un normale tablet. Lo spessore di soli 9.1 mm e il peso di 800 grammi lo rendono facilmente trasportabile, anche se non è leggerissimo da tenere sospeso con una mano sola. Lo schermo da 12” in formato 3:2 restituisce una ampia area di visualizzazione per la fruizione di web e app e, se a prima vista ci spaventava la risoluzione molto elevata (2160 x 1440 pixel), dobbiamo ammettere che sia il desktop sia le app più usate (anche la suite Adobe nella sua ultima versione grazie al supporto HiDPI) si presentano godibili e funzionali, senza tasti troppo piccoli e con una buona area di schermo sfruttabile. Non siamo riusciti, ovviamente, a provare l’autonomia: Microsoft dichiara 9 ore di navigazione web, ma sicuramente con un uso più “creativo” (rendering, visione video, gaming) l’autonomia scende di qualche ora. Le performance ci sono sembrate molto buone sulla versione base, aspetto tutt’altro che scontato considerando il numero di pixel che la scheda video integrata deve gestire. La configurazione scelta, comunque, impatta sulle prestazioni del sistema. Ottima la penna, pratica la tastiera Tra i punti che più abbiamo apprezzato di Surface Pro 3 ci sono la nuova penna e la tastiera. La penna è sta- torna al sommario video lab ta rinnovata nel design e nella distribuzione dei pesi: sembra di tenere in mano una vera penna a sfera, con il giusto bilanciamento e un buon grip. Premendo il tasto nella zona superiore si accede direttamente a One Note, mentre il supporto per le altre app sarà integrato più avanti. Dalla penna ci aspettavamo una minore sensibilità rispetto a quella del modello precedente, che aveva un digitalizzatore a 1024 punti di pressione (quella nuova ne ha solo 256), tuttavia in ambiente One Note sembra che la reattività e la precisione siano addirittura migliori, con una scrittura quasi analogica. Buona anche la tastiera: il doppio aggancio è effettivamente stabile, ma un notebook offre comunque una impressione diversa, soprattutto se dobbiamo tenerlo sulle gambe. La nuova cover ha comunque il touchpad cliccabile, una superficie maggiore e tasti leggermente più ampi che facilitano la scrittura: dopo aver provato a digitare un breve testo possiamo dire che effettivamente la tastiera restituisce un feedback simile a quello delle tastiere piatte usate sui migliori ultrabook. Prezzo alto, ma il target è Apple Resta il prezzo: si parte da 819 euro per la versione con processore Core i3 e 64 GB di SSD, ma visto l’ingombro del sistema operativo consigliamo di stare almeno sul modello con Core i5 e 128 GB di SSD, per il quale servono però 1019 euro. A questo vanno aggiunti il costo della penna (54,99 euro) e della cover (134,99 euro) per un totale di circa 1200 euro. Considerando il prezzo del Macbook Air da 13” con 128 GB di SSD, 1029 euro, si può dire che i prodotti sono “allineati”: Surface offre uno schermo touch, un display a risoluzione maggiore e la possibilità di uso come tablet, il Macbook, risponde con uno schermo leggermente più ampio, maggiore autonomia ed una tenuta migliore del suo valore nel tempo. Come “gift” a chi preordina Surface Pro 3 Microsoft regala una copia di Office 365 Personal: il tablet sarà disponibile in Italia a partire dal 28 agosto, pronto per il “back to school”. Il kickstand è robusto e ha regolazioni quasi infinite. Ottima la gestione della penna, nonostante in realtà utilizzi soli 256 livelli di pressione. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MOBILE Per la prima volta il display super AMOLED su un tablet Samsung, il design riprende quello del Galaxy S5 Preview Galaxy Tab S, il display è la marcia in più Con Galaxy Tab S, nuovo premium tablet, Samsung sfida il predominio dell’iPad. Sarà lui il nuovo campione dei tablet? di Roberto PEZZALI arrivato nei negozi italiani Galaxy Tab S, l’ultima fatica di Samsung in fatto di tablet. Due modelli, che vedono per la prima volta al debutto il display super AMOLED su un tablet dell’azienda coreana. Un esperimento era già stato fatto con il Galaxy Tab 7.7, ma è la nuova gamma S a riportare l’attenzione sulla necessità di un display di qualità su un dispositivo come il tablet dove il display è praticamente tutto. È video Un Galaxy S5 fatto tablet Con Galaxy Tab S Samsung ha trasformato in tablet il Galaxy S5: dalla finitura posteriore ai materiali usati (la solita plastica) il tablet S ricorda molto lo smartphone top di gamma, nel bene e nel male. Qualcuno potrebbe preferire un tablet più solido (iPad o Xperia Tablet Z2), ma tolti i materiali il tablet Samsung ha i suoi validi argomenti di vendita. Tra questi il peso e lo spessore davvero ridotti, oltre a un buon grip che permette di afferrare senza problemi con una mano il prodotto. I due modelli, uno da 8.4” e uno da 10.5”, sono praticamente identici, e la cosa vale anche per la risoluzione del display che per entrambi è pari a 2560x1600 pixel, situazione che pone il modello più piccolo in vantaggio per definizione dello schermo. Samsung ha deciso di distribuire in Italia solo i due modelli LTE 4G (che permettono anche di telefonare) al prezzo di 499 euro e 599 euro, prezzi allineati al mercato dei tablet top di gamma con un occhio ovviamente all’iPad, che nella sua versione Air Wi-Fi + Cellular costa 599 euro, come il Galaxy Tab S. Dal Galaxy S5 i tablet ereditano anche qualche componente hardware come il sensore fingerprint (stessa logica dello smartphone) ma sono privi di sensore per il battito cardiaco. Curiosa la scelta di Samsung per il processore: per la prima volta arriva in Europa, e quindi in Italia, un tablet con processore a otto core Exynos 5, il 5430. Siamo davanti a un SoC con architettura bigLITTLE dotato di quattro CPU A15 da 2.1 Ghz e di quattro CPU ARM A7 da 1.5, con GPU Mali Midgard dotata anche di decodifica hardware HEVC. Un’ottima soluzione quest’ultima che dovrebbe aiutare a gestire il display a elevata risoluzio- La fotocamera è da 8 MP per entrambi, il “bollino” tondo è l’aggancio per la cover. Il retro ha lo stesso pattern del Galaxy S5. torna al sommario SAMSUNG GALAXY TAB S DA 10.5” lab ne, affiancato per la parte audio da un co-processore dedicato Cortex A5 denominato Seiren per la decodifica dei flussi audio. Il nuovo processore Samsung, costruito con tecnologia a 20 nanometri, è affiancato dal modem Intel XMM7260 LTE Category 6 (300mbit/s), al debutto su un prodotto consumer. Una scelta curiosa: una soluzione basata sullo Snapdragon 800 sarebbe stata più affidabile e sicura, ma quasi sicuramente la decisione è più politica che tecnologica, con Samsung che probabilmente vuole dimostrare a Qualcomm che può fare a meno di lei. Speriamo che a rimetterci non sia il consumatore (leggi scarso supporto negli aggiornamenti): le performance del tablet ci sono sembrate davvero buone, anche se in alcune situazione una piccola lag è avvertibile, soprattutto sul browser. Servirà un test più approfondito con un software più maturo per trarre conclusioni. La potenza c’è, quello che manca forse è un po’ di ottimizzazione. Il display è davvero bello (e preciso) Il punto di forza del Galaxy Tab S è il display, un piccolo capolavoro di tecnologia che grazie all’eliminazione Il display è davvero ottimo, impossibile percepire la retinatura, solo da una distanza super ravvicinata si vede la trama dei pixel. SAMSUNG GALAXY TAB S DA 8.4” della retroilluminazione (un AMOLED è self emitting) riesce a mantenere lo spessore del tablet decisamente ridotto. I due display, nonostante la risoluzione, non sono propriamente identici: quello da 8.4” è realizzato utilizzando la tecnologia Diamond Pixel, una sorta di PenTile che usa subpixel condivisi, mentre quello da 10.5” è un vero display RGB. In entrambi i casi è impossibile percepire la retinatura e quello che più si apprezza è la resa cromatica, a tratti forse troppo satura, ma comunque precisa e fedele. Il display del Galaxy Tab S è probabilmente uno dei migliori display mai prodotti per tablet, e la conferma è arrivata anche da DisplayMate nelle scorse settimane. Con una serie di profili colore preimpostati e una buona luminosità anche alla luce del sole, il display AMOLED dei nuovi tablet Samsung copre il 90% della scala colore AdobeRGB e copre senza problemi sia sRGB che REC709, lo spazio colore dei contenuti video HD. A bordo si trova la suite completa di applicazioni Samsung con interfaccia personalizzata, Magazine UX e possibilità di multi window: i prezzi sono di 499 e 599 euro, prezzi premium ma comunque allineati a un mercato dei tablet di fascia alta dove un Xperia Tablet Z2 costa di listino 699 euro. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE MOBILE Google ha annunciato alcune feature che avvicinano i Chomebook ai terminali Android Chrome OS e Android sempre più vicini Alla conferenza per gli sviluppatori, Google ha mostrato app Android girare su Chrome OS di Emanuele VILLA ono mesi che ci si interroga sul motivo per cui Google mantenga un sistema operativo per smartphone e tablet e uno specifico per notebook, che com’è noto identifica un’intera categoria di prodotto: i Chromebook. Il giorno in cui Google ne eliminerà uno dei due estendendo l’altro è ancora lontano, ma si percepiscono i primi segnali di avvicinamento. D’altronde Sundar Pichai è attualmente a capo sia di Chome che di Android, e difficilmente tra i suoi piani vi sarà il mantenimento del doppio binario: a questo Google I/O, l’azienda ha annunciato estese possibilità di dialogo tra i due sistemi, come la possibilità di sbloccare un Chomebook tramite pairing con smartphone Android, oppure la visualizzazione delle notifiche di Android in un pannello di Chrome OS e via dicendo. In realtà, più che le novità concrete, ciò che conta sono i segnali di netto Il nuovo router di Netgear Nighthawk X6 lavora contemporaneamente sui 2,4 GHz e su due bande a 5 GHz, per una capacità di banda complessiva di 3,2 Gbit/s S di Paolo CENTOFANTI avvicinamento tra i due sistemi, confermato dal fatto che lo stesso Sundar Pichai ha dimostrato la compatibilità di Chrome OS con app native Android, in particolare Evernote, Flipboard e Vine. Si suppone che un giorno (Pichai dice “Siamo ancora ai primi passi”, per cui non proprio domani) tutte le app Android saranno liberamente scaricabili e impiegabili su Chromebook. Ma con un problema: l’interfaccia touch. I Chromebook, eccezioni escluse, non hanno display touch, e l’ipotesi di realizzare due versioni di ogni app è fantascienza: molto più probabile che venga intensificato l’uso dei display touch nel Chromebook, con tanto di inserimento di una tastiera virtuale. Ma a quel punto, non sarà diventato semplicemente un tablet Android? PC Al Samsung SSD Global Summit 2014 l’azienda coreana annuncia in pompa magna 850 Pro Samsung 850 Pro, il primo SSD con tecnologia “3D” È la prima memoria SSD con tecnologia 3D Vertical NAND, con memoria da 128 GB a 1 TB L di Michele LEPORI a kermesse coreana in quel di Seul è l’occasione per Samsung di togliere il velo su 850 Pro, l’ultimo nato nel ricco panorama di memorie SSD offerte a professionisti e videogiocatori in cerca di pura prestazione: se con il predecessore Samsung era riu- torna al sommario Netgear lancia il router Tri-Band scita a catalizzare l’attenzione sui propri SSD grazie a prestazioni di livello unite a prezzi competitivi, con 850 Pro Samsung aggiunge potenza grazie all’implementazione della tecnologia V-NAND, ribattezzata dalla major coreana 3D NAND. Da anni era noto che la scalabilità del NAND, l’architettura flash standard dei dischi SSD, fosse destinata ad arrivare ad un punto-limite per questioni fisiche legate alle dimensioni dei transistor: 20 nm sembra proprio essere il massimo che si può chiedere a questa tecnologia ed ecco che, per sbrogliare la matassa, Samsung ha pensato di terminare lo sviluppo basandosi su una struttura a celle verticali, da cui V-NAND. Questa struttura permette la nascita dell’850 Pro con prestazioni di primo livello: velocità di lettura e scrittura rispettivamente fino 550 MB/s e 520 MB/s con lettura e scrittura casuale fino a 100.000 operazioni IOPS (la prima) e 90.000 IOPS (la seconda). A garantirne l’affidabilità ci pensa la funzione Dynamic Thermal Guard che tiene sotto controllo le temperature generate da 850 Pro e ne evita il surriscaldamento. La commercializzazione del disco SSD 850 Pro è prevista da metà luglio in 53 Paesi, fra cui l’Italia, con tagli di memoria pari a 128 GB, 256 GB, 512 GB e 1 TB, ma non si hanno ancora indicazioni sui prezzi. Netgear ha annunciato il lancio del nuovo router Nighthawk X6 (codice prodotto R8000), il primo Tri-Band. Non si tratta di un nuovo standard, bensì della possibilità di utilizzare una banda aggiuntiva sui 5 GHz rispetto ai “normali” router dual band. Il router è dotato di sei antenne ed è in grado di offrire fino a 600 Mbit/s sui 2,4 GHz in 802.11n e fino a 1,3 GBit/s su ciascuna delle due bande a 5 GHz simultaneamente, per una capacità complessiva di 3,2 GBit/s in wireless. Chiaramente non si tratta della velocità massima raggiungibile da ciascun dispositivo, ma dalla capacità complessiva del router. Il Nighthawk X6 è basato sul nuovo chipset WiFi a 5 GHz di Broadcom XStream platform e integra un processore ARM dual core da 1 GHz per le funzioni di routing e NAS del dispositivo, con 256 MB di RAM e porte USB 2.0 e 3.0. Il router Netgear ripropone la tecnologia Beaforming+ che consente di utilizzare la configurazione MIMO delle antenne per indirizzare il migliore segnale possibile direttamente verso un dispositivo collegato. Il Nighthawk X6 è stato per il momento annunciato per mercato americano, dove verrà venduto a un prezzo di listino di 299,99 dollari, tasse escluse. Rock’n’Go. Loewe Speaker 2go. Speaker Bluetooth portatile con funzione vivavoce, NFC e fino a 8 ore di autonomia. Sound 2.1 integrato da 40 Watt. Prezzo al pubblico: 299 Euro. www.loewe.it n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA Novità operative per la serie di sintoamplificatori Aventage Yamaha: Wi-Fi e Wireless Direct sono di serie Yamaha rinnova i sintoampli Aventage con la Serie 40 I cinque modelli della serie 40, già di alto livello, aggiungono importanti novità anche nel controllo dell’elaborazione DSP di Roberto FAGGIANO a serie Aventage con il suffisso 30 di Yamaha aveva già raggiunto livelli di assoluto rilievo e mancava davvero poco per raggiungere tutte le aspettative degli aspiranti utenti: collegamenti wireless e maggiore flessibilità delle elaborazioni DSP. Lacune prontamente colmate con la nuova serie 40, sempre formata da cinque modelli con prestazioni e potenza crescenti. I nuovi RX-A740 (699 euro), A840 (899 euro), A1040 (1.099 euro), A2040 (1.499 euro) e A3040 (2.099 euro) hanno ora tutti il collegamento Wi-Fi integrato e il Wireless Direct, in modo da L poter accedere più facilmente ai contenuti di rete e YAMAHA RX-A740 YAMAHA A3040 sfruttare meglio l’applicazione dedicata per smartphone e tablet. Altre importanti novità sono concentrate nell’elaborazione DSP, ora più flessibile grazie alla possibilità di modificare alcuni parametri direttamente dalla rinnovata applicazione AV Controller. Update: Yamaha ha annunciato che i modelli 2040 e 3040 saranno compatibili con Dolby Atmos dal prossimo autunno con aggiornamento firmware. Sul top di gamma 3040 troviamo anche il Cinema DSP HD3 e la calibrazione automatica YPAO che viene ora svolta in modalità 3D con misurazioni multiple per angolazione e asse, in modo da avere il miglior controllo delle caratteristiche acustiche dell’ambiente. Le altre caratteristiche tecniche e l’estetica dei nuovi modelli della serie Aventage non hanno subito modifiche, ritroviamo quindi convertitori ESS dal modello 1040 e upscaling video 4K, AirPlay, DLNA, compatibilità FLAC e Spotify. La potenza disponibile è più che abbondante per tutti i modelli, per esempio sul top di gamma 3040 ci sono 150 watt RMS su nove canali, mentre sul 1040 la potenza “scende” a 7 x 110 watt RMS. Cosa manca? Per essere completi i nuovi Aventage avrebbero potuto offrire anche il Bluetooth, ma forse per questo livello di apparecchi non è stato ritenuto così indispensabile. HI-FI E HOME CINEMA Da Yamaha il primo proiettore sonoro che si trasforma in un supporto per televisori fino a 55 pollici Il proiettore sonoro Yamaha si trasforma nella soundbase SRT-1000 Un progetto semplificato per rendere più accessibile il diffusore, che si controlla tramite l’app Home Theater Controller di Roberto FAGGIANO proiettori sonori Yamaha per l’Home Theater hanno sinora dimostrato di dare una resa migliore rispetto alle soundbar, a scapito però di dimensioni maggiori della media e prezzi altrettanto superiori. Il nuovo proiettore sonoro SRT-1000 (499 euro) riesce a infrangere I torna al sommario entrambe le cose: la forma è infatti quella di una soundbase, cioè ampia ma sottile per poter ospitare un televisore. Precisamente, le misure sono di 78 x 7 x 37 cm (Lx Ax P), in grado di abbinarsi a televisori da 40 fino a 55 pollici con peso fino a 40 kg. Per l’ascolto musicale è disponibile il Bluetooth con aptX per il collegamento senza fili di smartphone e tablet. Il controllo del diffusore può avvenire tramite l’app gratuita Home Theater Controller, dalla quale si può impostare il proprio punto d’ascolto nell’ambiente e selezionare la sorgente con uno dei quattro effetti DSP disponibili, ma volendo il diffusore è in grado di memorizzare i comandi fondamentali del telecomando del televisore, come accensione e variazione del volume. Il diffusore integra i decoder per colonne sonore Dolby Digital e DTS. Disponibile anche la funzione che esalta i dialoghi e il livellamento automatico del volume con le diverse sorgenti. Gli ingressi purtroppo non prevedono la presa HDMI, bisognerà optare per un collegamento digitale tramite i due ingressi ottici o quello coassiale; in opzione anche l’ingresso analogico per TV molto vecchi. In uscita è disponibile il segnale per un eventuale subwoofer at- tivo aggiuntivo. Tecnicamente, SRT-1000 utilizza 8 piccoli tweeter, 5 dei quali fungono da proiettori sonori per ricreare gli effetti surround, mentre la gamma media e bassa è affidata a due woofer ellittici frontali e due subwoofer che diffondono verso il basso. La potenza disponibile è di 2 watt per ogni tweeter, 2 x 30 watt ai woofer e 2 x 30 watt ai subwoofer. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE FOTOGRAFIA Due anni dopo le reflex da 36 Megapixel, Nikon annuncia la nuova ammiraglia Nikon D810: evoluzione ma non rivoluzione La reflex presenta grosse innovazioni su autofocus, intervallo ISO e funzioni di ripresa video di Michele LEPORI I rumors su internet giravano da parecchio, ora Nikon li ricopre di ufficialità annunciando l’uscita sul mercato della nuova ammiraglia D810 che eleva gli standard e le caratteristiche tecniche utili ai fotoamatori, ma che dà anche una grossa accelerata sul pedale della qualità video. Rimanendo fedele alla tradizione della serie 800, la nuova D810 mantiene lo standard di 36,3 MP con sensore in formato FX senza filtro lowpass ottico supportato dal processore Nikon EXPEED 4 che promette nitidezza e gamma cromatica mai viste prima. Notevolissimo anche il lavoro svolto dalla casa giapponese sull’intervallo di sensibilità ISO che vede ora un range di 64-12.800 estensibile fino a 51.200. Nikon ci tiene poi a sottolineare l’ottimo lavoro svolto sull’AF della D810: il nuovo modo Area AF a gruppo promette ac- Con un nuovo accessorio che tiene saldamente unite due videocamere, GoPro realizza un sistema che permette la registrazione di foto e video simultaneamente e di filmati in 3D di Andrea ZUFFI quisizioni immediate anche per soggetti piccoli in condizioni al limite dello scatto e il sistema AF a 51 punti Multi-CAM 3500 FX promette di regalare immagini alla massima risoluzione disponibile fino a 5fps, ma anche fotografie da 15,3 MP fino a 7fps in modalità DX. Novità annunciate anche per otturatore/pentaprisma, che dovrebbe stabilizzare maggiormente l’immagine inquadrata nel mirino e scongiurare il pericolo di micromossi grazie all’otturazione a prima tendina elettronica. Comparto video di pari livello a quello fotografico per la D810, che è in grado di registrare in FullHD a 50p/60p con livelli di disturbo quasi inesistenti e che promette grandi cose anche a livello audio, con il suo microfono stereo integrato e con D-Movie multi-area che permette la regolazione dei livelli prima e durante il video. Interessante anche lo zoom con schermo diviso Live view che consente di controllare i piani e la nitidezza dei dettagli in due porzioni sul display posteriore da 3” e 12.290 punti. Completano la dotazione di serie un pacchetto software quali Nikon Picture Control 2.0, che permette di intervenire anche durante le riprese o le sessioni fotografiche permettendo elaborazioni in tempo reale su nitidezza, luminosità, colore e saturazione; mentre la nuova impostazione Uniforme “Flat” lavora sulla conservazione dei dettagli sia alle alte luci che per le ombre. Nikon sembra pronta a replicare il successo della prima D800 con una reflex assolutamente votata all’utilizzo a tutto campo, tanto per fotografi quanto per videomaker: non ci resta che aspettare di avere un esemplare in test per una prova completa. FOTOGRAFIA Aperture e iPhoto verranno sostituiti da Photos per OS X, non prima del 2015 Apple dice addio ad Aperture e Adobe ringrazia L’annuncio in anteprima al WWDC 2014. Verrà integrato sia in iOS 8 che in OS X Yosemite di Paolo CENTOFANTI A pple ha lanciato il concetto di camera oscura digitale con il software Aperture nel 2005, ma da allora il programma ha ricevuto via via sempre meno aggiornamenti ed è stato superato da alternative come Lightroom di Adobe. Ora Apple annuncia ufficialmente la cessazione dello sviluppo di Aperture che, come iPhoto, verrà sostituita dalla nuova app Photos, che però non vedrà la luce su OS X prima del 2015. Photos è il nuovo programma di gestione della libreria di torna al sommario GoPro Dual Hero Due videocamere unite per il 3D “estremo” foto e l’editing che verrà integrato sia in iOS 8 che in OS X Yosemite ed è stata mostrato in anteprima al keynote del WWDC 2014. Se da un lato aggiunge la funzione di libreria fotografica iCloud, con modifiche che si riflettono automaticamente in tutti i dispositivi iOS e OS X, dall’altro Photos per OS X sembra più un sostituto per iPhoto che per Aperture, con un approccio molto meno professionale, anche se le nuove regolazioni “composite” sembrano essere intuitive quanto potenti, dal poco che si è visto alla presentazione. GoPro annuncia il sistema “Dual Hero” per la propria videocamera Hero 3+ Black Edition, aggiungendo così la possibilità di cattura simultanea di video e foto in alta risoluzione e la registrazione di filmati in 3D. Dual Hero System è in sostanza un nuovo accessorio che permette di affiancare e unire saldamente due Hero 3+ rendendole controllabili come fossero un unico apparecchio in grado di scattare foto e catturare video simultaneamente o doppi video in 2D sincronizzati: in questo caso il software di editing scaricabile gratuitamente farà il resto, convertendo in 3D quanto filmato. l kit Dual Hero, composto da una custodia impermeabile fino a 60 metri e un paio di occhialini 3D costa 199,99 euro. A questo spesa vanno però aggiunti circa 400 euro per l’acquisto di una seconda videocamera. Sempre che se ne possieda già una, altrimenti ce ne vorranno 800 per acquistarne due, portando così il costo dell’intero sistema a circa 1000 euro. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE AUTOMOTIVE La vettura “green” arriverà in Europa nell’estate 2015 al prezzo di 50.000 euro Toyota punta sull’alimentazione a idrogeno FCV fa 700 chilometri con un singolo pieno e il rifornimento completo dura circa tre minuti N di V. R. BARASSI on ha ancora un nome “definitivo” ma quella che fin dalla sua prima presentazione è stata denominata FCV (Fuel Cell Vehicle) ha già un prezzo e una data di uscita. La tecnologica berlina di Toyota arriverà in Giappone ad aprile 2015 e in Europa e USA qualche mese più tardi, in estate; sarà proposta a un prezzo di listino di circa 7 milioni di Yen che al cambio attuale equivalgono a poco più di 50.000 euro. Ma perché spendere tutti questi soldi? Il motivo è presto detto: FCV è la prima auto alimentata a idrogeno di Toyota destinata alla produzione di serie. L’obiettivo dell’azienda nipponica è quello di proporre una vettura dotata delle migliori tecnologie “green” attualmente disponibili, superando allo stesso tempo tutti i limiti delle attuali automobili elettriche. FCV è la risposta giapponese alla Tesla Model S, automobile totalmente elettrica che tanto ha fatto parlar di sé nei mesi passati; ma è anche un’auto totalmente diversa nella concezione poiché l’idrogeno è tutt’altra cosa. Grazie a una tecnologia proprietaria che sfrutta Un nuovo processo di cracking dell’ammoniaca potrebbe risolvere il problema di stoccaggio e di produzione dell’idrogeno per i motori a celle di combustibile di Paolo CENTOFANTI reazioni tra idrogeno e ossigeno, Toyota è riuscita a realizzare un’automobile capace di fare circa 700 chilometri con un singolo pieno di idrogeno (che si effettua in circa 3 minuti!); nessun accenno sulle prestazioni dell’automobile in questione (forse il vero punto forte delle elettriche che sono in grado di offrire tutta la coppia a “0 giri”), ma non dovrebbero essere lontane da quelle dei normali motori a combustione. Il vero problema dell’idrogeno è che difficilmente vedremo sorgere distributori in Italia. La tecnologia è buona, le auto arriveranno presto ma servono investimenti importanti in questa direzione, probabilmente qualcosa che il nostro Paese attualmente non può permettersi. In Giappone il governo ha messo fior di quattrini a disposizione di Toyota al fine di agevolare la diffusione di tale tecnologia. Il risultato? In Giappone arriveranno presto centinaia di stazioni di rifornimento di idrogeno. E sono avanzati anche soldi per 50 analoghe stazioni su tutto il territorio della California, primo stato USA in cui debutterà la FCV. AUTOMOTIVE La nuova Tesla andrà a competere nella fascia di prezzo di BMW Serie 3 e Audi A4 La Model E sarà la Tesla a un prezzo abbordabile Arriverà, forse, nel 2016 la prima auto elettrica Tesla pensata per un mercato più ampio T di Paolo CENTOFANTI esla Model S è l’unica automobile elettrica in grado di competere davvero per autonomia e prestazioni con le sue dirette concorrenti con motore a combustione, ma stiamo parlando di un veicolo dal prezzo intorno ai 70.000 euro, inarrivabile per la maggior parte delle persone. Le cose cambieranno con la Model E, la prima automobile che Tesla pensa di poter offrire a un prezzo decisamente abbordabile. Lo conferma in un’intervista il vice presidente della meccanica di Tesla, Chris Porritt, che spiega come l’innovativa azienda automobilistica californiana punti a competere nella stessa fascia di prezzo delle BMW Serie 3 e Audi A4, grosso modo la metà rispetto alla Model S. Per raggiungere questo risultato la Model E avrà poco a che spartire con la Model S: torna al sommario Una scoperta potrebbe lanciare la rivoluzione dell’idrogeno niente telaio in alluminio, ad esempio, e sarà del 20% più piccola. Ma per abbassare ulteriormente il price point delle auto Tesla, occorrerà aspettare che venga completata la Gigafactory, lo stabilimento che permetterà di ridurre i costi di produzione delle preziose batterie, il componente che più grava sul prezzo complessivo di tutte le auto elettriche. Prima della Model E, arriverà sul mercato il SUV Model X, auto a sette posti che dovrebbe uscire nel 2015. Per la berlina “economica” si dovrà, invece, aspettare la fine del 2016. Il motore a celle di combustibile è efficiente e pulito ma, nel caso dell’idrogeno come carburante, pone non pochi problemi per quanto riguarda il suo stoccaggio, la produzione e la creazione di una rete di distribuzione. Il risultato di una ricerca inglese sembra aver trovato la soluzione a questi problemi. La chiave è il cracking dell’ammoniaca, ovvero la reazione chimica che permette di estrarre l’idrogeno da ogni molecola di NH3 (l’ammoniaca appunto). Il cracking è già possibile, ma con le tecniche tradizionali il catalizzatore della reazione è costituito da metalli preziosi costosissimi che rendono il processo non sostenibile economicamente. Ora gli scienziati Bill David e Martin Jones del Science and Technology Facilities Council britannico, hanno trovato un modo di sfruttare l’ammoniaca come fonte di idrogeno, utilizzando una doppia reazione che utilizza un materiale molto più economico come l’ammoniuro di sodio. L’ammoniaca può essere immagazzinata in taniche di plastica a bassa pressione direttamente sull’auto e la sostanza viene già utilizzata come materia prima per la realizzazione di fertilizzanti, ambito per il quale esiste già una rete di distribuzione che può essere utilizzata come il punto di partenza per creare l’infrastruttura anche per il settore automobilistico. La scoperta è ritenuta di portata rivoluzionaria e il team dell’STFC ha lanciato un appello affinché altri scienziati si uniscano alla ricerca per mettere a punto ulteriori dettagli ancora da risolvere. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE AUTOMOTIVE Diventano 29 i produttori di auto che integrano CarPlay sui propri modelli Apple CarPlay anche su Fiat e Alfa Romeo Anche le automobili del gruppo Fiat con i suoi marchi di punta diventeranno “intelligenti” S di Roberto PEZZALI ono 29 i produttori di auto che stanno lavorando all’integrazione di CarPlay di Apple: la notizia arriva direttamente dalla casa di Cupertino che ha annunciato di aver stretto l’accordo con ulteriori nove case automobilistiche, tra le quali troviamo anche i marchi del gruppo Fiat Crysler ovvero Fiat, Abarth, Alfa Romeo, Jeep, Chrysler e Dodge. Apple fa strage di produttori, e se guardiamo alla lunga lista di chi ha aderito al programma (Ferrari, Honda, Hyundai, Mercedes-Benz, Volvo, Audi, BMW, Chevrolet, Citroen, Dodge, Ford, Jaguar, KIA, Land Rover, Mazda, Mitsubishi, Nissan, Opel, Peugeot, Subaru, Suzuki, Toyota), mancano davvero poche aziende. Tra questi, è bene sottolinearlo, ci sono produttori che hanno annunciato partnership anche con Google per Android Auto pertanto nessun allarmismo: le auto- Linux Foundation annuncia la pubblicazione della piattaforma open source per i sistemi automotive mobili del futuro saranno intelligenti ma saranno in grado di collegarsi con i più noti sistemi operativi mobile. CarPlay, previsto in uscita entro fine anno su Ferrari, Mercedes, Volvo, Honda e Hyunday (alcuni modelli), permette di replicare le applicazioni dello smartphone sul display dell’automobile, ovviamente con un’interfaccia pensata appositamente per facilitare l’interazione e ridurre i rischi di distrazioni al minimo. Non mancherà, ovviamente, il supporto vocale. CarPlay, un po’ come Android Auto, è però un’estensione del sistema di entertainment dell’auto: senza uno smartphone compatibile radio, navigatore (se installato) e media player funzionano ugualmente. AUTOMOTIVE A bordo della nuova ammiraglia Hyundai c’è un sistema mai visto finora Ci sono Autovelox? Hyundai Genesis frena da sola La frenata automatica rallenta la vettura nei pressi degli autovelox segnalati dal navigatore di Vittorio Romano BARASSI N ata con l’obiettivo di soddisfare le esigenze degli automobilisti americani alla ricerca di un’ammiraglia dal costo contenuto, Genesis di Hyundai arriva anche in Europa nella sua unica versione dotata di motore a benzina da 3.8 litri. È una macchina che in Italia sarà offerta a cifre superiori ai 60 mila euro e, probabilmente, per via torna al sommario Linux passa alla guida con Automotive Grade Linux della motorizzazione e per il minor appeal rispetto alle concorrenti tedesche, non riscuoterà molto successo ma sarà ricordata per una particolarità: oltre al sensore del livello di CO2 nell’abitacolo, monta un sistema di frenata automatica quando l’autovettura si avvicina ad un rilevatore elettronico della velocità (che sia autovelox o tutor). Gli autovelox sono tutti segnalati sulle mappe del navigatore di bordo che “seguono” l’autovettura grazie al sistema GPS; una volta che l’auto arriva a 800 metri dal rilevatore di velocità il sistema avverte il guidatore con un segnale sonoro: se il conducente non fa nulla per rallentare, l’autovettura prende l’iniziativa e frena automaticamente il mezzo, portandolo alla velocità giusta. Ovviamente il sistema funziona esclusivamente con i rilevatori fissi; per quelli mobili tocca ancora al guidatore stare attento. di Paolo CENTOFANTI Linux Foundation ha annunciato la disponibilità di Automotive Grade Linux, una piattaforma basata su Linux per la realizzazione di sistemi di bordo per auto. Si tratta di una distribuzione costruita intorno a Tizen IVI (In-vehicle Infotainment), ma che non si limita solo alle funzioni di intrattenimento. Scopo di AGL è quello di costruire la base per lo sviluppo di una dashboard interattiva capace di controllare, oltre alla riproduzione di sorgenti e file multimediali, anche condizionatore, link ai dispositivi esterni, navigatore, sensoristica stradale e tutto ciò che di smart può essere installato sull’auto. Automotive Grade Linux, ci tiene a precisare la Linux Foundation, non è un prodotto finito pronto per l’installazione a bordo di un’auto, ma il punto di partenza per gli sviluppatori per costruire il proprio sistema di bordo. Il ruolo di AGL vuole essere per l’auto quello che in ambito PC è svolto da distribuzioni consolidate come Debian e Fedora, i “semi” da cui poi nascono tutte le distribuzioni Linux. Tra i sostenitori del progetto ci sono aziende automobilistiche come Hyundai, Jaguar/ Land Rover, Nissan, Toyota, più nomi dell’elettronica come Intel, LG, NVIDIA, Panasonic e Samsung. In quest’ottica il sistema operativo per auto Linux si pone alla stessa stregua di QNX, una delle piattaforme software più utilizzate in ambito automobilistico. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE TEST Com’è guidare un’auto elettrica? Può davvero sostituire una macchina tradizionale a benzina? Cerchiamo di scoprirlo Che bello guidare elettrico con la Ford Focus La Focus Electric è molto divertente da guidare, peccato per l’autonomia ridotta che obbliga ad un utilizzo da city car C di Paolo CENTOFANTI omplici gli (insufficienti) sforzi legislativi per forzare i produttori di automobili ad avere a listino veicoli sempre meno inquinanti, sempre più aziende offrono a catalogo anche delle auto completamente elettriche. Si tratta di macchine in cui, a differenza delle ibride, il tradizionale motore termico è completamente sostituito da uno elettrico e al posto del serbatoio del carburante troviamo delle potenti batterie ricaricabili. Un approccio radicale alla mobilità “pulita” con tanti pregi e per ora anche altrettanti difetti, non tutti di facile risoluzione nel breve periodo. Per capirne di più sulla “svolta elettrica” che, seppure con numeri ridicoli rispetto al mercato dell’auto tradizionale, ha comunque il suo fascino, abbiamo chiesto a Ford di provare per un breve periodo la sua Focus Electric, versione totalmente elettrificata della classe c americana, da poco disponibile anche in Italia. La Ford Focus Electric(ificata) Per abbassare la media delle emissioni del proprio listino di automobili, i grandi produttori stanno seguendo due strade: c’è chi come Nissan e Renault ha realizzato auto elettriche ad hoc e chi come Ford e la stessa Fiat ha optato per convertire in versione elettrica auto già esistenti. La Focus Electric rientra chiaramente in questa seconda categoria, tanto che, salvo alcuni dettagli, a prima vista è indistinguibile dal modello tradizionale a benzina o diesel. La prima differenza la si scopre aprendo il baule, dove lo spazio è sensibilmente ridotto per via della presenza delle colossali batterie ricaricabili, necessarie a immagazzinare l’energia per il propulsore elettrico: si tratta di batterie agli ioni di litio da 23 kWh e dal non indifferente peso complessivo di 300 Kg. Esternamente, invece, non si può non notare la diversa disposizione di quello che potrebbe essere scambiato per il bocchettone della benzina e che invece è lo sportellino che copre la presa di alimentazione per la ricarica della batteria. Intorno al “bocchettone” c’è un cerchio LED che si illumina di luce azzurra e indica lo stato di ricarica del torna al sommario video lab veicolo. Il motore è costituito da un propulsore elettrico con una potenza di 107 kW, pari a 142 cavalli, situato come al solito sul fronte del veicolo. Il grosso del peso del mezzo rimane così concentrato soprattutto sul retro, dove si trovano le pesanti batterie. Per garantire la migliore efficienza possibile, la Focus Electric impiega un particolare sistema di “regenerative braking” che consente di recuperare l’energia cinetica del mezzo in frenata, che va così a ricaricare un poco la batteria. Inoltre, le batterie sono tenute a temperatura controllata con un sistema di raffreddamento/riscaldamento a liquido che mantiene costantemente il range ottimale. In totale Ford dichiara un’autonoma massima di circa 160 Km, anche se come vedremo meglio su strada le cose sono un po’ diverse. Per quanto riguarda l’allestimento, Ford per la Focus Electric ha deciso di offrire praticamente una dotazione di serie che include di tutto e di più, comparabile a quella della Focus top di gamma con motore tradizionale: sistema audio Sony con navigatore satellitare e sistema Ford Sync, sedili riscaldati, fari a LED e bi-xeno, sensori di parcheggio, videocamera posteriore per l’assistenza in manovra, climatizzato- re. La versione fornitaci da Ford include anche i fari e i tergistalli automatici, oltre ai vetri oscurati. In totale la Focus Electric ha un costo di 39.990 euro di listino, il che la pone tra le auto elettriche più costose sul mercato, fatta eccezione per le Tesla naturalmente, che appartengono però a una fascia di prezzo decisamente superiore. La ricarica della batteria e l’autonomia La prima differenza rispetto a un’auto tradizionale è naturalmente che la Focus Electric si carica con la spina della corrente e non facendo rifornimento di carburante. La vettura è dotata di connettore cosiddetto di Tipo 1, che consente di caricare la batteria con una normale presa elettrica domestica: si entra in garage, si prende il cavo apposito e lo si collega con la spina alla presa come se fosse un aspirapolvere o qualsiasi altro elettrodomestico. In questo modo, però, la carica completa richiede fino a 11 ore. Rispetto ad altri veicoli elettrici, la Focus Electric, infatti, non supporta metodi avanzati di ricarica ad alta potenza a corrente continua o con trifase, che segue a pagina 27 n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE TEST Ford Focus Electric segue Da pagina 26 consentono una carica veloce in 30 minuti dell’80% della batteria. È possibile “accelerare” la ricarica utilizzando prese collegate a impianti di potenza superiore ai normali 3 KW, arrivando così al massimo alla ricarica in circa 4 ore. Il connettore Tipo 1 installato sulla Focus Electric supporta comunque al massimo impianti monofase da 7,3 KW a 230 volt e con corrente massima di 32 ampere. In dotazione ci è stato fornito anche un adattatore da spina tradizionale a industriale monofase 200/250 volt, che consente di attaccarsi anche a prese di questo tipo, presenti su molte colonnine di ricarica pubbliche, come quelle del circuito e-moving attivo in Lombardia, ad esempio. Non è però possibile utilizzare le colonnine del circuito Enel - distribuite soprattutto lungo la A1 e la A14 - che necessitano dei connettori di Tipo 2 o Tipo 3. Ciò chiaramente pone dei considerevoli vincoli sull’autonomia del veicolo. Con un raggio d’azione di circa 150 Km e tempi di ricarica così lunghi (minimo 4 ore se troviamo una presa a 32 A che possiamo utilizzare) non è possibile pensare di poter utilizzare la Focus Electric al di fuori dell’ambito cittadino, se non per brevi tragitti verso destinazioni nel raggio di 40/50 Km, dando per scontato di salvare parte della carica per tornare alla “base”. L’ansia da autonomia passa subito È innegabile che a frenare la scelta di un’auto elettrica, prima ancora dei costi, è il fattore psicologico: “con un’auto elettrica non vai da nessuna parte” è il primo pensiero che viene in mente a molti quando si parla di una macchina di questo tipo. In realtà, quello che abbiamo scoperto sulla nostra pelle con due settimane di utilizzo, è che quello dell’autonomia è un problema a metà. Certamente con un mezzo come la Focus Electric, privo di ricarica fast, i viaggi lunghi sono esclusi a priori, anche con attenta pianificazione, per cui è appurato che non si tratta di un veicolo adatto a chi si muove in lungo e largo per l’Italia per lavoro o che viaggia ogni weekend lontano da casa. Detto questo, in due settimane di utilizzo non ci siamo mai scontrati con il limite dell’autonomia. Il display dell’auto visualizza sempre lo stato della carica, il budget teorico in Km a disposizione e l’autonomia effettiva in base alle condizioni di consumo in tempo reale. Basta però accendere il climatizzato- torna al sommario Uno dei limiti maggiori dei veicoli elettrificati, cioè convertiti dai modelli esistenti e non concepiti come elettrici, è che le batterie spesso vanno a sottrarre spazio prezioso, come nel bagagliaio in questo caso. re e immediatamente perdiamo 10 Km di autonomia. Sia per l’utilizzo in città che per gli spostamenti da Milano al suo hinterland e viceversa, l’autonomia della Ford Electric è in realtà più che sufficiente. Il valore reale del raggio di azione offerto dalla batteria è di circa 120/140 Km con una carica completa: questo varia in funzione dello stile di guida ma anche delle condizioni meteo. Il fattore che incide maggiormente sull’autonomia è il condizionatore d’aria che riduce il nostro budget anche di 20 Km e oltre, seguito a ruota dallo stile di guida. La Focus Electric, con i suoi display che visualizzano l’energia recuperata con la frenata e quanto riusciamo a guadagnare sul budget di Km iniziale grazie a una buona guida, ci invoglia a guidare con più calma e “furbizia”: utilizzare il freno a motore per rallentare in vista di uno stop o una precedenza senza inchiodare all’ultimo ci regala chilometri preziosi di autonomia in più, così come mantenere una velocità di crociera costante ed effettuare partenze dolci e controllate. Un minimo di accortezza nell’uso in città e zone limitrofe ci permette di renderci presto conto che l’autonomia non è poi così limitata, almeno nell’utilizzo di tutti i giorni. Il motore elettrico della Ford è comunque all’altezza di una guida più sprint. L’auto è dotata di cambio automatico, ma in realtà non è nemmeno del tutto corretto parlare di cambio, visto che la trasmissione è diretta senza marce e il motore è in grado di erogare una coppia costante fin da subito. La Focus Electric passa da 0 a 100 Km/h in 11,4 secondi, il tutto nel più completo silenzio che caratterizza i veicoli elettrici. La velocità massima è di 137 Km/h, ma perché è autolimitata. Sta di fatto che guidare la Focus Electric è talmente un piacere da far passare in secondo piano i limiti che abbiamo visto: silenziosissima, facile da guidare, rilassante e allo stesso tempo potente quando serve e perché no, anche divertente. E una volta tornati a casa basta collegare la spina e siamo a posto, con il vantaggio che la ricarica di corrente farà si lievitare la nostra bolletta, ma i costi di rifornimento sono sensibilmente inferiori a quella di un’auto a benzina, circa 2 euro per una carica che offre 120/140 Km di autonomia, niente male. video lab Ford Focus Electric L’esperienza di guida EV promosso in città Manca però la carica veloce.. La sensazione che abbiamo tratto da questa esperienza è che già oggi un’auto elettrica è un’alternativa che può essere presa in considerazione da chi cerca soprattutto una city car. Il costo iniziale è più alto rispetto a un’utilitaria, in parte ripagabile con il più basso costo di ricarica rispetto al carburante. A ciò si aggiungono gli sgravi su bollo auto e assicurazione e vantaggi come il parcheggio gratuito (a Milano ad esempio con apposita tessera da chiedere al comune) e la circolazione libera nelle aree a traffico limitato, ma bisogna mettere in conto che occorre avere un garage per la ricarica della batteria, a meno di non avere una colonnina pubblica vicino a casa. Nel caso specifico della Ford Focus, questo tipo di scenario di utilizzo non si sposa benissimo con un veicolo di questa classe, che sembra nato per spostamenti di ben altro tipo. La Focus Electric da questo punto di vista, senza la possibilità della ricarica fast (80% della ricarica in 30 minuti, offerto da altri veicoli elettrici con le apposite colonnine), risulta notevolmente penalizzata, rendendo impraticabili viaggi sulla lunga distanza, a meno di non mettere in conto diverse ore di attesa ogni 100 Km o poco più, presso le poche colonnine presenti in Italia (e come detto, oltretutto, escludendo tutte quelle con sole prese di Tipo 2 o 3). Certo è che guidare un’auto elettrica è un piacere immenso e l’unica cosa che possiamo augurarci è che i problemi di autonomia - o con capillare diffusione di colonnine ad alta potenza o con miglioramento della capacità delle batterie - vengano risolti al più presto. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE TEST Con il G3, LG supera i limiti del precedente G2 offrendo qualcosa di inedito: un display Quad HD più grande e l’autofocus laser LG G3: in prova lo smartphone con pixel “infiniti” Cambia il look, c’è lo slot micro SD, l’interfaccia è nuova e la batteria è removibile, peccato solo che non sia waterproof di Emanuele VILLA abbiamo visto per la prima volta a Londra, in occasione della presentazione europea: ora è arrivato il momento di testare LG G3 in modo approfondito. Il telefono si pone come erede dell’ottimo G2 e, più in generale, come punto di riferimento del settore Android per i mesi a venire, forte di alcune caratteristiche tecniche superiori rispetto a tutti i concorrenti. Per un confronto “sulla carta” con i competitor diretti, in particolare Sony Xperia Z2, HTC One M8 e Samsung Galaxy S5, rimandiamo al nostro approfondimento, torniamo qui sul discorso ma con una serie di considerazioni di natura pratica. Avendo avuto la fortuna di testare G2, G Flex e G2 Mini, possiamo dire che fin da subito G3 dà l’impressione di essere diverso: più grande, sì, ma con una serie di rinnovamenti che vanno al di là del display maggiorato. Il design è molto curato e si basa sull’accostamento di sottili inserti metallici laterali con una cover di policarbonato con finitura metallica (pare si tratti di una mescola di materiale plastico e filamenti metallici) e tanto di texture tipica dell’alluminio che ricorda quella di HTC One M8: mentre Samsung rincorre il look della pelle. LG cerca il medesimo effetto estetico della cover in alluminio di iPhone o HTC One, chiaramente con una soluzione meno costosa. L’effetto è comunque piacevole alla vista e al tatto: se osservato da una certa distanza non c’è modo di distinguere G3 dalle soluzioni in alluminio unibody, ma una volta impugnato, la differenza di “feel” emerge in modo netto. In tal senso LG ha dichiarato, per voce di Chul Bae Lee, Vice President of Mobile Design, che uno chassis di alluminio avrebbe fatto lievitare il prezzo in modo importante, e supponiamo non fosse intenzione di LG realizzare un prodotto per pochi eletti: LG G3, infatti, ha un prezzo di listino inferiore di 100 euro rispetto ai top di gamma, 599 euro per la versione da 16 GB (e 2GB di RAM), contro i 699 di base di molti altri, ad- L’ Una delle caratteristiche distintive di LG G3 è la finitura metallica della cover posteriore, assente in G2. torna al sommario video LG G3 599,00 € lab INCORAGGIANTE INIZIO DELLA “NEXT-GEN” La componentistica hardware è allo stato dell’arte e questo garantisce un’esperienza d’uso eccellente in condizioni normali e di routine quotidiana. Spingendo sul multitasking lo smartphone segue a ruota, i power user potranno notare qualche incertezza/lag/scatto di fronte a pesanti carichi di lavoro, presumibile conseguenza dell’ elevato numero di pixel del display che il processore è chiamato a gestire, ma nel complesso la situazione è fluida, anche sotto il profilo grafico e del gaming. Il display ormai ha raggiunto quantità di pixel impressionanti, che si notano solo con video e foto dedicate, come quelle precaricate nel telefono, e mette in mostra un’eccellente luminosità, colori brillanti pur con un’avvertibile flessione della luminosità allontanandosi dal punto di visione ottimale. Infine, due considerazioni sul prezzo: il telefono testato è quello da 599 euro di listino, con 16 GB di storage e 2 GB di RAM. Considerando che 599 euro è un prezzo base che, con ogni probabilità, scenderà nel corso dei mesi, G3 potrebbe diventare un best buy: va bene per l’utente casual che vuole un oggetto bello e affidabile da tenere per anni, ha la potenza per soddisfare anche chi gioca e lo vuole usare assiduamente, rendendolo un po’ il cuore tecnologico di tutte le sue attività quotidiane. 