Autore Sigfrido Leschiutta, già presidente dell’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” (IEN), è membro dell’Accademia delle Scienze di Torino e docente di ruolo al Politecnico di Torino. È nato nel 1933 e ha iniziato la sua carriera di scienziato nel 1963 all’IEN. Tra i tanti prestigiosi incarichi ricoperti in ambito nazionale ed europeo nel settore della ricerca spaziale e in particolare per la realizzazione delle scale di tempo, spiccano: membro del Consiglio Scientifico dell’ASI dal 1989 al 1995 e presidente dal 1992 al 1994; delegato nazionale al Science Programme Committee di ESA dal 1994 al 1996 e membro del Solid Earth WG di ESA; presidente della Commissione internazionale per il Tempo e la Frequenza. È stato membro del Comitato Internazionale dei Pesi e delle Misure; nell’ambito delle attività connesse a tale organismo ha firmato, a nome degli istituti metrologici primari italiani, l’Intesa di Mutuo Riconoscimento tra istituti primari di metrologia di tutto il mondo. Amplissima la sua attività didattica, nell’università, anche come coordinatore del Dottorato di Metrologia, nella Teledidattica per il Consorzio Universitario Nettuno e in molti altri ambiti. È autore di circa 200 pubblicazioni e di due libri. Come ben dimostra il quaderno da lui scritto, molteplici sono i suoi interessi culturali che spaziano dalla storia alla musica, dagli strumenti di misura antichi alla letteratura. € 14,00 ASSOCIAZIONE ITALIANA “GRUPPO MISURE ELETTRICHE ED ELETTRONICHE” L’arte della misure viene presentata in quattro capitoli, ciascuno costituito da una serie di brevi interventi, alcuni ironici, altri drammatici, sempre però scritti con grande vivacità, semplicità di linguaggio e immediatezza del messaggio che intendono proporre. È il messaggio dell’universalità delle misure, nate “a misura d’uomo” ma con valori che dal singolo si proiettano sull’umanità intera. La grande capacità di Sigfrido Leschiutta consiste nell’affrontare con allegria temi difficili, riuscendo così a farli apprezzare e comprendere. Mentre si legge con piacere la prosa scorrevole e i continui richiami ai nostri giorni e ai problemi che ci sono intorno, si apprende il cuore della storia della metrologia attraverso fatti e personaggi reali, che con lo scorrere della pagine divengono amici con i quali piace confrontarsi. Nel primo capitolo, “Gli orologi, i calendari e i satelliti”, otto quadretti storici, dalla antica civiltà cinese ai giorni nostri, presentano le tecniche più curiose inventate dall’uomo per misurare lo scorrere del tempo e per definire i riferimenti indispensabili per associare a un evento la sua collocazione nel passato. Il secondo capitolo, “La terra e le mele”, affronta in quattro quadri il tema della forma e delle dimensione della Terra, presentando quattro problemi che hanno coinvolto alcuni tra i più noti scienziati in dispute accanite e in misure geniali. Il terzo capitolo, “Personaggi”, è una gustosa galleria di figure vive, con le loro debolezze ed eroiche convinzioni, immerse nel loro tempo ma capaci di testimonianze universali. Galileo, Franklin, Lagrange, Volta, Helmoltz e molti altri sfilano davanti al lettore con tutta la loro umanità, portando ciascuno un tassello di nuova conoscenza da tramandare per costruire tutti insieme la scienza come essa è oggi. Nel quarto capitolo, “Paradigmi”, l’autore, che molti lettori già ben conoscono e apprezzano con lo pseudonimo SILE, ha cercato di riassumere la sua grande esperienza nella scienza e nella sua storia, proponendo sintetici quadri di alcuni tra gli accadimenti che hanno contribuito a trasformare il modo stesso di concepire la scienza. La lunga strada tracciata nel quaderno è arricchita da ricordi di momenti vissuti che costituiscono una preziosa testimonianza del lento progredire di istituzioni e organismi, nella scienza e in particolare nella metrologia. I QUADERNI DEL GMEE N° 4 L’arte della misura del tempo presso le cortigiane e altre curiose storie sulle misure, le istituzioni e i personaggi che hanno edificato la moderna metrologia E G E M Sigfrido Leschiutta Unità del GMEE di Torino I QUADERNI DEL GMEE N° 4 Sigfrido Leschiutta L’ARTE DELLA MISURA DEL TEMPO PRESSO LE CORTIGIANE e altre curiose storie sulle misure, le istituzioni e i personaggi che hanno edificato la moderna metrologia Unità GMEE di Torino Quaderno n. 4 - GMEE 2 I QUADERNI DEL GMEE N° 4 L’arte della misura del tempo presso le cortigiane e altre curiose storie sulle misure, le istituzioni e i personaggi che hanno edificato la moderna metrologia Collana “I Quaderni del GMEE” - n° 4 a cura dell’Associazione Italiana “Gruppo Misure Elettriche ed Elettroniche” Con il gentile supporto di Tutti i diritti di riproduzione, traduzione, adattamento anche parziale sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali. Videoimpaginazione: la fotocomposizione, Torino Stampa: La Grafica Nuova, Torino Finito di stampare nel mese di Ottobre 2008 ISBN 978-88-903149-4-0 A&T Affidabilità & Tecnologia Via Palmieri, 63 - 10138 TORINO Tel. 011/536.34.40 - Fax 011/536.32.44 E-mail: [email protected] WEB: www.affidabilita.com 1 - Il decibel e le unità logaritmiche assolute 3 Prefazione Imparare in allegria le misure. Potrebbe essere il titolo di questo quaderno, da leggere in due serate, dimenticando una volta tanto mamma TV e i suoi indottrinamenti. Ho raccolto nel quaderno articoli, in gran parte pubblicati sulla rivista Tutto_Misure, scritti per mostrare come la metrologia ben si sposi con la cultura umanistica, come seppero fare tanti dei personaggi che vi presento e che spero possano diventare vostri amici. Nel discorrere di chiodi e di mele, di scappatelle e giuramenti, di ingegneri e di musicisti, ho cercato di far fluire, davanti agli occhi del lettore, i sacrifici, le lotte, i compromessi che sono costati i progressi di quella regina delle scienze che è la metrologia. Nel primo capitolo, “Gli orologi, i calendari e i satelliti”, otto quadretti storici, dalla antica civiltà cinese ai giorni nostri, presentano le tecniche più curiose inventate dall’uomo per misurare lo scorrere del tempo e per definire i riferimenti indispensabili per associare a un evento la sua collocazione nel passato. Il secondo capitolo, “La Terra e le mele”, affronta in quattro quadri il tema della forma e delle dimensione della Terra, presentando quattro problemi che hanno coinvolto alcuni tra i più noti scienziati in dispute accanite e in misure geniali. Il terzo capitolo, “Personaggi”, è una galleria di figure, spero gustose e vive, con le loro debolezze ed eroiche convinzioni, immerse nel loro tempo ma capaci di testimonianze universali. Nel quarto capitolo, “Paradigmi”, ho cercato di riassumere la mia esperienza nella scienza e nella sua storia, offrendovi anche sintetici quadri di alcuni tra gli accadimenti che hanno contribuito a trasformare il modo stesso di concepire la scienza. Ho anche cercato di prendere in considerazione vari tipi di misure e, di conseguenza, le grandezze che da esse vengono definite. Senza le misure l’umanità appare perduta, incapace persino di riconoscere lo scorrere del tempo nelle azioni più comuni, inevitabilmente schiava di superstizioni e miti. Da questa constatazione, ossia che le misure sono, nei fatti, una normale ed essenziale attività, parto per ragionare, sorridendo, sui perché, sulle storie, sui personaggi. Continui sono, nei racconti, i riferimenti ai giorni nostri, alle esperienze quotidiane di ciascuno: ogni quadro vorrebbe così essere vivo, presente, avvincente. E alla fine, senza che vi siate accorti d’aver letto un libro di scienza, forse scoprirete d’aver camminato lungo lo stesso percorso che la mente dei singoli e la mente intera dell’umanità hanno compiuto per arrivare all’oggi. Quell’oggi che è incomprensibile senza il sapere di ieri, senza partecipare agli incidenti di percorso e ai drammi interiori che è stato necessario superare per continuare il cammino. 4 Quaderno n. 4 - GMEE È questa capacità di tramandare alle generazioni successive le nuove conoscenze, e le difficoltà che si sono dovute superare per acquisirle, che ci distingue dagli altri mammiferi. Ecco perché leggere questo libretto mi auguro faccia sentire più liberi, più critici di fronte a chi cerca di convincerci che il suo interesse è il nostro interesse, più pronti a distinguere i paradigmi di moda dalle leggi della scienza, ma anche i limiti di tali leggi, modelli culturali che dobbiamo essere pronti in ogni momento a verificare con le misure. A voi lettori il decidere se sono riuscito a cogliere questi ambiziosi obiettivi Sigfrido Leschiutta L’Associazione Italiana GMEE ringrazia tre fra le migliori realtà culturali della città di Torino per aver sostenuto con la propria sponsorizzazione di questo Quaderno, con l’obiettivo di incrementare la diffusione della cultura metrologica nel nostro Paese Accademia delle Scienze di Torino Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica Politecnico di Torino Indice 5 Indice Pag. Prefazione 1. Gli orologi, i calendari e i satelliti L’arte della misura del tempo presso le cortigiane Prostitute e avvocati usavano gli stessi orologi Vieni a cena, quando l’ombra è di sei piedi Tempo, calendario e carte da gioco I cinque sensi e il “metro” cinese antico Calendario e dintorni a Roma Il giorno in cui vennero fermati gli orologi Il Pprogetto Galileo: navigare con satelliti e orologi (con P. Tavella) 2. La Terra e le mele Come è difficile misurare la terra Ma la Terra è fatta come un’arancia o come un limone? Sappiamo che la Terra è fatta come una mela schiacciata ai poli, ma è una mela “normale” o una mela cotogna? Sincronizzare orologi e misurare la distanza tra Palermo e Lecce, guardando le stelle filanti 3. Personaggi I nove strumenti scientifici di Galileo Franklin e la Franklen: la stufa di Pennsylvania Giuseppe Luigi Lagrange: grandissimo fisico-matematico, ma anche grande metrologo Il giuramento mai giurato di Galvani La scappatella di Volta La città di Milano dette ragione a Ohm Quel matto di Wheatstone Helmoltz, la moglie e il Kaiser 3 7 7 9 10 11 12 14 17 18 23 23 25 27 29 31 31 35 37 40 42 45 46 49 Quaderno n. 4 - GMEE 6 Pag. 4. Paradigmi Il sistema metrico decimale è bello ma certamente scomodo Gestazione, nascita e affermazione delle Leggi della Fisica L’uso della rana come rivelatore elettrico ed elettromagnetico Elettrotecnica, Elettronica e Telecomunicazioni: breve storia dello sviluppo a Torino La nascita difficile delle misure elettriche Sei metri, tutti diversi ma tutti eguali L’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” a Torino: la sua storia Quale Metrologia per l’Italia? La contesa tra negoziante e cliente è sempre stata vivace Misurare l’impossibile Indice dei nomi 52 52 55 66 68 72 77 81 87 90 92 94 1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti 7 1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti L’arte della misura del tempo presso le cortigiane Se c’è una professione per la quale vige e impera il proverbio inglese “time is money” è appunto quella delle cortigiane e affini. Delle due accezioni del tempo (durata e data) è la prima che fa testo, in quanto la seconda, pur legata a relazioni di fase, antifase o quadratura con le fasi della luna, è solitamente meno importante. Restiamo pertanto al tempo come durata o intervallo. Dato il soggetto, sarebbe facile scendere nel lubrico, ma la verecondia della pubblicazione, e del lettore medio, è certamente preservata dall’ancora maggiore verecondia dell’estensore della nota. Verrà seguito un rigoroso metodo storico. Ma prima di scendere a queste ben particolari tecniche metrologiche, è opportuno premettere che, in un caso, si tratta di tecniche idrauliche e, in tre, di tecniche ignee; verrà anche considerata una variante meccanico-elettrica di poco conto, considerata solo perché è la “recentiore” e perché, si presume, parte dei lettori del quaderno siano di cultura meccanica, elettrica ed elettronica e, quindi, possano