8.3 Qualità 8 Longevità 8 Design 8 Simplicità 9 - Display Quad HD molto luminoso COSA CI PIACE - Design curato e piacevole COSA NON CI PIACE - Ottimo rapporto qualità/prezzo dirittura 729 euro dell’HTC One M8, il cui prezzo risente, appunto, non solo della componentistica impiegata, ma anche dei materiali pregiati che ne formano la scocca. Qui siamo a 129 euro in meno, considerando qualche componente hardware più costoso, display in primis. Il design è molto ben bilanciato: il telefono è leggero, non ha tasti capacitivi nella cornice ma solo quelli on-screen, ha una cornice estremamente sottile, soprattutto ai bordi sx/dx, che potrebbe causare qualche “tocco” e azione non voluta. Resta il fatto che il design borderless è molto carino e di chiaro gusto hi-tech. Non è più grande di G2 come telefono ma lo è il display, segno che la cornice è stata ulteriormente ridotta. L’emettitore IR sul bordo superiore rende il telefono anche un telecomando multifunzione, solita micro USB per la ricarica insieme al jack per le cuffie nella parte bassa e i tre pulsanti principali sul retro: accensione/standby, aumento e riduzione del volume, ma a questi due possono essere assegnate funzioni specifiche come l’attivazione della fotocamera a telefono spento e via dicendo. La filosofia è quindi la stessa del G2, ma qualche affinamento si nota: il bilanciere del volume ha una bella texture zigrinata e, soprattutto, quello dell’accensione è a filo del telefono e non sporge come nel G2: in pratica, non c’è più la possibilità di accendere o spegnere inavvertitamente il telefono solo appoggiandolo da qualche parte. C’è il doppio flash, c’è il sensore di messa a fuoco laser e c’è D-Factor 8 Prezzo 9 - Qualche rallentamento in condizioni di forte carico - Angolo di visione non eccezionale ovviamente la fotocamera principale: un modulo stabilizzato da 13 Mpixel con l’aggiunta dell’autofocus laser che promette, rispetto ai tradizionali sistemi a contrasto, una maggior rapidità e precisione nella messa a fuoco, soprattutto in condizioni di luce attenuata. Questa volta la batteria da 3.000 mAh è removibile e c’è lo slot micro SD: tante cose scontate, non fosse che G2 non aveva né una né l’altra. L’idea è che LG abbia voluto agire su due fronti: superare i limiti di G2, ascoltando i commenti più critici, e offrire una caratteristica da “effetto wow”, segue a pagina 29 n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE TEST LG G3 segue Da pagina 28 con il display Quad HD. Rispetto a G2, infatti, troviamo la cover removibile, il look più curato, il pulsante posteriore incassato, la fotocamera con autofocus laser, lo snapdragon 801 (contro l’800) e lo slot micro SD, ma soprattutto una nuova interfaccia, che LG dedica completamente al concetto di semplicità. Un ritorno indietro? Forse sul fronte delle personalizzazioni, ma resta il fatto che raramente abbiamo trovato un’interfaccia così “pulita”: il look “fumettoso” di G2 (per non parlare di G Flex) lascia qui spazio a un design molto più soft e maturo, meno elaborato se si vuole, ma dall’impatto più adeguato a un top di gamma. Certamente LG non rinuncia a quelli che considera i propri assi nella manica, come il Knock On e il Knock Code, che tra l’altro funzionano bene, ma di base l’interfaccia sembra molto quella standard di KitKat con un tema grafico LG e poco altro: da notare che le app principali sono contraddistinte ognuna da un codice colore che si ripropone all’interno dell’app stessa (per esempio, musica è viola, messaggi giallo e via dicendo). In questo modo, essendo grafica, font e impostazioni simili in tutto il sistema operativo, si capisce subito dove ci si trova osservando il colore della schermata. Di base sulla homescreen troviamo il widget delle previsioni Meteo (fornito da Accuweather), con l’aggiunta di consigli in un menu a tendina che LG chiama Smart Notice e che si aggiornano a seconda dell’utilizzo del telefono. Simpatico l’invito a “vestirci di conseguenza” a seguito di una previsione di temporale nell’immediato futuro: il temporale c’è stato, con un po’ di ritardo rispetto alla previsione ma c’è stato. E poi c’è anche un discorso di fitness, cui si accede scorrendo l’interfaccia verso sinistra e che ci permette di avere una preview di LG Health, che agisce tramite il contapassi e il GPS fornendo un’indicazione di calorie, tempi, passo, velocità e via di seguito. Grafica piacevole e intuitiva, con discreta ricchezza di funzioni, così come lo è il Centro Notifiche, dalla grafica “minimal” ma molto semplice da usare e interpretare. In pratica, quando si parla di grafica e user interface le considerazioni soggettive sono all’ordine del giorno, ma troviamo che il passo avanti rispetto a G2 (e G Flex) sia netto: più semplice, più moderna, senza grandi “orpelli” grafici ma molto funzionale. La strada è quella giusta. Giochiamo e stressiamolo a dovere Nonostante le dimensioni del display, G3 è sufficientemente leggero da risultare comodo durante la routine quotidiana: dà una sensazione di robustezza analoga al G2 ma ha uno schermo più grande che non sfigura. Knock on e Knock code funzionano molto bene e l’interfaccia, di base, è fluida come si conviene a un top di gamma. Anzi, il concetto di semplificazione qui può aver aiutato, e non poco. Non dimentichiamo che il display è un Quad HD da 2.560 x 1.440, cosa che da un lato rappresenta il principale plus dell’apparecchio, dall’altro comporta un onere maggiore per il processore, che vuole assicurare la medesima user experience degli altri top di gamma ma con display Full HD. LG ha optato per lo snapdragon 801 a 2,5 GHz con quantitativo “custom” da 2 o 3 GB di RAM a seconda del modello: vista l’infinità di pixel del display, la soluzione non plus ultra sarebbe stata lo snapdragon 805, ma molto probabilmente LG avrebbe dovuto attendere ancora un po’ prima di poter proporre il telefono affidandolo a una distribuzione mondiale. Abbiamo trascorso una settimana con G3, l’abbiamo inserito nella routine di tutti i giorni e stressato all’infinito: di base, l’impatto è esattamente lo stesso di tutti i top di gamma di questa generazione, ovvero gli extra-pixel non intaccano un’interfaccia fluida, passaggi tra le pagine velocissimi, lag iniziale trascurabile sulla navigazione web via dicendo. Temevamo un po’ sotto il profilo grafico per via dell’immenso numero di pixel e, di conseguenza, degli fps non irresistibili rilevati da alcuni benchmark, ma ci siamo dovuti ricredere: il problema ai fini pratici non si è posto (magari si porrà un domani, ma per ora si possono dormire sonni tranquilli). Abbiamo infatti scaricato Asphalt 8, che nonostante la risoluzione Quad HD del pannello, risulta fluido e piacevole, Taxi Drift va molto bene e stesso discorso per Into the Dead. Volevamo anche provare Fifa 14 su una densità di pixel del genere, ma purtroppo il gioco non è (ancora) compatibile con il nostro dispositivo. Ciò premesso, la routine quotidiana scorre ovviamente bene, tra navigazione web, posta e momenti di svago con gli ultimi videogame o i videoclip. La navigazione web risente (su Chrome) di una lieve lag iniziale per poi scorrere fluidissima, tale e quale agli altri top di gamma con display Full HD, e non abbiamo riscontrato problemi particolari nell’impiego classico del multitasking: LG Health sempre attivo con contapassi e (talvolta) GPS, musica di sottofondo, eventualmente un po’ di navigazione web su rete cellulare: tutto scorre in modo stabile. Solo il browser, come detto, risente di qualche limitata indecisione iniziale che tende ad aumentare in caso di multitasking massiccio, ma è tratto comune a quasi tutti i terminali Android. Morale: i pixel in più ci sono, ma l’uso normale, anche intenso, può contare su prestazioni di alto profilo. Trattandosi di un top di gamma, siamo poi passati a un impiego da power user: continui e compulsivi passaggi tra app, funzioni, download in background e via dicendo. Qui qualche momento di indecisione lo si riscontra: chi ama aprire e chiudere le app in una manciata di secondi o usare il pannello multitasking (tra l’altro molto bello con la personalizzazione LG) di continuo, potrà notare una tendina degli Smart Notice che scende a scatti, un secondo di attesa richiamando la homepage durante il multitasking massiccio, oppure qualche ritardo nell’apertura delle app dopo aver sfiorato l’icona relativa: cose che non sono determinanti nelle routine di tutti i giorni, ma è giusto segnalare anche loro. Display luminosissimo con pixel “infiniti” Un’interfaccia “pulita” e di facile approccio con tutto l’occorrente sempre a portata di mano LG Health agisce tramite il contapassi e il GPS fornendo un’indicazione di calorie, tempi, passo e velocità. Apriamo il capitolo display: ormai in condizioni normali, su un display Quad HD come questo non c’è davvero modo di vedere i pixel; siamo arrivati a un punto in cui, retina o non retina, andare ulteriormente avanti non avrebbe più molto senso a livello pratico. Ma per permettere a tutti di vedere le differenze col Full HD della passata stagione, LG ha precaricato nel telefono due video realizzati ad hoc in formato Quad HD: uno è un collage di fotografie, l’altro un video vero e proprio in timelapse. Il primo è letteralmente impressionante: pare che alle immagini sia stato applicato anche un edge enhancement per far risaltare maggiormente i profili e segue a pagina 30 torna al sommario n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 TEST LG G3 segue Da pagina 29 i dettagli, di modo tale che in determinate circostanze i pixel si riescono a vedere e sono davvero in quantità impressionante. Stesso discorso per il video in timelapse: la vividezza cromatica è notevole e i movimenti sono lenti e ritmati in modo tale da dar risalto anche al minimo dettaglio, che si vede tutto nonostante il display da 5,5’’ non sia ideale (ci vorrebbe un TV, e pure grosso). Per confrontare il tutto con un video esterno, abbiamo scaricato una piccola porzione di Timescapes in Quad HD e l’abbiamo caricata nel telefono (mp4), anche per vedere come si comporta l’hardware nella riproduzione di questo tipo di materiale: molto bene, fluido, dettaglio leggermente inferiore rispetto ai casi precedenti, ma sempre pronunciato e spettacolare, il tutto senza scie e con una buona uniformità. Qui, piuttosto, la compressione si vede tutta, ma il telefono è incolpevole. Niente male anche la riproduzione dei filmati Full HD: abbiamo registrato un video a un concerto con la fotocamera integrata (a 1080p), e il risultato a video è stato appagante sia in termini di dettaglio, sia di impatto cromatico, non particolarmente “carico” ma per questo anche più fedele della media. Foto e video, con un laser in più La parte fotografica è un altro aspetto di G3 da valutare con attenzione: rispetto a G2, il sensore è sempre da 13 Mpixel, ma lo stabilizzatore ottico è stato ulteriormente migliorato ed è stata introdotta, come novità più interessante, l’autofocus laser. Prima cosa da dire, per chiarire i dubbi: il laser è sempre acceso quando si attiva l’app fotocamera, ed emette una leggerissima pulsazione avvertibile in prossimità del sensore. La tecnologia, consiste nell’emissione di un fascio di raggi infrarossi a bassa intensità, fascio che va a “colpire” il soggetto posto a breve distanza; sulla base della rifrazione, il MAGAZINE sensore posto a sinistra della fotocamera è in grado di calcolare continuamente e con estrema rapidità la distanza tra lo smartphone e l’oggetto, regolando il fuoco di conseguenza. LG dichiara una velocità di messa a fuoco addirittura pari a 0,276 sec, superiore rispetto ai dati dichiarati dai competitor: per sua stessa natura, il sistema autofocus laser lavora bene su soggetti in prossimità e, soprattutto, in condizioni di luce attenuata, caso quest’ultimo particolarmente interessante considerando che lo smartphone è usato di solito per scatti rapidi, automatici e senza valutare le condizioni di scatto; un autofocus preciso anche al buio è un passo avanti non indifferente. Il sistema adottato da LG è ibrido: quando la messa a fuoco laser incontra le maggiori difficoltà (oggetto trasparente o troppo distante, panorami, paesaggi), interviene la messa a fuoco a ricerca di contrasto per risolvere la situazione. A livello software, la parola d’ordine è semplificazione: l’interfaccia è assolutamente basic, il fuoco è automatico ma può essere riposizionato via touch, per scattare una raffica basta tenere premuto il tasto di scatto e le opzioni sono il minimo indispensabile: risoluzione delle foto e dei video, modalità panorama, Magic Focus, doppio scatto e poco altro. LG ha deciso di puntare sulla semplicità, strizzando l’occhio agli utenti casual ma lasciando un po’ di amaro in bocca a quelli più evoluti, che comunque non disdegnano compensare l’esposizione, agire sul bilanciamento del bianco, magari sui tempi di esposizione e via di seguito. I risultati sono comunque apprezzabili in condizioni ideali di scatto, calano (rimanendo nella norma) di sera; buono il macro automatico e davvero efficiente l’autofocus laser su un oggetto ravvicinato in una stanza oscurata. Pur senza una rilevazione strumentale, il fuo- co è stato pressoché istantaneo e molto preciso. Risultati apprezzabili sotto il profilo del video 4k: registrando in pieno giorno otteniamo un quadro appagante, sia sotto il profilo cromatico che in termini di microdettaglio. Di sera la rumorosità aumenta ma l’intelligibilità dei soggetti resta discreta, sostanzialmente nella norma, il tutto assistito da colori abbastanza carichi. Clicca qui per vedere il video 4k ripreso con LG G3 Infine, il discorso batteria: temevamo che il display fosse molto oneroso e che il telefono potesse avere difficoltà nel gestire la normale routine giornaliera, nonostante i 3.000 mAh della batteria. In realtà, ci siamo dovuti ricredere: abbiamo trascorso un intero giorno a un concerto, dalla mattina alla sera tarda, con connessione dati sempre attiva, almeno 50 foto scattate e una decina di video 4k girati, abbiamo chattato con whatsapp, ricevuto qualche telefonata e consultato quasi costantemente l’email, tenendo tra l’altro sempre acceso LG Health. Ovviamente alcune foto le abbiamo condivise su Facebook e non sono mancati anche dei Tweet: per precauzione, abbiamo fissato l’attivazione automatica della modalità di risparmio energetico sotto il 50% (di default c’è il 30%), e ci siamo ritrovati a sera tarda con circa il 10% di autonomia. In condizioni di routine normale non siamo mai scesi sotto il 30%, a testimonianza del fatto che G3 è un terminale che svolge il suo mestiere senza imporci rinunce, se non in condizioni eccezionali. Va sicuramente ricaricato ogni giorno, ma arriva a sera senza problemi. Piuttosto, gli possiamo muovere un appunto sul fatto che si surriscalda con una certa facilità e in modo abbastanza intenso, soprattutto con l’uso massiccio della fotocamera o della connessione dati. I NOSTRI SCATTI DI PROVA clicca le immagini per l’ingrandimento Condizioni ideali di scatto, per un risultato apprezzabile sia ai fini del dettaglio che della resa cromatica Questa è un’ipotesi di macro automatico con scatto a raffica. Risultato buono, la foglia era mossa dal vento e si nota un discreto sfocato. torna al sommario Di sera il livello qualitativo cala. L’immagine, scattata in 16:9, resta comunque discreta a livello cromatico e mostra un livello di dettaglio nella norma. Condizioni ottime, si nota qualche limite di dinamica del sensore sulle ombre, ma assolutamente nella norma. L’oggetto è vicinissimo, l’autofocus è molto rapido. Tra l’altro, stavamo muovendo il telefono per testare l’OIS. L’immagine è ferma, la luminosità è elevata. Controluce piuttosto difficile da rendere, ma l’esito è più che dignitoso sotto tutti i parametri Buono il livello di dettaglio. Situazione estrema ma in realtà piuttosto comune: un concerto in condizioni di buio totale. Nonostante gli inevitabili limiti di dinamica, il dettaglio tiene (si notino i particolari dell’impalcatura del palco). La lavatrice intelligente Un concentrato di tecnologia mai visto prima. Classe energetica A+++ -40% Con un consumo energetico annuo di 118 kWh, Intelius è la lavatrice con la maggiore efficienza energetica sul mercato (giugno 2012 – GfK). Haier Smart Technologies Smart Drive Motor® Motore Inverter innestato al cestello della lavatrice per un’ incredibile riduzione delle vibrazioni e della rumorosità. Smart Dosing Grazie al serbatoio per detersivo e ammorbidente, Intelius ne dosa automaticamente la giusta quantità e il risparmio è assicurato! 