immaginare (e, se del caso, progettare e realizzare) i relativi circuiti. Cominciamo con i Dialoghi delle Cortigiane di Luciano di Samosata. La Cortigiana, o etera, era circondata da due pressioni tra loro contrastanti: da una parte la madre, che vede la propria vecchiaia assicurata dal numero delle prestazioni della figlia, oltre che dalla solvibilità del cliente; dall’altra parte la giovane servente che, distratta e sventata come sono i giovani, avrebbe benissimo potuto dimenticarsi di ricaricare l’orologio usato per misurare la durata della prestazione. Su circa trenta Dialoghi che ci sono pervenuti, ben una decina considera questa ossessione della madre. Veniamo all’orologio idraulico, che era un bacile metallico di forma emisferica, munito di un forellino sul fondo. Quando l’etera si ritirava, la fanciulletta metteva il bacile in un bacino più grande, colmo d’acqua, e si attendeva che il bacile andasse a fondo. Questa semplice misurazione era diffusa nell’antichità. L’uso documentato più recente fu osservato in Algeria, all’inizio del secolo scorso sulle montagne dell’Atlante, per regolare la durata dell’irrigazione nei vari prati. Questa è la tecnica idraulica. Di una variante truffaldina di questo metodo, largamente praticata a Roma, si dirà in altra nota. Da quest’ultima applicazione è nata la locuzione, tuttora viva, “intorbidare le acque”. Passiamo alle tecniche ignee, fornendo quattro esempi, legati a Indocina, Cina (con due varianti) e Giappone: tutte queste tecniche sono basate sulla lenta e uniforme combustione di segatura pressata o di una miccia tessile. Esistono anche liane che possono essere usate come micce. Prima che l’elettrotecnica, a solacio delle notti estive, popolate da moscerini, lucciole, falene e pappataci, intervenisse con le cosiddette “friggitrici” (nelle quali il volatile viene attirato da intensi campi elettrici tra fili paralleli alimentati ad alta tensione), an- 8 Quaderno n. 4 - GMEE che in Italia si usavano, e a volte usiamo, gli “zampironi”, che assumono due forme tipiche: un tronco di piramide o una spirale di segatura, parte della quale è di piretro. Spirali di segatura, dal diametro di alcune decine di centimetri, con segni colorati, equidistanti in tempo, venivano usati alla bisogna in Indocina. Se non vi sono spifferi ad attivare la combustione, si ottengono intervalli con incertezze di qualche percento. Comunque tutto finisce in cenere. Molto più raffinate o brutali le tecniche cinesi. Nel primo caso, oltre a informazioni di durata, venivano trasmessi, per via olfattiva, messaggi utili per l’armonia della famiglia. Infatti una delle arti insegnate alle ragazze in età da marito era la messa a punto quotidiana dell’orologio domestico. Si iniziava preparando, con appositi attrezzi, un letto di cenere impalpabile, sul quale veniva calato, con una certa pressione, uno stampo che portava un disegno continuo. Si creava così un solco continuo, che veniva riempito di segatura di legno. Si comunicava del fuoco all’inizio del solco e il progredire della brace dava il tempo trascorso. Ma ora viene il bello: a ogni legno, e quindi a ogni odore, veniva abbinato un significato, così la sposa comunicava a chi di dovere le proprie condizioni fisiologiche o psicologiche. Lo stesso tipo di orologio igneo veniva usato anche nelle fumerie d’oppio e in altri ambienti disdicevoli. Particolarmente apprezzato, in questi casi, era un altro orologio igneo, detto “il dragone musicale”, perché, oltre a informazioni visive e olfattive, forniva anche, alla fine dell’intervallo, un segnale acustico. Secondo taluni autori, altra tecnica ignea, quella detta del soldato cinese, veniva praticata per regolare la durata di certi intrattenimenti. Non si sa se andare avanti nel descrivere le modalità d’uso, invero brutali, ma la sacra verità storica domanda questo e altro. Comunque, la cosa è documentata in più libri, anche se in alcuni è definita come “la sveglia del soldato della grande muraglia”. Il metodo, come si è detto, ha risvolti di brutalità ma è indubbiamente efficace. Si prendeva una miccia a lenta combustione: a un’estremità si praticavano due nodi ravvicinati e l’intervallo tra i due nodi veniva inserito tra l’alluce e il secondo dito. Provare per credere. L’ultima e quarta tecnica ignea ci porta in Giappone e, nonostante il soggetto osceno, ha un tocco di strana poesia. L’orologio usato come misuratore di intervallo di tempo era costituito da una scatola rettangolare di legno piatta e oblunga, munita di un cassetto e dotata sulla parete superiore di tanti forellini, ognuno corrispondente al nome di una delle fanciulle ospiti della casa. Quando un cliente arrivava, dal cassetto veniva estratto uno stelo di polvere di legno, essiccato e tenuto assieme da una colla: sono proprio quei bastoncini in vendita nelle fiere o nei negozi di prodotti off-beat e che fanno tanto India, guru, spiritualità orientali, e così via. Lo stelo veniva inserito nella casella prescelta, se libera, e acceso all’altra estremità. Anche in questo caso tutto finiva in cenere. Uno si potrebbe domandare dove sia il tocco di poesia, che invece c’è, perché la cortesia giapponese voleva che non si domandasse mai brutalmente il costo della prestazione, ma ci si informasse, del tutto casualmente, sul costo del bastoncino di segatura. Finito l’oriente, e con esso le tecniche ignee, torniamo all’occidente e all’impetuoso ingresso dell’elettrotecnica in ogni attività umana, meretricio compreso. Si pensò e si praticò, oltre a sistemi di campanelli e spie luminose e sempre per regolare la durata di certe prestazioni, di usare misuratori di intervalli di tempo simili a quelli utilizzati nelle partite di scacchi. Ma la cosa era meccanica, brutale e non regolabile: intervenne così l’elettrotecnica. Il cliente che lo desiderasse poteva, agendo su una peretta, ottenere un “reset” dell’orologio e così il conteggio del tempo e la tariffazione ricominciavano. 