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Una sfida non facile, che lo storico marchio giapponese ha deciso di accettare buttandosi sull’Ultra HD e con cospicui investimenti in ricerca e sviluppo, per non far rimpiangere la qualità raggiunta con le serie VT60 e ZT60 dello scorso anno. Una scommessa difficile, certo, ma non impossibile. Per la serie AX800 Panasonic si affida a pannelli LCD con retroilluminazione LED Edge e un nuovo local dimming. Ci sono la certificazione THX e il bollino Studio Master Panel che Pansonic aveva utilizzato in una formula simile per l’amato ZT60. In futuro arriverà l’AX900 full LED, ancora più evoluto (e sicuramente più costoso), ma al momento la responsabilità di tenere alto il vessillo Panasonic ricade tutta sull’AX800. Design con il trucco Per i TV top di gamma del 2014, Panasonic ha rivisto per intero il design. Se i modelli delle fasce inferiori riprendono in parte l’estetica del TV 4K dello scorso anno, per le serie AS800, AX800 e la prossima AX900 ci troviamo di fronte a qualcosa di completamente diverso. La cornice è minimal, con finitura lucida e si appoggia su quella che sembra una staffa sotto dimensionata e dall’equilibrio impossibile.In realtà si tratta solo di un appoggio mentre il vero piedistallo si sviluppa posteriormente e sul 65 pollici è di grosse dimensioni, pesante e, a dirla tutta non proprio bellissimo. Il piedistallo è dotato anche di scanalature per il passaggio dei cavi sotto il coperchio che può essere installato sulla parte superiore. Naturalmente nel caso di posizionamento a parete il piedistallo si stacca completamente, visto che altrimenti sarebbe impossibile l’appoggio. Il design funziona se guardiamo il TV frontalmente, un po’ meno se sbirciamo lateralmente. Lo schermo rimane anche leggermente inclinato all’indietro, prediligendo così l’installazione su un mobile basso per un migliore angolo di visione. Le connessioni sono disposte come video Panasonic TX-65AX800T 4.199,00 € lab GRANDE QUALITÀ DI IMMAGINE. FUNZIONI INTERATTIVE MIGLIORABILI Panasonic è riuscita nell’impresa di non far rimpiangere troppo il plasma, con un TV capace di esprimere un’ottima qualità di immagine. È vero, il nero ricorda solo a tratti quello dei top di gamma plasma dello scorso anno, e manca ancora quel feeling unico dei display a emissione diretta, ma questa serie AX800 offre comunque colori brillanti, molto naturali, immagini compatte ed estremamente definite. Il local dimming non è sofisticato come quello che abbiamo visto sull’ultimo top di gamma Sony, ma si comporta comunque molto bene in quasi tutte le occasioni e la resa nelle scene scure è sicuramente degna di nota per un LCD LED Edge. Ottima naturalmente la resa con i video in 4K. Sulla valutazione finale pesano il design non eccelso (questione di gusti comunque) e la parte interattiva, ancora pesante e macchinosa nonostante non manchino degli spunti interessanti come la funzione TV Anywhere - che però necessita ancora di qualche messa a punto software. Prezzo elevato, come tutti i nuovi top di gamma 4K. 8.4 Qualità 9 Longevità 9 Design 7 7 D-Factor 9 Prezzo 8 - Ottima qualità di immagine - Interfaccia un po’ lenta e macchinosa COSA CI PIACE - Colorimetria precisa COSA NON CI PIACE - Telecomando Touchpad da migliorare - Regolazioni molto complete - TV Anywhere al momento non molto stabile di consueto sul retro, in parte lateralmente e in parte verso il basso. La dotazione è quella “consueta” con quattro ingressi HDMI, più alcune vestigia analogiche, quali il component, il video composito e la SCART tramite gli adattatori in dotazione. In più rispetto al solito troviamo l’ingresso DisplayPort 1.2 compatibile con segnali 4K. Sempre parlando di Ultra HD, via HDMI solo l’ingresso 4 è compatibile con video 4K, fino a 60p e con supporto HDCP 2.2. Ci sono poi tre porte USB, di cui una con più alta alimentazione per il collegamento di hard disk, l’uscita per le cuffie, porta di rete LAN e uscita digitale ottica per il collegamento di un ampli- Gli ingressi sono tutti raccolti intorno a questo “fazzoletto” del retro del televisore. Il vero piedistallo si sviluppa posteriormente e sul 65” è di grosse dimensioni, pesante. torna al sommario Simplicità ficatore esterno. Sono poi due gli ingressi HDMI con funzione ARC, per il collegamento di un ampli. Il WiFi è integrato e nella parte alta della cornice trova posto la piccola webcam utilizzabile per le funzioni smart e per effettuare le chiamate via Skype. Il TV è dotato di doppio sintonizzatore DVB-S2 e doppio DVB-T/T2, con due slot per moduli Common Interface. Teoricamente il TV è dotato di decoder HEVC, ma il canale test di Hot Bird attualmente in onda non viene visualizzato come compatibile. segue a pagina 33 In dotazione troviamo due telecomandi. Il primo tradizionale. Il secondo è un telecomandotouchpad, pensato per semplificare l’utilizzo delle app, include anche il microfono per il riconoscimento vocale. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 TEST Panasonic TX-65AX800T segue Da pagina 32 Focus su personalizzazione e cloud La nuova piattaforma interattiva di Panasonic nasce sulla base della My Home Screen dei TV dello scorso anno, espandendo le funzioni secondo due direttive: raccomandazione dei contenuti e servizi cloud. Nel primo caso si parla di My Stream, una nuova schermata che raccoglie tutti i contenuti che ci possono interessare, dalle trasmissioni TV ai filmati di YouTube. Il sistema è pensato per imparare i nostri gusti e quindi affinare il modo in cui vengono selezionati i contenuti per noi. Per fare questo, possiamo utilizzare il tasto stella sul telecomando touchpad per aggiungere ai preferiti un particolare video o una trasmissione che stiamo guardando. Sul TV possiamo memorizzare i profili di diversi utenti, in modo tale che ciascuno possa avere il suo My Stream personalizzato con le proprie raccomandazioni. Altra nuova funzionalità che troviamo sull’AX800 è la Info Bar. Si tratta di una barra di notifica che si attiva automaticamente al nostro passaggio davanti al TV, grazie a un sensore di movimento che visualizza informazioni personalizzate in base all’utente tramite il riconoscimento facciale della webcam integrata. Le informazioni includono il meteo, i suggerimenti e gli eventuali messaggi non letti per noi. Quella dei messaggi è una delle nuove funzionalità cloud di Panasonic. Essenzialmente, registrandoci al servizio di Panasonic potremo mandare, tramite l’app per iOS e Android TV Remote 2, foto, brevi video e messaggi di testo, con la nuova funzione Remote Sharing. L’idea è che quando siamo lontani da casa, possiamo mandare dei messaggi direttamente sul TV ai nostri cari. Il problema è che in realtà il servizio è molto limitato (lo spazio cloud tiene pochissimi messaggi e per un periodo limitato di tempo), ed è infinitamente meno pratico e meno versatile dei tanti servizi MAGAZINE di messaggistica per smartphone. Molto più interessante è, invece, TV Anywhere: l’altro servizio cloud lanciato da Panasonic quest’anno. Come suggerisce lo stesso nome, si tratta di un servizio che, sempre tramite l’app TV Remote 2, consente di collegarsi al TV anche quando siamo fuori casa, via smartphone o tablet. L’app visualizzerà la lista dei canali del digitale terrestre e del satellite, oltre alle eventuali registrazioni memorizzate su un disco collegato al TV e ci darà la possibilità di riprodurli in streaming dovunque ci troviamo. Purtroppo l’implementazione del servizio è ancora lontana dall’ottimale. Innanzitutto spesso l’app da rete 3G non riesce a connettersi al TV, non si capisce se per problemi di autenticazione o se per l’instabilità dell’app sul TV stesso. In secondo luogo l’app TV Remote 2 è ancora migliorabile, visto che ad esempio non è possibile visualizzare a tutto schermo il video. Quando funziona, TV Anywhere è sicuramente interessante e speriamo Panasonic possa migliorarlo ulteriormente. Troviamo poi al solito il lettore multimediale, con funzione DLNA e lo Swype & Share sempre dall’app TV Remote 2, che consente con facilità di riprodurre sul TV foto e video da smartphone e tablet. Viceversa è possibile riprodurre i canali TV sintonizzati sui dispositivi tramite la stessa app e la rete locale (da non confondere con TV Anywhere che funziona anche da Internet). Non manca infine la sezione con le varie app, tra cui si segnalano il browser, Chili TV per il noleggio di film, YouTube, Vimeo, Aupeo!, Deezer, Facebook, Twitter e così via. Nel complesso tutte queste funzioni sono all’interno di un’interfaccia che non è molto fluida e che risulta un po’ pesante da utilizzare e non sempre così intuitiva. La gestione degli utenti è divisa in almeno tre menù diversi ad esempio a seconda che si tratti dell’account cloud di Panasonic o di chi accede al TV. Non aiuta molto in Oltre ai parametri base e ai classici controlli per il bilanciamento del bianco, optando per i profili denominati “professionale”, possiamo regolare anche la temperatura colore e il gamma su una scala a 10 punti, oltre a luminosità, saturazione e tonalità di primari e secondari. realtà neanche il doppio telecomando visto che uno non sostituisce l’altro e spesso vanno utilizzati in sinergia (il tasto per “stellare” i preferiti, ad esempio, c’è solo sul touchpad). Inoltre le gesture del touchpad sono spesso tutt’altro che intuitive. Insomma, anche per quest’anno i margini di miglioramento non mancano. Regolazioni sempre più complete Il menù delle impostazioni rimane sempre separato da quello delle funzioni interattive e continua a evolversi. A livello grafico la novità maggiore è che ora, quando si entra in una sezione, scorrendo tutte le voci non si torna alla prima, ma si passa direttamente alla sezione successiva, come se tutto fosse una lunga pagina. A livello di regolazioni video abbiamo praticamente tutto e di più. Ciò permette di calibrare a video puntino il televisore intervenendo praticamente su ogni aspetto. Sempre nel menù delle regolazioni video troviamo poi una lunga serie di opzioni aggiuntive che ci permettono di intervenire dal contrasto, alla definizione delle immagini, passando per l’allargamento dello spazio colore oltre quanto previsto dallo standard per l’HDTV (Rec.709). Il TV è dotato di “pseudo” local dimming (il pannello è di tipo LED Edge e non full LED), funzione che può essere regolata con il parametro Adaptive Backlight su vari livelli di intensità. Panasonic dichiara inoltre una funzione di back light scanning a 2000 Hz, ma nel menù la voce è identificata unicamente da Intelligent Frame Creation, con degli anonimi livelli di intensità (min, meLa barra delle dio, max) che poco dicono sulla combinazione con la notifiche Info Bar funzione di interpolazione dei fotogrammi. È un po’ il si accende in problema di tante voci del menù che non hanno sempre modo automatico una chiara spiegazione del loro effetto. quando si passa davanti al TV. Il microfono La serie AX800 è certificata THX e come tale offre due sempre in ascolto profili di immagine pre-impostati THX, uno per la visione permette di in stanza oscurata e una per gli ambienti più luminosi. richiamare a voce Come prima cosa abbiamo dunque saggiato la qualità le varie funzioni. lab Panasonic TX-65AX800T le funzioni interattive Una volta calibrato è perfetto segue a pagina 34 torna al sommario n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 TEST Panasonic TX-65AX800T segue Da pagina 33 del preset più vicino alle nostre condizioni di visione. Queste impostazioni offrono un setup tutto sommato ben calibrato anche se non così vicino al riferimento come avevamo visto sugli ultimi modelli al plasma dello scorso anno. Il preset THX offre una buona linearità del bilanciamento del bianco sulla scala di grigi, seppure con una temperatura colore un po’ più fredda rispetto al riferimento. Il gamma è basso e non molto lineare sulle alte luci, anche se il comportamento è con molta probabilità anche da imputare all’effetto del local dimming. Nel menù troviamo poi i banchi “Professionale” che ci consentono di calibrare a piacere le immagini con abbondanza di parametri. Utilizzando questo banco è possibile ottenere un preset nettamente più vicino al riferimento per tutti i parametri principali e in grado di dimostrare le ottime doti del pannello montato dall’AX800. I controlli sul bilanciamento del bianco permettono di arrivare a ottenere una buona resa già con la sola calibrazione a due punti. Volendo possiamo anche intervenire sulla scala a 10 punti per ottenere un risultato ancora più preciso. Tra l’altro, effettuando il bilanciamento del bianco anche la colorimetria va essenzialmente a posto da sola e non abbiamo dovuto intervenire ulteriormente sulla regolazione dello spazio colore. La calibrazione è stata effettuata impostando un gamma di 2,4 e impostando la retroilluminazione in modo tale da avere una luminosità massima di circa 120 cd/mq, un valore adatto a una visione in sala oscurata. Con questa configurazione il livello del nero si attesta intorno alle 0,037 cd/mq (0,005 cd/mq con segnale totalmente nero), con un rapporto di contrasto ANSI di 2844:1. Altro dato tecnico interessante è quello dell’input lag. Panasonic, più che creare un profilo gaming dedicato, ha aggiunto la funzione “game” a ogni profilo di immagine all’interno di un sotto menù. Attivando questa funzione l’input lag passa da circa 60 ms (senza motion interpolation) a circa 37 ms. La prova di visione Panasonic non ha paura di ammetterlo: al momento la tecnologia LCD non è ancora in grado di eguagliare i risultati raggiunti fin qui con il plasma, ma il gap, promette, non è mai stato così ridotto. Ce ne siamo già accorti nelle ultime nostre prove di TV 4K, e anche con l’AX800 possiamo testimoniare che in effetti è così. Partiamo subito da quello che è un aspetto caro a tanti “sostenitori” della tecnologia al plasma, ovvero resa in termini di rapporto di contrasto e profondità del nero. Il nuovo Il TV integra anche una webcam. Questa serve sia per le videochiamate con Skype che per la funzione di riconoscimento facciale degli utenti. torna al sommario MAGAZINE TV Panasonic è sicuramente in grado di convincere sotto entrambi gli aspetti. Il TV è di tipo LED edge con local dimming, sistema di retroilluminazione ben implementato da Panasonic su questa serie. Il local dimming dell’AX800 non è così preciso e “invisibile”, ma rientra comunque tra i più efficaci che abbiamo visto da anni a questa parte. Nelle scene più scure infatti il TV è in grado di esprimersi con disinvoltura, offrendo immagini contrastate, precise sulle ombre e con neri davvero profondi per un LCD e spesso davvero in grado di rivaleggiare con il plasma. Con l’immagina calibrata per la visione in sala oscurata, possiamo godere di una buona uniformità e comunque di un’ottima dinamica nei passaggi dallo scuro al chiaro e viceversa. Anche nelle scene “mediamente” illuminate, il controllo sulla retroilluminazione è convincente e non si ha mai quell’effetto “luminescente” dei normali LCD dovuto alla retroilluminazione, che altrove spesso rende le immagine velate e poco brillanti. Con il Panasonic questo non capita mai, a differenza ad esempio di quello che abbiamo osservato in alcune situazioni con il TV Sony. Si nota una lievissima luminosità spuria