1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti 9 Prostitute e avvocati usavano gli stessi orologi Già si è visto il particolare orologio idraulico usato dalle etere ateniesi: un vaso emisferico, con un forellino sul fondo. Quando l’etera si ritirava con il cliente, detto in greco fa più fino, εραστησ, la mamma, ansiosa che la prestazione venisse compiutamente misurata in tempo e quindi fatturata, si accertava che la fanciulletta di servizio (in greco fa ancora più fino, la νεανισκη) avviasse subito l’orologio, ponendo il bacile vuoto entro una conca piena d’acqua. La prestazione durava, quindi, il tempo del riempimento del bacile. In altri casi, e qui veniamo agli avvocati di Roma, la durata dell’intervento corrispondeva allo svuotarsi di un recipiente emisferico. Nel foro romano esiste ancora il dispositivo con il foro di svuotamento, in basso sulla destra, andando verso il Colosseo. Non si conosce la durata dell’intervento, in quanto all’autore di questa nota, che era sceso alla bisogna nel foro con una tanica piena d’acqua e un orologio tarato sul tempo universale, fu impedito di procedere alla misurazione da un troppo solerte guardiano. E poi sarebbe rimasto il dubbio che, nei duemila anni trascorsi, il foro entro il foro non fosse stato allargato. A badare ad un film di Totò, nel foro di Roma succedono cose strane, tipo l’acquisto a rate del Colosseo. Comunque la durata dell’intervento dell’avvocato difensore era fissata dallo svuotamento della conca. Se l’avvocato riteneva che la causa fosse difficile, poteva chiedere (ma prima di iniziare l’intervento) di usare due unità di tempo, due svuotamenti della clessidra; l’espressione giuridica relativa era “binas clepsidras petere”. Se l’intervento era giudicato comunque inefficace, gli astanti concludevano che egli aveva sprecato il suo tempo, aveva perso la sua acqua e mormoravano tra di loro: “aquam suam perdidit”. All’avvocato poco abile restava un rimedio: corrompere il cancelliere o chi per lui fosse addetto al riempimento della clessidra. Per allungare il tempo di svuotamento bastava, infatti, non riempire la conca d’acqua a qualche vicina fontana (e sappiamo che Roma è sempre stata ricca di acquedotti) ma andare, invece, ad attingere nel vicino e fangoso Tevere. Sembra che da questa consuetudine sia nata l’espressione “intorbidare le acque” tuttora circolante nella lingua italiana. L’altra possibile origine deriva dalla consuetudine di taluni pescatori di “pasturare”, anche rimuovendo fango dal fondo, la zona di pesca. Anche le prediche dei pastori anglicani erano limitate in durata. Presso gli antiquari inglesi, pregiatissime sono infatti le clessidre a sabbia “sermon sand-glasses”. Si deve andare alla metà del ’600, all’epoca di Oliviero Cromwell, un tizio per molti versi strano: faceva bruciare spartiti di musica e strumenti musicali, ma poi, durante la Settimana Santa, travestito, andava nella cappella dell’Ambasciata francese, ove era rimasto l’unico organo funzionante di Londra. Altra sua mania era la durata delle prediche, che non doveva superare circa sedici minuti. All’uopo aveva fatto istallare, sulla balaustra del pulpito di tutte le chiese d’Inghilterra, una clessidra e il pastore, appena salito sul pulpito, doveva girare la clessidra che era posta in bella vista ai fedeli. In fondo la clessidra che avevamo nelle case per misurare la durata delle interurbane aveva lo stesso scopo. 10 Quaderno n. 4 - GMEE Vieni a cena, quando l’ombra è di sei piedi L’uomo è misura, ma non solo in senso metaforico. C’è, anzi, un interessante filone della metrologia, la scienza che si occupa delle misure, che assume proprio l’uomo, con le sue dimensioni fisiche o le sue capacità muscolari, come base di un sistema di misura. Antropometrici sono, infatti, gli antichi sistemi di misura per le lunghezze, ove troviamo la tesa (brachiatensa, le braccia tese), cubiti (l’avambraccio tra gomito ed estremità del dito medio), piedi, palmi, dita, pollici e così via. Pure basate sull’uomo sono alcune misure di superficie, come il settore, diffuso sull’arco alpino, che è l’area che un montanaro medio riesce a falciare in un giorno. Misurazione dell’ora tramite la lunghezza dell’ombra Più curioso il fatto che si sia usato il corpo per la misura del tempo. Lo spunto fu offerto dall’osservazione che esistono certi rapporti “fissi” tra le lunghezze di alcune parti del corpo umano, nel nostro caso tra l’altezza di una persona e la lunghezza di un suo passo o di un suo piede. Una persona, in piedi, all’aperto e in una bella giornata, produce un’ombra la cui lunghezza, misurata in “piedi” o in passi della stessa persona, dipende certamente dall’ora. Esistevano così tabelle che, in funzione della lunghezza dell’ombra, espressa in piedi, consentivano una stima dell’ora. È chiaro che queste tabelle, in pratica, avrebbero dovuto variare con il luogo e con le stagioni, dato che l’altezza del sole sull’orizzonte varia durante l’anno e cambia con la latitudine. Il metodo comunque andava bene quando, come accadeva ad Atene, l’ora veniva indicata con perifrasi del tipo: quanto si accendono le lucerne o quando la gente comincia ad arrivare in piazza. Ci fu comunque chi, con un certo successo, calcolava e metteva in commercio le tavole che davano la corrispondenza tra lunghezza dell’ombra di una persona, espressa in lunghezza del suo piede, e l’ora, come fece, verso la fine del ’500, Teodosio Rossi, a Roma, con il suo Horihomo. Le notizie, dirette o indirette, sull’uso delle proporzioni del corpo umano per conoscere l’ora sono numerose. In una commedia di Aristofane, un parassita riesce finalmente a strappare un invito: vieni pure quando la tua ombra è di sei piedi, gli dice il padrone di casa, pensando di vederselo comparire verso sera. Invece l’affamato parassita, per installarsi comodamente, compare accompagnato da testimoni e giudici, di primo mattino, quando l’ombra del sole nascente è giusto di sei piedi. 