ai bordi laterali, ma è davvero ridotta e trascurabile. Per correttezza, dobbiamo segnalare che il modello giunto in redazione aveva un area più scura nella parte sinistra dello schermo, ma si tratta di un sample di produzione che ha girato un po’ troppo il mondo. Come abbiamo detto altre volte su queste pagine, il vantaggio del pannello 4K non è solo chiaramente quello dell’elevata risoluzione con i contenuti nativi Ultra HD, ma anche di offrire una maggiore sensazione di compattezza dell’immagine (avete presente gli schermi retina per gli smartphone? Stessa sensazione), specie sugli schermi di grande dimensione come questo 65 pollici. La visione di dischi Blu-ray regala così un’immagine di sicuro impatto, dettagliata, precisa, ma anche con una “morbidezza” molto cinematografica. Questa sensazione è il risultato anche dell’ottima resa cromatica dell’AX800 che è capace di offrire colori naturali e caldi e allo stesso tempo forti e brillanti, ma senza mai strafare e scadere nell’eccessivo. Lo scaling ci è parso molto buono e in grado di valorizzare i contenuti HD senza aggiungere artefatti di alcun tipo. L’approccio di Panasonic è anche in questo caso “morbido”, anche per quanto riguarda i filtri a disposizione. Molto buono il comportamento di quello denominato “ottimizatore di risoluzione” che dà una lieve spinta al dettaglio senza introdurre eccessivi Gli occhiali 3D attivi in dotazione aloni sui contorni, se non al livello massimo di intensità. Stesso discorso per il “controllo contrasto” il cui effetto è appena percepibile e sembra lavorare soprattutto sulle basse luci, migliorandone in alcune situazioni la resa. Nel complesso, quello che ancora manca rispetto al plasma è la caratteristica brillantezza delle immagini in ogni situazione dei TV a emissione diretta e la precisione su tutta l’area dello schermo del nero, che nonostante la bontà dell’implementazione Panasonic del local dimming non riesce a essere sempre perfetta. Per quanto riguarda la risoluzione in movimento, senza interpolazione (che Panasonic chiama Intelligent Frame Creation), qualche trascinamento che va a impattare il dettaglio più fine si nota. Impostando l’IFC sul minimo, però, migliora istantaneamente la risoluzione in movimento senza introdurre particolari artefatti di movimento né quell’effetto telenovela che non a tutti piace. Di fatto si passa da una risoluzione inferiore alle 300 linee TV senza IFC a oltre 900 e senza artefatti, il che porta a consigliare di utilizzare sempre questa impostazione almeno su minimo, anche con contenuti 24p (in questo caso il parametro prende il nome di 24p smooth film). Aumentando di livello l’IFC la resa comincia a diventare meno naturale, fino ad aggiungere evidenti artefatti impostandolo alla massima intensità. La visione di contenuti Ultra HD non fa che confermare quanto di buono abbiamo visto fino ad ora, con in più il vantaggio della risoluzione quattro volte superiore. Il livello di dettaglio è impressionante e il quadro sembra ancora più compatto, con immagini che bucano lo schermo e spesso la sensazione di guardare quasi da una finestra. Sono sempre le immagini di eventi dal vivo (sport, concerti, ecc.) e documentari a colpire maggiormente, mentre per i film occorrerà aspettare una maggiore diffusione di opere effettivamente realizzate in 4K e le clip fin qui viste a parte qualche eccezione (Elysium ad esempio) non sembrano offrire un grossissimo salto qualitativo rispetto all’HD. Una nota sulla resa con contenuti 3D. Il TV Panasonic offre uno dei 3D attivi più puliti e precisi che ci sia mai capitato di vedere su un LCD, con sole due riserve. Da una parte, anche se l’immagine è dettagliata e praticamente sempre priva di ghosting, il flickering è piuttosto pronunciato e alla lunga affatica la vista. Dall’altra gli occhiali attivi in dotazione: leggeri e ben costruiti ma presentano alcune riflessioni sui bordi interni che possono disturbare durante la visione. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE TEST Il sistema stereo Yamaha offre un buon rapporto qualità/prezzo, volendo si può acquistare anche la sola elettronica Yamaha MCR-N560D, qualità formato compatto La resa sonora è equilibrata, con bassi controllati e un buon livello di dettaglio. Peccato manchino Wi-Fi e Bluetooth I di Roberto FAGGIANO l sistema Yamaha MCR-N560D (574 euro) è un modo molto semplice per diffondere la musica preferita in casa, sia da sorgenti tradizionali, sia dalla musica liquida, grazie alla connessione di rete e all’app di controllo. La parte elettronica è molto compatta (21 x 11 x 28 cm, L x A x P) e classica nella linea. Il test si può estendere al modello 560 che ha le stesse caratteristiche tecniche, ma che è senza la radio DAB e che costa 40 euro in meno. Va segnalato che è disponibile anche la sola elettronica CRX-N560 senza diffusori e senza radio DAB, al prezzo molto interessante di 379 euro, soluzione ideale per chi ha già dei diffusori da poter sfruttare. La potenza disponibile è di 2 x 32 watt (10% THD) con tecnologia digitale, poi c’è il lettore CD, la radio FM e DAB, una presa USB per collegare un dispositivo Apple o per riprodurre musica MP3 e Flac da una chiavetta di memoria e la sezione network con dlna per accedere ai contenuti musicali di un server casalingo, Air Play per dispositivi Apple oppure per servizi di streaming come Spotify o le radio internet. L’insieme è controllabile dal telecomando in dotazione oppure dall’app dedicata per smartphone e tablet. I diffusori in dotazione sono dei compatti due vie da scaffale con woofer dal tipico colore bianco Yamaha e un tweeter a cupola, l’accordo reflex è posteriore e quindi impone un minimo di attenzione nel collocamento, da evitare pareti posteriori troppo vicine. Alla base troviamo tre piedini conici gommati che impediscono ogni slittamento su superfici lisce, le dimensioni di 27 x 15 x 23 cm (A x L x P) sono un buon compromesso per essere inserito nell’arredamento domestico senza troppi problemi. In dotazione ai diffusori anche delle griglie in tessuto nero, per chi non gradisse l’impatto estetico degli altoparlanti. La finitura del sistema – disponibile in nero oppure silver + bianco per fianchetti e diffusori - è molto elegante, soprattutto per la parte elettronica, mentre i diffusori a un contatto più ravvicinato svelano una superficie esterna piuttosto economica, in un nero lucido che è ben lontano dalla finitura laccato pianoforte dei primi sistemi Yamaha denominati proprio Piano Craft. torna al sommario video 574,00la €b Yamaha MCR-N560 DAB PRESTAZIONI ALL’ALTEZZA DELLE ASPETTATIVE La prova del sistema Yamaha ha dato ottimi risultati anche con i diffusori in dotazione, con tutte le sorgenti tradizionali e via web: la resa sonora è piuttosto equilibrata, senza eccessi in gamma bassa e con sufficiente dettaglio in gamma acuta, superiore alla media dei diffusori forniti con sistemi audio di questa categoria. Magari si poteva prevedere una sensibilità maggiore, visto che la potenza erogata dall’amplificatore non è certo esuberante. Ma se potete, l’utilizzo di diffusori migliori porta molto in alto le prestazioni di questo sistema ed esalta il rapporto qualità/prezzo della sola parte elettronica, che non ha nulla da invidiare ai pochi concorrenti con prestazioni operative simili. L’app creata da Yamaha è ottima per grafica e funzionalità. Peccato manchi l’accesso Wi-Fi alla rete e il Bluetooth per il collegamento rapido agli smartphone, ma comunque il sistema 560 di Yamaha è promosso e degno della massima attenzione da parte degli interessati. 8.2 Qualità 9 Longevità 8 - Versatilità sorgenti e app COSA CI PIACE - Qualità sonora - Rapporto qualità/prezzo Design 8 Simplicità 7 COSA NON CI PIACE Tante funzioni utili, ma preferisce Apple Con questo sistema compatto si può fare praticamente tutto in tema musicale, sia per l’ascolto di sorgenti tradizionali, sia per l’accesso a tutto il mondo internet o per chi ha archiviato la propria musica su un server casalingo o sul computer. Privilegiate le sorgenti Apple che possono sfruttare il collegamento diretto via cavo tramite la presa USB frontale oppure direttamente senza fili, tramite AirPlay. Per il controllo della risposta in frequenza è disponibile un equalizzatore su tre bande – alti, medi e bassi – oltre a un Music Enhancer da utilizzare solo con brani MP3 di scarsa qualità. Tra tante possibilità operative purtroppo ci sono D-Factor 7 Prezzo 8 - Mancanza wi-fi e Bluetooth due mancanze piuttosto gravi: manca il Bluetooth e manca la connessione Wi-Fi alla rete, un bel problema nelle abitazioni italiane, che raramente hanno una cablatura di rete interna in tutte le stanze. Il telecomando in dotazione è realizzato abbastanza bene e diviso per zone operative, magari si potevano evidenziare meglio i tasti per il volume e quelli per le funzioni meccaniche - avvio riproduzione e apertura del cassetto - che risultano mimetizzati tra altri molto meno importanti. Ma comunque appena installata l’app Yamaha il telecomando potrà anche finire in un cassetto. segue a pagina 36 n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE TEST Yamaha MCR-N560D segue Da pagina 35 Versatilità al di sopra di ogni sospetto Tutte le sorgenti fondamentali sono già comprese nel sistema Yamaha, ma se ci fosse bisogno di collegare ulteriori apparecchi la strada è aperta. Sul retro infatti troviamo due ingressi digitali, ottico e coassiale, per collegare il televisore e il lettore Blu-ray, ma ci sono anche due ingressi analogici, pin rca e minijack, per qualsiasi altra sorgente. Sempre sul retro troviamo la presa di rete e la presa di alimentazione per eventuali accessori. Di ottima fattura le uscite per i diffusori, in grado di accogliere cavi di ben altro spessore rispetto a quello in dotazione. Disponibile anche un’uscita di linea per l’improbabile utilizzo di un subwoofer attivo. Un’applicazione completa e ben fatta L’applicazione studiata da Yamaha per questo sistema si chiama Network Player Controller e adotta la stessa grafica curata dell’app Yamaha usata nel campo home theater. Si tratta di uno dei migliori esempi in materia e rende disponibili tutti i contenuti musicali di pc e server, oltre all’accesso rapido a Spotify e alle radio web. Il controllo è molto semplice anche per le sorgenti tradizionali già integrate. Per esempio per il DAB+ compaiono anche tutti i dati tecnici di trasmissione, mentre per le radio web c’è la consueta ricerca delle stazioni per nazione e genere, con la possibilità di memorizzare le stazioni preferite. Non immediato nei controlli l’accesso ai servizi di Spotify, aggiunto di recente in una nuova versione del firmware. In pratica è molto più semplice gestire il sistema tramite l’app piuttosto che con il telecomando, magari si poteva evidenziare meglio il controllo del volume che è nascosto nella parte inferiore delle schermate. Buona musica da tutte le sorgenti La messa in funzione del sistema è molto semplice, come si conviene a un compatto di questo tipo. Collegando la presa di rete si avvia subito un aggiornamento firmware, così come selezionando la radio DAB parte subito la ricerca automatica delle stazioni. Il display è molto ampio, con testo scorrevole e luminosità regolabile, manopole e pulsanti offrono una buona sensazione di solidità. Per i diffusori scegliamo un posizionamento su supporti, ben separati tra loro. Iniziamo l’ascolto dalla radio DAB, che pur essendo assai poco considerata nel nostro Paese offre prestazioni musicali di buon livello. Lo Yamaha mostra eccellente sensibilità e già con la semplice antenna a filo in dotazione si sintonizzano tutte le stazioni disponibili con il massimo dell’intensità. Con la modalità DAB+ già prevista dallo Yamaha si possono ascoltare una quarantina di stazioni dei consorzio EuroDAB, Club DAB e RAI: quest’ultima ha aggiunto ulteriori tre canali (Web 6,7 e 8) finora ascoltabili solo via internet. La radio FM non sfigura per sensibilità e selettività anche in aree affollate, difficile cogliere fruscio sulle stazioni principali e rare le sovrapposizioni tra stazioni vicine. Il lettore CD è molto silenzioso nella meccanica e permette di ascoltare nel migliore dei modi i dischi digitali, è senza dubbio un altro punto di forza di questo sistema. Eccellente la resa di musica Flac da una chiavetta USB, che consente di raggiungere una qualità di ascolto molto elevata dai file a 96 kHz; più complesso l’accesso ai contenuti musicali di un PC, dove si privilegiano i soliti sistemi di riproduzione Microsoft. I diffusori sono probabilmente migliorabili, come dimostra un breve ascolto del sistema con i nostri diffusori di riferimento, ma non sono una palla al piede del sistema. HI-FI E HOME CINEMA Dolby annuncia i Blu-ray e i servizi di streaming con codifica Dolby Atmos ÈL’hardware Dolbyè pronto, Atmos mania: l’assurdità in salotto ma gli utenti sono pronti a installare 4 nuovi diffusori in salotto? B www.DDAY.it di Roberto FAGGIANO rett Crockett, direttore Sound Research di Dolby, ha annunciato che dal prossimo autunno saranno disponibili i primi Blu-ray con film codificati in Dolby Atmos: il sistema creato nel 2012 per le sale cinematografiche ma già predisposto per l’utilizzo nelle case. Secondo Crockett, il Dolby Atmos è già compatibile con le specifiche Blu-ray e non necessita di nuovi lettori. Negli Stati Uniti anche i maggiori servizi di streaming video sarebbero pronti per l’autunno o entro i primi mesi del 2015 per inviare agli abbonati i film con codifica Dolby Atmos. Onkyo, Denon, Pioneer e Yamaha hanno confermato la compatibilità con il Dolby Atmos per i loro sintoamplificatori home theater torna al sommario MAGAZINE Estratto dal quotidiano online Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago, Alessandra Lojacono, Simona Zucca, Greta Genellini top di gamma, con modelli nuovi o con aggiornamento firmware di apparecchi già esistenti. Tanto entusiasmo da parte di Dolby è comprensibile, facile anche per i costruttori implementare una nuova decodifica sui potenti processori DSP utilizzati nei modelli top di gamma, ma gli utenti saranno altrettanto disponibili a installare quattro nuovi diffusori a casa per godere dei benefici della nuova codifica? Ricordiamo, infatti, che il Dolby Atmos casalingo prevede un sistema con 9.1 diffusori (alcuni lo hanno cambiato in 5.1.4) per meglio ricostruire gli effetti di avvolgimento dal retro e soprattutto dall’alto. Nelle sale cinematografiche il Dolby Atmos può pilotare fino a 64 diffusori e il maggiore beneficio alla resa sonora viene proprio dai diffusori installati a soffitto. Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni [email protected] Per la pubblicità [email protected] Innovative Curve A smartphone designed to fit you Now It’s All Possible n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE TEST Legria Mini X è la prima selfie camera di Canon, una videocamera Full HD per riprese in soggettiva e video tutorial Legria Mini X: in prova la selfie camera Canon Questa piccola Canon ha un form factor particolare, con monitor orientabile e ottica fissa grandangolare. L’abbiamo provata di Roberto PEZZALI l mondo della ripresa video soffre: la videocamera tradizionale è stata sostituita dagli smartphone e solo i nuovi segmenti come quello delle sport-cam e la ripresa prosumer sembrano tenere il passo. Canon, che con la gamma Legria è da sempre uno dei player nel mondo delle videocamere insieme a Sony e Panasonic, ha cercato di allargare la gamma proponendo qualcosa di diverso dal solito. Ed ecco Legria Mini X, una videocamera particolare che, sfruttando una logica simile a quella delle sportcam, quindi con grande ottica fissa grandangolare, si pone come la perfetta selfie camera, ovvero una videocamera da utilizzare per riprendersi o comunque per realizzare video diversi dal solito. Che Legria Mini X non sia la classica videocamera lo si capisce subito dal form factor, tuttavia non è un giocattolo: nel corso della prova abbiamo apprezzato non solo la qualità d’immagine che fa parte del dna Canon, ma anche una serie di regolazioni fini che permettono di intervenire su quello che spesso è un aspetto sottovalutato, ovvero l’audio. Legria Mini X non può sostituire una videocamera classica, ma può tranquillamente sostituire uno smartphone in moltissime situazioni, avendo in comune con lo smartphone un’ottica priva di zoom e dimensioni compatte. Le applicazioni della piccola Canon sono moltissime, dalla ripresa di spettacoli e concerti all’autoripresa, mentre si cucina ad esempio o mentre si svolge qualche attività, per finire con riprese da angoli particolari sfruttando l’ampia lente grandangolare. Canon però non si è fermata alla sola ripresa: grazie al Wi-Fi e all’applicazione per smartphone, Legria Mini X può fare streaming anche in remoto, funzionando come camera di videosorveglianza. Purtroppo la parte “connected” rappresenta uno dei punti deboli di questo modello, non tanto per il funzionamento quanto per la difficoltà di setup e messa a punto, non sempre intuitiva. I Qualità Canon ma senza un corpo splash proof Canon ha guardato essenzialmente a due elementi: l’inserimento di uno stand per poter appoggiare la camera senza bisogno di un treppiedi e uno schermo orientabile sia per le riprese standard sia per le riprese Look schiacciato per una videocamera proprio da taschino. I microfoni stereo sono ai lati dell’ottica video lab Canon LEGRIA mini X 399,00 € OTTIMA SOLUZIONE, MA NON PER TUTTI Canon con la Legria Mini X cerca di fornire la soluzione ad alcuni problemi di ripresa proponendo una camera che antepone la qualità di ripresa alle pure funzionalità. Perfetta per alcuni tipo di ripresa, come ad esempio i video creativi, la moda o la cucina, la nuova Canon ha qualche difetto dovuto alla novità del progetto ancora da limare: l’assenza di funzione Live Streaming su web e l’assenza di trattamento waterproof impediscono di usare la videocamera per alcune attività, anche se in quel campo ci sono competitor con maggiore esperienza e più agguerriti. Il prezzo poi è alto, non tanto per il prodotto che è ben costruito quanto per il mercato. 7.3 Qualità 8 Longevità 7 Design 8 - Buona qualità video COSA CI PIACE - Molteplici possibilità di configurazione audio - Supporto integrato in soggettiva. La qualità costruttiva non delude: anche a fronte di un peso non indifferente, Canon ha irrobustito tutte le giunture, usato plastiche di qualità e fissato tutto con solide viti piuttosto che con incastri, come si usa solitamente fare. Il risultato è una videocamera solida e robusta, e solo un eventuale trattamento waterproof o dustproof avrebbe permesso a Canon di guadagnare qualche punto in più. La forma è comunque particolare: non ci si aspetti di trovare un’impugnatura comoda per la ripresa, perché Legria Mini X è fatta soprattutto per essere appoggiata. L’ottica, con parapolvere meccanico, è affiancata dalla coppia di microfoni stereo, mentre la parte superiore è occupata quasi esclusivamente dal display orientabile. Qui Canon poteva impegnarsi di più: il display è touch ma la risoluzione (2.7”, 230.000 punti) non è certo eccelsa e soprattutto il display è di tipo TN, ovvero angolo di visione decisamente ridotto soprattutto sul piano verticale. Visto il costo dei display LCD, un piccolo sacrificio qui si poteva fare, anche se è vero che la possibilità di orientare il display in parte compensa questa problematica. Sul lato, oltre all’interruttore per l’accensione, troviamo ingresso per microfono esterno, uscita cuffie e regolatore di livello del microfono manuale. USB, HDMI e presa di registrazione sono sull’altro lato, mentre sul retro, nascoste sotto uno sportellino, Simplicità 7 D-Factor 7 Prezzo 6 - Definizione dello schermo troppo bassa COSA NON CI PIACE - Setup della parte wireless complesso - Prezzo elevato troviamo la batteria removibile e lo slot per card SD. La presa di alimentazione purtroppo richiede il suo caricabatteria e la ricarica tramite USB non funziona. Riprendere un concerto alla massima qualità Legria Mini X è costruita attorno al sistema ottico di una videocamera compatta: il sensore è un CMOS da 1/2.3 da 12,8 Megapixel accoppiato ad un processore Digic DV4 e a un’ottica grandangolare fissa. Canon, conside- segue a pagina 39 torna al sommario n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE GADGET Il nuovo progetto di Google sembra un’interfaccia low-cost per la realtà virtuale. Scherzo o prodigio della tecnica? Progetto Cardboard, la realtà virtuale secondo Google Il visore è costruito in casa con cartone, velcro e due lenti a sferiche da 40 mm e si interfaccia con gli smartphone via app S te in luce il vero valore finanziario dietro a questo tipo di progetti e fa venire più di un capello bianco a Facebook & Co. e agli ingenti capitali investiti in un progetto che ha sicuramente fascino, ma che nasconde ancora insidie a livello di realizzazione e distribuzione, sia di hardware che di contenuti. Basteranno materiali artigianali per ottenere lo stesso risultato di visori OLED ad altissima risoluzione? di Michele LEPORI i aggiunge un posto al tavolo dei partecipanti a vario titolo su progetti legati all’utilizzo della realtà virtuale, e stavolta pare proprio che a riempirsi sarà il posto del capotavola: dal palco della Google I/O, Mountain View annuncia che i progetti Oculus Rift e dei visori made in Sony e (forse) Samsung dovranno fare i conti con Cardboard, il visore “fatto in casa”. Se il progetto fosse verosimile, i buoni propositi di Zuckenberg di rilasciare Oculus Rift a prezzi accessibilissimi per ottenere guadagni dai contenuti rischiano di arenarsi prima di iniziare, perché Cardboard permette agli utenti di fruire del- la realtà virtuale con un visore costruito in casa con materiali comuni. Scherzo o prodigio della tecnica? I dubbi rimangono, con la speranza che tutto questo sia vero e non un pesce d’aprile fuori stagione in salsa Art Attack: cartone, velcro, e due TEST Canon Legria Mini X segue Da pagina 38 rando anche il posizionamento fisso della Legria Mini X, ha scelto di non stabilizzare l’obiettivo otticamente, ma per aumentare le possibilità operative ha dotato Legria Mini X di una doppia inquadratura, quella tradizionale a 170° e quella 35mm più tradizionale. Canon per realizzare questa inquadratura utilizza nel secondo caso solo la parte centrale del sensore, una sorta di crop, mentre per l’inquadratura globale usa circa 8 Megapixel ricampionando poi l’immagine in Full HD. L’area di ripresa non è fissa: se per una foto l’angolo è di 170°, per i filmati si riduce a circa 160°. Legria Mini X è abbastanza flessibile in fatto di formati di registrazione: supporta AVCHD e MP4 a diversi bitrate, con un massimo di 24 Mbps per entrambi. Il formato MP4 è leggermente più flessibile, non tanto per l’editing, quanto per le possibilità offerte: permette infatti slow motion e fast motion, oltre ad altre modalità di ripresa. Tra le funzionalità di Legria X, oltre al programma automatico e P, troviamo anche una serie di scene preimpostate come Moda La app Camera Access Plus, e Cucina, Sport e che gestisce la riproduzione In Auto. Ai profili del flusso video e la registrazione su smartphone e tablet. d’immagine possono essere associati torna al sommario lenti a sferiche da 40 mm permetteranno di creare il Google Cardboard che, con l’applicazione omonima, permetterà di fruire i contenuti di Google Earth, del rullino fotografico e di tutte le app compatibili col progetto. La proposta di Google met- anche profili audio, e a “parlato”, “musica”, “festival” si affianca anche un utile profilo per la soppressione del rumore. Non mancano infine le funzioni creative: oltre alla registrazione Time Lapse si possono anche applicare filtri video alle immagini. Connettività da sviluppare, almeno per la registrazione Legria Mini X nasce anche come streaming cam, con la possibilità di gestire la riproduzione del flusso video e la registrazione su smartphone e tablet. Per farlo bisogna passare tramite l’app Camera Access Plus di Pixela Corporation, azienda giapponese che molti ricorderanno per aver prodotto e sviluppato alcuni dei peggiori software di editing video mai visti. L’applicazione, purtroppo, non fa eccezione e non è facile da gestire e da configurare, soprattutto in modalità “visione fuori casa” dove si può richiamare lo streaming sfruttando un DNS pubblico, utilizzando quindi Legria Mini X come camera di sorveglianza. Legria Mini X è poco flessibile in questo ambito, la gestione è possibile solo con connessione diretta tra camera e smartphone (iPhone o Android) e non si può ad esempio inviare lo stream su un servizio “live” come YouTube, uStream o Livestream. Più completa la sezione riproduzione, dove si possono caricare immagini e video sul cloud Canon Image Gateway, su altri servizi esterni (ma tramite un’app) oppure configurare Legria per funzionare come server DLNA sulla rete domestica. Anche in questo caso, comunque, fatta eccezione per la parte DLNA, la configurazione e la messa a punto dei vari servizi sono macchinose: Canon dovrà sicuramente investire sull’interfaccia utente per mettere a punto qualcosa di più semplice e immediato. Resa video eccellente, audio ottimo La scelta “ottica” di Canon è molto particolare: un grandangolo spintissimo che usa tutto il sensore, oppure un crop tradizionale che usa solo la parte centrale, con una minore sensibilità e un maggior rischio di rumore. Tendenzialmente si potrebbe pensare che l’uso standard sia quello “wide”, tuttavia la Legria Mini X non è la classica sportcam che necessita di panoramiche apertissime, ma una videocamera nata più per self-shooting e video creativi, cosa che potrebbe portare ad un uso considerevole della modalità crop. Anche la ripresa di un concerto, di una ricetta o di un backstage richiede la modalità più stretta, mentre il wide può essere utile per qualche trick di skateboard, per alcuni video creativi e per riprese all’aperto. Abbiamo ovviamente provato entrambe le modalità e la Canon ha mostrato un’eccellente pulizia d’immagine, con un’ottica che sembra tenere bene anche come dettaglio ai bordi, nonostante il wide spinto. Nella foto, estratta da un fotogramma a risoluzione piena, si può apprezzare la nitidezza dell’immagine. La resa è simile anche in altre situazioni, con un’ottima tenuta sul dettaglio e sul bilanciamento delle luci. Nonostante la compattezza, la Mini X ha una qualità video notevole, anche se a tratti si sente l’assenza di stabilizzazione soprattutto nei panning orizzontali. Abbiamo ripreso una breve clip di pochi secondi per mostrare immagini in movimento e soprattutto la differenza, nella parte finale, tra la visione wide e quella crop, che mantiene comunque una qualità più che buona senza il temuto rumore dovuto all’uso della sola zona centrale del CMOS. La qualità è sicuramente superiore a quella di molte sportcam, anche se ormai è davvero difficile gestire differenze minime tra svariati modelli. Dove il processore e il sensore Canon fanno la differenza è la ripresa con poca luce: abbiamo ripreso qualche secondo nel corso della presentazione dei nuovi mini-drone Parrot e, come si può vedere nel video qui sopra, la Mini X regge tranquillamente un’illuminazione non certo ottimale. Qualcuno potrebbe osservare che uno smartphone ormai fa video simili, ed è vero se consideriamo i top di gamma, ma la Mini X ha sicuramente un’autonomia di ripresa maggiore (come capacità più che come durata della batteria) e un’ottica che uno smartphone non potrà mai adottare. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE VIDEO CREATIVO Completissima di accessori e con custodia subacquea, la Nilox F-60 è tra le SportCam più interessanti Nilox F60, la SportCam italiana che sfida GoPro In condizioni di luce ottimali la Nilox F-60 si comporta bene, quando invece la luce scarseggia la videocamera soffre S di Roberto PEZZALI i vendono solo loro: hanno una lente grandangolare, possono essere montate in tantissimi modi diversi grazie agli accessori e sono estremamente portatili. Stiamo parlando delle SportCam (o ActionCam), la nuova categoria di videocamere creata da GoPro e seguita praticamente da tutti i produttori. Scegliere una SportCam oggi è abbastanza semplice, e se si chiede a qualcuno, il consiglio, è quasi sempre quello di puntare sulla GoPro. Ed è un buon consiglio, fermo restando che GoPro è piuttosto cara e che sul mercato ci sono tantissime valide soluzioni e imitazioni. Una di queste è la Nilox F60, una SportCam italiana che viene venduta ad un prezzo simile a quello della GoPro (349 euro) ma è già completissima di accessori, dal cabinet subacqueo al display LCD che funge da monitor. La Nilox F60 non è costruita in Italia, ma una camera prodot- video lab diverse opzioni, come la risoluzione di scatto o ripresa, il grandangolo, che può essere ridotto fino a raggiungere un’inquadratura standard, la misurazione esposimetrica e gli ISO. A dire il vero, risoluzione e bitrare a parte, non sono molti i parametri su cui intervenire e questo forse è un bene. Dotazione di lusso ta da AEE con un sensore da 16 Megapixel e una lente in vetro con grandangolo a 175°: le particolarità sono, oltre alla dotazione, un piccolo laser che aiuta a puntare la camera e la possibilità di arrivare fino a 60 metri sott’acqua, oltre alla ripresa a 1080@50i o 25p. Costruzione ok, peso nella norma Con 92 grammi di peso la F-60 è leggermente più pesante della GoPro (e anche più grande) ma non abbiamo avuto alcun problema di posizionamento. La camera è solida, resistente e ben costruita: la facilità d’uso è legata come sempre ai tasto accensione, foto, ripresa e stop, ed essendo il monitor LCD opzionale Nilox ha pensato di inserire anche un piccolo LCD superiore come riferimento. Quando non si usa il monitor, per inquadrare, si può far affidamento sul piccolo laser di puntamento. Sul lato della videocamera trovano spazio lo slot per la microSD, l’ingresso microfonico che funziona anche come uscita AV, il mini USB e l’uscita HDMI. Connessioni utili per certi aspetti, ma forse il solo microSD sarebbe stato sufficiente. Il microfono, mono, è ricavato nella parte alta mentre sul retro c’è un vano che nasconde la batteria removibile da 1000 mAh. L’autonomia è discreta: l’abbiamo usata per circa 75 minuti senza problemi, anche se la casa dichiara un’autonomia più elevata. Collegando il monitor, oltre ad avere una visuale diretta di quello che si sta riprendendo, si possono configurare torna al sommario Rispetto a una GoPro, che viene venduta “liscia”, Nilox F-60 ha una dotazione accessoria davvero buona. Il componente plus è la custodia subacquea che protegge fino a 60 metri (non siamo andati sotto però così tanto), custodia che viene dotata di doppio vetro per usare la camera con e senza monitor. A questa si aggiungono un telecomando per il comando a distanza e una serie di supporti a vite per aggancio con adesivi e superfici piane o curve. Nilox sul suo sito offre tantissimi altri accessori, e forse qualcuno potrebbe chiedersi se non sia meglio spendere meno per una videocamera “liscia” comprando poi solo quello di cui si ha bisogno oppure se acquistare una camera già accessoriata. Tanti gli accessori in dotazione per la Nilox f60: un telecomando, una serie di supporti a vite per aggancio con adesivi e superfici piane o curve. Noi propendiamo per la prima soluzione, più che altro perché nel corso della prova abbiamo avuto la necessità di montare la F-60 su una tavola da kitesurf e non abbiamo trovato l’accessorio giusto tra quelli in dotazione. L’assortimento di accessori per la GoPro, comunque, è decisamente superiore rispetto a quello offerto da Nilox soprattutto per sport di nicchia: se invece si parla di moto, automobili o bici allora anche la F-60 può dire la sua. Sott’acqua non ci siamo Il miglior modo per giudicare una sport camera è la qualità delle riprese. Nilox ha fatto un buon lavoro: le immagini sono compresse il giusto e abbastanza “croccanti” come definizione. Una scelta probabilmente cercata, con una maschera di contrasto e nitidezza aumentata di proposito per far sembrare le sequenze più taglienti. Se la luce aiuta, la F-60 si comporta bene: le scene in esterni godono di un buon bilanciamento cromatico e di una buona resa colorimetrica. Clicca qui per il video della Nilox F-60 ripreso in piena luce. Dove invece la camera soffre è sott’acqua: anche inserendo nella custodia stagna un inserto anti-condensa la