1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti 11 Tempo, calendario e carte da gioco La misura del tempo, nella sua forma di maggior uso, il calendario, sembra essere presente nelle più inaspettate forme di vita umana. Prendiamo un mazzo di carte: le carte sono in totale cinquantadue, quante le settimane dell’anno. Se poi contiamo le carte di ogni seme, ne troviamo tredici, quanti sono, in media, i mesi lunari in un anno. E i semi sono quattro, quante sono le stagioni e gli anni che separano un bisestile da un altro. Tornando ai semi: se facciamo la somma dei valori delle carte, da uno a tredici, troviamo novantuno; moltiplicando per il numero dei semi si ha trecentosessantaquattro e, aggiungendo la Matta, si arriva al numero dei giorni di un anno. Per tener conto dell’anno bisestile, alcuni tipi di mazzi, si dice, hanno due matte. Ma, secondo i cabalisti delle carte, si può andare ben oltre: se è vero che il gioco delle carte è nato in Egitto, troviamo almeno due simboli legati alla misura del tempo. Nell’antico calendario di quel paese, l’inizio dell’anno di ogni ciclo sotiaco era collegato al levare “eliaco” della stella Sirio, la più luminosa del cielo, cioè al sorgere quasi contemporaneo di Sirio e del Sole. Questo evento coincideva con la massima piena del Nilo: così vediamo il fante di bastoni (o fante di fiori), che reca in mano il bastone con il quale ogni mattina si saggiava il livello delle acque. Il fante di cuori ci porta la notizia che la vita continua perché è tornata la primavera: infatti ha in mano una foglia o un fiore. Il fante di picche sembra recare in mano una clessidra a sabbia; questa almeno è una delle interpretazioni. E qui casca l’asino perché, se è vero che gli egizi misuravano il tempo con le ombre e con il fluire dell’acqua (clessidra è l’oggetto che “ruba” l’acqua), sembra asThe jack of heart: the life continues because spring is coming sodato che quella a sabbia, back. nonostante l’abbondanza loThe jack of spade takes in his hands a sand-glass. cale della materia prima, fosse a loro completamente sconosciuta. Sarà tutto vero, ma la cosa più sicura e triste è proprio l’etimologia della parola clessidra, che ci ricorda che ogni orologio ci ruba la cosa più preziosa, il tempo. 12 Quaderno n. 4 - GMEE I cinque sensi e il “metro” cinese antico L’uomo, aiutato dai suoi cinque sensi, fa in continuazione misurazioni e stime: può essere lecito domandarsi con quale risoluzione (il minimo intervallo di una certa grandezza) e, in alcuni casi, con quale incertezza l’uomo, beninteso senza l’ausilio di strumenti, possa apprezzare qualche cosa che cada ovviamente sotto ai suoi sensi. Già Aristotele diceva che tutto il “traffico” tra il mondo del reale e la cittadella della conoscenza (dei modelli quantificabili, diremmo oggi) passava per le cinque porte dei sensi. Naturalmente per la nostra indagine è necessario che l’oggetto della misurazione sia a scala umana. Non ha senso infatti, in questa particolare ottica, ricercare la risoluzione in una distanza di qualche decimo di millimetro o di qualche kilometro. Con una certa sorpresa si perviene alla conclusione che il senso con la maggior risoluzione è l’udito. Scartiamo subito il gusto: una serie di valutazioni tra chimica, fisiologia e cultura, che tuttora sfugge a una misurazione. Scartiamo anche l’olfatto, altra grandezza fisiologico-chimica, la cui percezione in taluni animali (molto meno nell’uomo) è straordinariamente sviluppata. Restano tatto, vista e, appunto, udito. Al tatto sono affidate determinazioni di distanza, di “rugosità” e anche di temperatura. La sensibilità tattile (il minimo valore assoluto percepibile) varia molto nel corpo umano, da qualche millimetro nella schiena a qualche decimo di millimetro nei polpastrelli. Confondendo (non sempre è lecito e si pensi al tachimetro dell’automobile o al tester in alternata) risoluzione con sensibilità e usando il solo tatto, la lunghezza di due regoli, ad esempio la loro eguaglianza, può essere stimata entro 10-2 – 10-3, ovviamente in unità relative e ricordando sempre che dobbiamo lavorare a scala umana. Difficile parlare di sensibilità e risoluzione per la temperatura, perché il parametro che domina la sensazione fisiologica è la conducibilità termica dell’oggetto toccato: fra due materiali nominalmente alla stessa temperatura, il polistirolo sembrerà sempre più caldo del ferro. Meglio la vista: la risoluzione (insegnano geometri e astronomi, senza lenti o senza calibri) è dell’ordine di qualche decimo di millimetro; i geometri dicono 0,2 mm. Questo vuol dire che l’eguaglianza di quei due regoli, anche se sono più lunghi di 1-2 metri, può essere stimata con una risoluzione di qualche unità di 10-4. Naturalmente devono essere assicurate adeguate condizioni di illuminamento e fisiologiche dell’operatore, che a volte può vedere doppio. Ma è per la differenza di due frequenze e, come vedremo, anche di due lunghezze che il senso umano richiedente minori assunzioni è l’udito. Capita, a volte, di vedere un accordatore che “tara” un pianoforte o udire un’orchestra che, prima di un’esecuzione, accorda tutti gli strumenti sul “la” emesso dall’oboe. Incidentalmente si sceglie l’oboe e non, ad esempio, il flauto, perché il suono del primo strumento è ricco di armonici sia pari sia dispari, mentre il flauto emette una sinusoide, quasi sprovvista di armonici. L’importanza degli armonici la vediamo subito. Comunque accordatori o musicisti, sfruttando il fenomeno dei battimenti che nascono in un sistema non lineare, quale il sistema orecchio-cervello, sono in grado di apprezzare differenze di frequenza, da qualche centesimo a qualche decimo di hertz; per lunghezze d’onda sempre a scala umana, cioè da qualche decimetro a qualche metro di lunghezza d’onda. 1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti 13 Flauto cinese Il “la” usato per accordare ha una frequenza di 440 Hz, alla quale corrisponde una lunghezza d’onda di circa 77 cm. La frequenza di battimento è data da fb= m·f1 ± n·f2, dove f1 ed f2 sono le frequenze delle due note confrontate, essendo m e n l’ordine delle armoniche. Immaginiamo che un violinista accordi la nota la5, che risuona a 1760 Hz (per chi non sa di musica, è la nota della seconda ottava che è a destra del buco della chiave del pianoforte). In questo caso m (oboe) è 4 e n (violino) è 1. Se il violinista percepisce fb = 0,05 Hz (prestazione comune in un buon musicista), la sua risoluzione nel misurare la differenza di frequenza è: Δf 0,05 0,05 5 ⋅ 10 −2 = = = ≈ 3 ⋅ 10 − 5 f 4 ⋅ 440 1760 1,76 ⋅ 103 Il che è stupefacente. Questo spiega come mai i campioni di lunghezza dell’antica Cina fossero propagati per via musicale. I campioni di lunghezza erano, infatti, costituiti da tubi vuoti, cioè da canne che potevano essere suonate, una delle quali veniva portata alla lunghezza dell’altra, appunto, imponendo che i battimenti relativi fossero “nominalmente” nulli. Quindi dall’ipotetico Ufficio Centrale Metrico del Celeste Impero, i campioni di lunghezza tutti “accordati” uscivano con incertezza relativa di 10-5. 14 Quaderno n. 4 - GMEE Calendario e dintorni a Roma E il pretore piantava un chiodo Nella prima deca di Tito Livio, al libro VII, si legge di un curioso metodo usato nella Roma repubblicana e imperiale per tenere il computo degli anni. La cosa era iniziata con Tarquinio il Superbo che, dalla nativa Etruria, aveva importato a Roma anche la tradizione della quale oggi ci occupiamo. Al solstizio di autunno, la più alta autorità politica presente in Roma, o il pretore, andava con gran pompa sul Campidoglio ove, nel fianco destro del Tempio di Giove, piantava un chiodo che veniva lasciato sporgere. Il numero dei chiodi dava così un’indicazione del trascorrere del tempo. Quel giorno cadeva convenzionalmente alle Idi di settembre, cioè al giorno tredici, che era sacro a Giove e nel quale veniva ricordata la dedicazione del suo tempio sul Campidoglio; secondo la tradizione popolare la festa coincideva con la partenza delle rondini. Tito Livio si vergogna un po’ a raccontare questa storia e si profonde in scuse e spiegazioni non richieste: le persone colte e quelle che sapessero leggere e scrivere o far di conto erano, in fondo, così poche a Roma e l’unico modo per contare gli anni trascorsi era proprio quello di piantare sistematicamente un chiodo. L’espressione “piantare un chiodo” è rimasta nella lingua italiana perché a Roma il debitore piantava su una trave dello stipite della propria casa un chiodo, che poteva essere estratto solo da un creditore soddisfatto… Se lo sterco è stato portato via, il pretore emetta pure la sua sentenza Lo studio del calendario romano è fonte inesauribile di notizie, non tutte peregrine. Ad esempio, le parole fasto e nefasto, usate anche oggi, ci arrivano direttamente dal calendario giudiziario romano. C’erano infatti, nel corso dell’anno, circa sessanta giorni nei quali un giudice romano non poteva assolutamente pronunciare nessuna delle tre parole fatidiche “do, dico, addico”, con una delle quali doveva iniziare qualsiasi sentenza. Addico, vuol dire attribuisco. Questi erano i giorni nefasti, la cui etimologia significa, appunto, che il giudice “non deve parlare”. Foro Romano: “Base dei Decennali”, base di colonna monumentale per la celebrazione dei vicennali dei Cesari nella tetrarchia del 304. 1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti 15 In altri quaranta giorni, quelli fasti, il giudice poteva invece ascoltare i litiganti ed emettere la sentenza, pronunciando una delle tre parole. Pertanto su tutti i calendari questi giorni venivano contraddistinti dalle lettere F e N per indicare questa caratteristica “giudiziaria” che, a volte, era limitata solo a parte della giornata. In questi giorni, che erano una cinquantina all’anno, il calendario recava ad esempio N.P., abbreviazione di “Nefastus prima parte diei”, cioè nefasto prima di mezzogiorno. C’erano anche particolari eventi che trasformavano il “tipo” di giorno. Il più curioso cadeva il 17 prima delle calende di luglio, che sarebbe poi il 15 giugno. In quel giorno, che era nettamente nefasto, il pretore poteva aprire bocca non appena fosse stato rimosso dal tempio di Vesta lo sterco che vi si era accumulato nell’anno precedente, lasciato dagli animali condotti al sacrificio. Lo scrupoloso cronista aveva infatti scalpellato, per quel giorno, sul calendario le quattro lettere Q.ST.D.F., che (non è necessaria la traduzione) volevano dire “Quando Stercus Delatum, Fas”. Sembra che dal popolo romano venisse ritenuto di particolare buon auspicio il fatto che l’animale condotto al sacrificio adempiesse a certe funzioni fisiologiche nel recinto del tempio. Non altrimenti gioiscono oggi i senesi se il cavallo, portato nella chiesa del quartiere la vigilia del Palio, vi lascia evidenti tracce del suo passaggio. L’indizione romana Chi si balocca con il Calendario o con cose più serie, quali il Periodo Giuliano, si imbatte prima o poi nell’Indizione, un modo curioso di contare gli anni. Infatti tutte le altre maniere di misurare il tempo hanno un significato o, almeno, un riferimento astronomico, mentre questa è nata unicamente per scopi fiscali. L’Indizione era un periodo di quindici anni, in capo ai quali si rivedevano tutte le tasse e si riscrivevano a ruolo, aggiornati, quelli che oggi chiamiamo i valori catastali. L’Indizione, nel senso moderno della parola, è l’ordine di un anno entro questo ciclo di quindici anni. Resta da vedere chi abbia introdotto l’Indizione, quando e con quale significato; resta anche da cercare di spiegare la fortuna del suo uso per oltre quindici secoli, sino ai nostri giorni. Gli storici non sono concordi sull’inizio; la data più probabile è per la prima parte del quarto secolo, il 22 settembre del 312 quando, essendo consoli Licinio e Costantino, Massenzio venne sconfitto; secondo altri, il 24 settembre dell’anno 747 di Roma, quando Augusto prese il potere. 