camera perde di definizione. Una situazione ben visibile in queste sequenze particolari, dove la tartaruga e la manta sono totalmente prive di dettaglio e fuori fuoco. Clicca qui per il video della Nilox F-60 ripreso sott’acqua. Non è una questione di appannamento, anche perché appena si esce dall’acqua la nitidezza torna subito, ma proprio di un problema di accoppiamento ottico tra la lente della camera, la custodia e l’acqua stessa. Una situazione questa che ci impedisce di promuovere la Nilox per le riprese di questo tipo: una camera dedicata è più adatta. Nel complesso comunque la Nilox F-60 non si comporta affatto male come sport camera, soprattutto se il target è l’uso all’aperto. In questo caso però forse è conveniente prendere un modello senza custodia subacquea risparmiando qualcosa. n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE GADGET June è il dispositivo che protegge la pelle aiutando a prevenire le scottature e le insolazioni, secondo le indicazioni dell’OMS Netatmo June: il regalo perfetto per l’estate al sole Sembra un gioiello, invece è un sensore UV che si collega all’iPhone tramite Bluetooth 4.0 per monitorare l’abbronzatura di Roberto PEZZALI e ti chiamano “mozzarella” questo è il gadget che potrebbe fare per te. Potrebbe, perché Netatmo, la casa francese che ha realizzato June, ha pensato purtroppo di creare un “gioiello” smart dedicato al gentil sesso, tagliando fuori quindi una grossa fetta di mercato rappresentata da uomini e bambini. June, questo il nome del prodotto, è un elegante braccialetto che racchiude all’interno un sensore per raggi UV gestito da una applicazione: lo scopo è gestire l’esposizione al sole evitando scottature. Un piccolo gadget che arriva puntuale sul mercato quando sembra sia scoppiata l’estate ad un prezzo di 95 euro. Ma aiuta davvero? S video count ma importa nel profilo il tipo di pelle seguendo la scala di Fizpatrick. L’applicazione, per determinare il tipo di pelle su una scala da 1 a 6, pone una serie di domande ed è qui che forse la mancata localizzazione dell’app crea più problemi a chi non mastica l’inglese: freckles (lentiggini) e tan (abbronzatura) sono alcune delle parole da sapere per portare a termine l’impostazione. Gioiello in tre colori Netatmo ha lavorato soprattutto sul design per realizzare un oggetto bello da indossare: insieme a June, che è disponibile nei tre colori oro, platino e canna di fucile, Netatmo ha previsto anche un elegante braccialetto in pelle a doppio giro e un bracciale in caucciù più pratico da indossare anche a bordo piscina o durante la corsa. La presenza di una piccola clip metallica rende June molto versatile: volendo lo si può attaccare a una maglietta, ai pantaloni o alla visiera del cappellino, cosa che lo rende adatto anche a un bambino. La scelta di non realizzare una versione di June per i più piccoli, è motivata dalla raccomandazione dell’OMS di non esporre i bambini al sole: June è un dispositivo che aiuta a prevenire le scottature e regola l’esposizione seguendo le indicazioni dell’OMS, e sarebbe stato un paradosso pensare a una versione per i più piccoli. La ricarica del dispositivo avviene con un cavo USB dotato di un aggancio proprietario alla clip: con una ricarica June dura anche un mese intero. Non abbiamo potuto verificare la durata dichiara da Netatmo per ovvi motivi, tuttavia in due giorni l’indicatore di carica non è mai diminuito e questo lascia ben sperare. La connettività di June è gestita da un modulo Bluetooth 4.0 Smart e per funzionare ha bisogno di un iPhone dal 4S in su. Android, al momento, è tagliato fuori: l’applicazione esiste solo per iOS. Applicazione ben fatta, ma in inglese Installare June è un gioco da ragazzi: basta scaricare l’applicazione dall’AppStore e seguire la procedura guidata. L’applicazione al momento è solo in inglese e ci guida attraverso l’accoppiamento del dispositivo e la creazione di un profilo personale. Questa fase è molto importante perché non si limita alla creazione di un ac- torna al sommario Connessione “ballerina” Dalla schermata dell’applicazione possiamo controllare lo stato del sole: oltre alle previsioni per i prossimi 4 giorni, l’app gestisce lo storico dell’esposizione al sole e la situazione attuale. Essa è in grado di indicare non solo l’intensità attuale delle radiazioni solari ma anche per quanto tempo ancora possiamo rimanere esposti. Non mancano i consigli: l’uso di una crema (l’app suggerisce la protezione) allunga ovviamente il tempo di esposizione, così come un cappello e gli occhiali da sole. Attenzione però: June non è uno strumento per abbronzarsi, ma uno strumento per proteggersi. Non esiste un pannello “obiettivi” e neppure un sistema di calcolo per raggiungere l’abbronzatura perfetta. Purtroppo June è molto “legato” allo smartphone: la logica è infatti inserita all’interno dello smartphone e la notifica di eccesso di esposizione arriva solo se lo smartphone è collegato, 1 lab cosa non sempre scontata perché il raggio è abbastanza ridotto, qualche metro, massimo 4 o 5. La connessione poi non ci è parsa stabilissima: ogni tanto June la perde per qualche secondo ma senza creare problemi. Un buon inizio, ma si poteva fare di più June è uno dei braccialetti smart apparsi sul mercato, ma dalla sua ha una serie di vantaggi: fa qualcosa che nessun altro braccialetto fa, è davvero bello da indossare e ha un’ottima autonomia. Netatmo ha scelto purtroppo di limitare il suo utilizzo: nella testa dei francesi c’era la protezione come priorità, ma forse per un paese mediterraneo come il nostro, dove impazza la tintarella, June sarebbe stato più utile se avesse avuto una applicazione per la gestione dell’abbronzatura perfetta, unendo alla protezione anche un piano più “estetico”. June è poi per sole donne, e se per i bambini una giustificazione c’è, non si capisce perché non sia stato fatto anche un modello maschile. June ha margini di miglioramento anche sul fronte hardware: si poteva pensare ad esempio alla protezione waterproof (è solo splash proof) e avviso di rimettersi la crema solare dopo un bagno. L’idea è buona e June fa davvero quello che promette di fare, anche se forse le ragazze italiane non sono il target perfetto. A noi piace abbronzarci, anche a costo di scottarci un po’. 2 3 1. Realizzare un profilo perfetto è importante per un funzionamento corretto 2. Con o senza crema: l’applicazione si adatta di conseguenza 3. La misurazione in tempo reale dell’intensità UV secondo gli standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE SMARTHOME Se il giardinaggio non è il nostro forte, la tecnologia ci può aiutare: basta un piccolo sensore, che abbiamo testato Koubachi Plant Sensor: un aiuto al pollice verde L’azienda svizzera Koubachi ha creato il WiFi Plant Sensor, che misura alcuni parametri “vitali”: luce, temperatura e umidità di Paolo CENT0FANTI e il giardinaggio non è il nostro forte, nemmeno con le piante d’appartamento, oggi la tecnologia ci può essere un po’ d’aiuto. Si dice che il pollice verde o lo si ha o non c’è nulla da fare, ma a Koubachi - azienda svizzera con sede a Zurigo - la pensano diversamente e così hanno creato il WiFi Plant Sensor, un sensore da inserire nel vaso delle nostre piantine, per misurare alcuni parametri “vitali”: luce, temperatura e umidità del terreno. I sensori, uniti a un database delle piante più diffuse e al servizio cloud di Koubachi che elabora i dati e offre delle notifiche sui bisogni dei nostri amici verdi, creano un sistema che aiuta a prenderci cura delle piante quando e come serve. Vediamo come funziona. S Da interno e da esterno I Plant Sensor di Koubachi sono disponibili in due versioni, da interno e da esterno. Entrambi sono in realtà impermeabili - d’altra parte le piante vanno bagnate -, ma quello da esterno è meglio protetto contro la pioggia. Per il resto i due modelli sono praticamente identici, anche esteticamente. La forma ricorda quella di una mazza da golf, con l’asta che va infilata nel vaso o nella terra vicino alle nostre piante. Il grosso dello spazio della testa è in realtà occupato dalle due batterie AA fornite in dotazione. Qui sono incorporati i sensori che misurano la quantità di luce e la temperatura e il modulo Wi-Fi che viene utilizzato per il collegamento a Internet. In fondo all’asta, la parte che va più in profondità nel terreno, c’è invece il sensore di umidità del terreno. Da notare che i sensori possono essere utilizzati anche in vasi o fioriere con più di una pianta, per cui non è necessario prendere un sensore per ciascuna specie che abbiamo nella stessa area di terreno. Sarà poi il servizio cloud di Koubachi a interpretare i dati nel modo corretto per ciascuna pianta. Si installa da app o da web Una volta infilati i sensori nei nostri vasi, il primo passo è quello di creare un account sul sito my.koubachi. com e quindi di passare all’individuazione delle specie vegetali delle nostre piante. Se già sappiamo la va- video rietà della pianta possiamo selezionarla direttamente nel database, altrimenti c’è anche un tool sull’app per smartphone che ci può aiutare a identificarla. ‘interfaccia è simile sia via web che sull’app mobile e ci permette di creare il nostro giardino virtuale con tutti i nostri vasi. Possiamo aggiungere quante piante vogliamo anche se abbiamo un solo sensore. Nel caso di un sensore in un vaso con più piante assoceremo lo stesso sensore a più vasetti virtuali. Per associare un sensore a una pianta, basta cliccare sul bottone apposta sulla pagina web o l’app per far partire una procedura completamente guidata, che ci aiuta passo per passo nella configurazione che in realtà è molto semplice anche se richiede di passare prima alla rete WiFi del Plant Sensor per poi tornare alla nostra. In sostanza dobbiamo istruire i sensori a connettersi alla nostra rete WiFi - indispensabile per il funzionamento - e quindi una volta connesso associarlo alla nostra pianta. Sia che procediamo con la configurazione via web che con l’app il passaggio da una rete all’altra è completamente guidato e a prova di errore. Un po’ meno efficace il Plant Finder, disponibile sull’app mobile - che va detto è ancora in beta - che, per passaggi successivi, con una serie di domande ci aiuta a identificare le nostre piante. Il punto è che il database di Koubachi, per quanto ampio, non è completissimo e spesso mancano i nomi comuni utilizzati in Italia, per cui dopo anche dieci domande o più non siamo riusciti a individuare la pianta che cerchiamo, o perché non è presente nel database o perché non la riconosciamo. Una volta connessi i sensori, possiamo passare ad associarli alle piante e quindi configurare il servizio, il che consiste essenzialmente nel scegliere quando vogliamo essere notificati, quanto spesso e quale tipo di notifiche vogliamo ricevere. I sensori comunicano con Koubachi ogni 24 ore in modo automatico, ma è possibile aggiornare i dati in ogni momento premendo l’apposito tasto sulla testa dei dispositivi. Le notifiche arriveranno via email oppure in push sullo smartphone tramite l’apposita app per iOS e Android. lab Mai più dimenticarsi di bagnare Come abbiamo visto i Plant Sensor misurano temperatura, luce e umidità del terreno. Questi dati vengono utilizzati essenzialmente per fornirci indicazioni sulla disposizione della pianta (ombra o sole, caldo o freddo), su quanto e quando bagnare, e se e quando nebulizzare acqua sulle foglie. In più, grazie alle informazioni contenute nella libreria di Koubachi, ci verrà indicato a seconda del periodo dell’anno quando e come fertilizzare. Per ogni pianta avremo i dati dell’ultima lettura dei sensori e una sorta di cartella clinica con lo storico delle rilevazioni. Dopo la prima configurazione del sensore, come prima cosa, Koubachi analizzerà per qualche giorno la velocità di assorbimento dell’acqua quando innaffiamo, l’esposizione alla luce e la temperatura. Dopo questo primo ciclo di lettura ci verranno quindi date delle indicazioni eventualmente su come aggiu- Il database di piante di Koubachi contiene tutte le informazioni per la cura della pianta: area di provenienza, clima ideale, fertilizzante ottimale, periodo di fioritura e qualche cenno sulle origini. segue a pagina 43 torna al sommario n.93 / 14 7 LUGLIO 2014 MAGAZINE PC Qnap presenta il NAS delle meraviglie per gli appassionati di Home Theater: un prodotto super completo che costa 490 euro QNAP HS-251, il NAS con HDMI senza ventole Il nuovo HS-251 è senza ventole, fa la transcodifica in tempo reale dei contenuti e integra XBMC con tanto di uscita HDMI di Roberto PEZZALI n NAS, Network Attached Storage, è probabilmente uno dei dispositivi più utili (ma anche più incompresi) della casa. Qnap cerca di rompere quella barriera di diffidenza popolare nei confronti del NAS proponendo il nuovo HS-251, un NAS pensato espressamente per il salotto, privo di ventole e carico di funzionalità multimediali. Come ogni NAS, Qnap l’HS251 è dotato del sistema operativo QTS che permette l’accesso a moltissime funzioni, che vanno dal backup dei dati alla sorveglianza (per questo vi rimandiamo al sito ufficiale). Tuttavia questo particolare modello è pensato espressamente per chi vuole tenere il NAS esposto come un media center e usarlo non solo come server per i contenuti ma anche come player. HS-251 è dotato di un cabinet elegante, è privo U di ventole e può ospitare una coppia di dischi all’interno. La novità è rappresentata dal processore utilizzato, un Celeron Dual Core da 2.4 GHz che offre funzionalità multimediali avanzate, come la transcodifica dei contenuti video offline e in real time per rendere ogni flusso video compatibile con il dispositivo che lo sta ricevendo. Oltre a questo, HS-251 offre anche un’uscita HDMI con player XBMC integrato gestibile da smartphone, tramite telecomando per Media Center oppure con tastiera e mouse, anche wireless. L’unico neo è rappresentato dal prezzo: 490 euro di listino, per un piccolo gioiello nel mondo dei NAS che, considerando tutto quello che può fare, forse non sono neppure troppi. TEST Koubachi Plant Sensor segue Da pagina 42 stare l’esposizione delle nostre piante, ad esempio se è il caso di metterle più al fresco o in una zona dove prendono più luce. Uno dei principali motivi per cui le nostre piante possono soffrire, infatti, è proprio costituito dal non corretto posizionamento. Ogni volta che uno dei cinque parametri vitali (umidità terreno, temperatura, luce, fertilizzazione, nebulizzazione) necessita un intervento, verremo notificati. Questo è molto utile soprattutto per quanto riguarda l’innaffiamento visto che uno degli errori più comuni è quello, non solo di dimenticarsi di bagnare, ma al contrario anche di bagnare troppo o troppo di frequente! Qui se vogliamo c’è un limite nel fatto che in automatico la consegna dei dati a Koubachi avviene una volta ogni 24 ore: può infatti capitare che se nella notte c’è un temporale che innaffia le piante, ma la lettura viene effettuata immediatamente prima, la mattina dopo il sistema ci alletterà comunque che la pianta deve essere innaffiata. Naturalmente ci si accorge subito ugualmente, però forse si poteva dare la possibilità di impostare con una granularità anche più fine la lettura dei dati. Molto utile, ma ancora migliorabile Abbiamo utilizzato due sensori Koubachi per un paio di mesi e in effetti dobbiamo dire che ci ha aiutati a curare meglio alcune piante, soprattutto per quanto riguarda la loro esposizione. I promemoria sono una manna dal cielo per tutti coloro che hanno difficoltà a mantenere la giusta costanza nella cura delle proprie piante. I sensori ci sono parsi ben calibrati (nessuna delle nostre piante è morta di sete!), mentre a nostro avviso la parte software può essere sensibilmente migliorata. Si potrebbero dare più controlli sui tempi di lettura, migliorare la grafica sia dell’app (che non visualizza i grafici dei parametri vitali) che dell’interfaccia web e soprattutto occorre ampliare la libreria delle piante nel database, visto che mancano tantissime piante piuttosto diffuse. Inoltre il prezzo per ogni sensore non è del tutto indifferente, 119,95 euro di listino per la versione outdoor. torna al sommario
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