16 Quaderno n. 4 - GMEE Ci sono tre secoli di differenza, ma il mese e la data praticamente coincidono: infatti la forma più antica dell’anno romano iniziava al solstizio di autunno, che cade nella seconda metà di settembre. Di sicuro c’è che Giustiniano, nel sesto secolo, al capo quarantasette delle sue “Autentiche” prescrisse che ogni atto pubblico, pena la nullità, dovesse recare il giorno, il mese, il nome dei consoli in carica, il nome dell’imperatore e, appunto, l’ordine dell’anno nel ciclo delle indizioni. Questa norma, con le ovvie modificazioni, fu seguita presso monasteri, notai, cronisti e corti europee per almeno mille anni, per gli atti di una certa importanza. Ad esempio, in talune regioni italiane i notai usarono l’Indizione sino all’inizio del secolo scorso. Ecco, quindi, il motivo che giustifica l’interesse per l’Indizione, spesso l’unico bandolo per districare problemi di datazione altrimenti non risolvibili. Dato che l’Indizione venne introdotta solo verso il quarto secolo, nulla ci possono dire gli autori del periodo classico. E così cronisti medioevali si sono sbizzarriti nel proporre le più strampalate teorie e notizie. Ad esempio la durata nasceva dal fatto che ogni quindici anni avvengono rilevanti cambiamenti nella vita dell’uomo con la pubertà, la maturità e la cosiddetta terza età, che evidentemente allora cominciava a quarantacinque anni. Immaginifico, l’Accursio 1, quando racconta che per dar sollievo nel pagamento delle tasse alle stremate provincie, nel primo lustro di ogni Indizione le nazioni tributarie pagavano le loro imposte in ferro, nel secondo in argento e nel terzo in oro. Più vicino al vero l’Alciati 2, il quale sostiene che l’Indizione era divisa in tre lustri, ognuno dei quali dedicato all’esazione delle tasse in Africa, Asia ed Europa, e che ogni quindici anni tutti i conti dovevano essere chiusi. Oggi l’Indizione, oltre che chiave insostituibile per la datazione sino alle soglie della Rivoluzione francese, viene usata nei documenti ufficiali della Chiesa Cattolica ed è uno degli ingredienti del periodo giuliano (conteggio decimale dei giorni, indipendente dalle bizzarrie del nostro calendario, molto usato nella scienza e nella tecnica. Per convenzione, ormai da alcuni secoli, gli storiografi hanno fissato l’origine fittizia del ciclo delle Indizioni a tre anni prima della nascita di Cristo; quindi, per trovare l’Indizione di un anno della nostra Era cristiana, si aggiunge tre al numero dell’anno e si divide per quindici. L’Indizione è il resto e vale quindici se il resto è zero. L’anno 2000 ha quindi Indizione otto. 1 2 Celebre giurista bolognese della prima metà del ’300. Il massimo giurista italiano del Rinascimento e professore ad Avignone, Bologna e Pavia. 1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti 17 Il giorno in cui vennero fermati gli orologi Sembra proprio che l’uomo odierno non possa fare a meno dell’informazione del tempo: lasciato a se stesso, senza informazioni “esterne” e aiutato solo dai propri ritmi biologici, perde rapidamente la nozione del tempo trascorso. Dopo alcuni giorni, si possono commettere stime errate per oltre sei ore. Esperimenti su questo fenomeno e sulle sue conseguenze o cause fisiologiche e psicologiche sono anche stimolati dai viaggi nello spazio, ove è assente quel potente meccanismo di sincronizzazione che è l’alternarsi del giorno e della notte. È noto che, durante questi viaggi, si comunica agli astronauti che è l’ora di andare a dormire, per poi risvegliarsi a tempo debito. Indagini del genere sono state effettuate un po’ dappertutto, ad esempio nelle grotte del Cuneese; l’esperimento che ha coinvolto più persone è, forse, quello svoltosi circa quaranta anni or sono nel paesello di North Conway, nello Stato americano del New Hampshire. L’organizzazione fu della NASA, l’ente spaziale statunitense, con la collaborazione di una fabbrica di orologi che forse, oltre alla pubblicità, mirava a un incremento delle vendite dopo l’esperimento. Le cose furono fatte in grande e la cittadina di millecento persone accettò di fare a meno di qualsiasi forma di indicazione del tempo per due giorni. Furono mascherati gli orologi pubblici, fermati quelli dei campanili, bloccati o ritirati apparecchi radio e televisivi, impedito l’accesso telefonico al servizio dell’ora esatta, e così via. Gli scout, intanto, avevano raccolto sveglie, pendole e orologi da polso, depositati in un unico luogo chiuso. Naturalmente era all’opera un congruo numero di medici, psichiatri o semplici osservatori, muniti tutti di orologio. Il diciassette luglio del 1965, primo giorno tutto bene: si andò a scuola o al lavoro con anticipi che arrivarono a un’ora; 238 su 240 bambini arrivarono a scuola prima del dovuto, solo due in ritardo. Alcuni cominciarono a regolarsi sul sole, altri sugli autobus o sulla distribuzione della posta, ma anche questi mezzi partivano a discrezione del conducente. Alla sera le madri erano felici perché i bambini, privi di orologi e televisori, si lasciarono convincere ad andare a letto subito dopo l’imbrunire. Mai vista tanta euforia, spirito di comprensione e di buon vicinato. Le cose cominciarono a cambiare il secondo giorno: scomparve l’allegria generale, aumentarono gli errori di valutazione e si notarono forme di “sincronizzazione” tra le attività di case vicine. Con il passare delle ore, la gente cominciò a diventare inquieta o nervosa, si alzarono proteste contro l’esperimento e a sera, almeno così si dice, il locale “drugstore” aveva esaurito la scorta dei tranquillanti… 18 Quaderno n. 4 - GMEE Il Progetto Galileo: navigare con satelliti e orologi (scritto in collaborazione con Patrizia Tavella, Istituto Elettrotecnico Nazionale, ora INRiM) La situazione Da ormai oltre vent’anni si sono avviate le attività del sistema americano di navigazione tramite satellite GPS (Global Positioning System), il cui sviluppo ha comportato una spesa di 5000 miliardi di lire, con un costo di esercizio annuo che supera il migliaio di miliardi. Si tratta nominalmente di un sistema di 24 satelliti, posti in un’orbita MEO (Middle Earth Orbit) a 20.000 km di altezza. Il metodo di navigazione è circolare a una via. Va ricordato che esiste anche un analogo sistema russo, il GLONASS (Global Navigation Satellite System). Circolare o sferico, significa che la posizione è individuata dall’intersezione di tre o più sfere; a una via significa che i segnali vanno unicamente dal satellite all’utente, il quale pertanto deve essere munito di un apposito ricevitore. Vantaggi essenziali dei sistemi a una via sono che gli utenti possono essere infiniti; il sistema, cioè, non si satura e i singoli utenti non possono essere identificati né localizzati. Evidente è l’interesse di questo approccio per le operazioni militari. Le sfere vengono individuate dalla posizione istantanea del baricentro del satellite (ogni satellite irradia l’equazione della propria orbita, la effemeride) e dal raggio di una sfera. Questo raggio è fornito dal tempo di percorrenza di un codice di tempo dal satellite al ricevitore, opportunamente moltiplicato per la velocità della luce. Ovviamente questa misura (la differenza di due date, quella di partenza meno quella di arrivo) richiederebbe tre precondizioni: che l’orologio del ricevitore sia della stessa classe di quello dei satellite; che sia a questo sincronizzato; che tutti gli orologi dei satelliti siano tra di loro sincronizzati. Poiché il metodo dovrebbe assicurare un’incertezza nella posizione di alcuni metri, si deduce immediatamente che tutti gli orologi del sistema dovrebbero essere sincronizzati tra loro entro qualche nanosecondo. Tanto per fissare un ordine di grandezza, a un errore di 1 ns al giorno tra due orologi, dato che in un giorno ci sono circa 105 s, corrisponderebbe uno scarto massimo di frequenza relativo tra i due orologi minore di 10-14, prestazione ottenibile solo usando campioni atomici con fascio di cesio. La soluzione è adottabile per i satelliti: essi usano, pertanto, orologi atomici e particolari tecniche di mutua sincronizzazione, tramite una stazione a terra. La soluzione è chiaramente impossibile per l’orologio del ricevitore, il quale deve frequentemente essere portatile, funzionare con pile, non costare “troppo” e avere massa ridotta; è in commercio un orologio da polso alquanto ingombrante, ma con ricevitore GPS incorporato, calcolatore e con una scelta di soluzioni di navigazione… Si risolve il problema dell’orologio del ricevitore “aggiungendo” alla costellazione altri satelliti, in modo che da ogni punto della terra ne siano visibili almeno quattro. Si possono in questo modo scrivere quattro equazioni di posizione indipendenti, per poter risolvere le quattro incognite, 3 di posizione e la quarta con l’errore dell’orologio del ricevitore. Il sistema è indubbiamente più costoso e sono già state stimate le spese necessarie, ma i requisiti di portatilità e di costo del ricevitore sono assicurati. La qualità dell’orologio del ricevitore è irrilevante; l’errore di data può essere qualsiasi, è sufficiente che nel giro delle misure sui quattro satelliti (un secondo…) detto errore resti costante entro qualche nanosecondo. Gli orologi piezoelettrici, offerti come 1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti 19 gadget nei fustini di detersivo o in omaggio a chi cambia l’olio della propria auto, sono più che adeguati. Ricevitori per il sistema GPS vengono prodotti in centinaia di migliaia di pezzi/anno, con costi che scendono a 100 euro caduno. Negli anni ’95, a parità di prestazioni, un ricevitore GPS costava da 10.000 a 30.000 euro. Al sistema GPS e anche al GLONASS manca la funzione di “integrità”, cioè l’esistenza, entro il sistema stesso, di un servizio che avverta gli utenti, praticamente in tempo reale (al più in alcuni secondi), di un qualsiasi malfunzionamento della funzione di navigazione. La non esistenza di questa prestazione impedisce l’uso del sistema GPS in tutte le fasi della navigazione civile aerea. La versione differenziale del GPS consente, infatti, solo l’atterraggio automatico dei velivoli. Un sistema europeo Nel febbraio 1999 la Commissione C.E. ha deciso la realizzazione, entro il 2008 3, di un sistema europeo di navigazione chiamato GALILEO, che sia compatibile ma indipendente dal GPS e fornisca su scala globale anche il servizio di integrità. GALILEO, come già avviene per GPS e GLONASS, è basato sull’uso di orologi atomici e di una o più costellazione di satelliti. Si tratterà di un sistema circolare a una via analogo al GPS, da realizzare, per quanto possibile, con tecnologia europea, destinato a consentire all’industria europea l’accesso a un mercato di proporzioni immani, al momento occupato dall’industria statunitense e giapponese. Le spese previste per il periodo 1999-2003 ammontano a 4000 miliardi di lire, in buona parte già stanziati, nel senso che sono stati individuati i capitoli di spesa nel V° programma quadro, nel Direttorato Trasporto della Comunità, nei fondi generali della Comunità e nei bilanci dell’ESA. Comunque la sorgente principale dei finanziamenti sarà la Comunità. Si è sviluppata, nel 1999, un’intensissima attività di studio in tutta Europa, alla quale partecipano più Consorzi di Ditte, uno dei quali guidato da ALENIA-SPAZIO. I programmi in corso, di varie dimensioni e finalità, sono numerosi. In tabella sono riportati gli acronimi, l’Ente promotore, lo scopo, il capo commessa, quante ditte europee sono coinvolte; nell’ultima colonna è indicato ove esiste, sia pure minima, una attività dell’IEN. L’Istituto Elettrotecnico Nazionale, partecipa attivamente a quattro di questi studi, che coinvolgono sia le sue competenze sia pregresse attività: ◊ progetto e costruzione di orologi atomici, ◊ costituzione e generazione di scale di tempo, sia a terra sia nello spazio, ◊ sincronizzazione di orologi a terra o nello spazio, ◊ conoscenza delle necessità scientifiche e industriali delle informazioni di tempo e di frequenza. Infatti GALILEO, per il proprio funzionamento, avrà bisogno di una rete numerosa, almeno 24 di stazioni a Terra, ognuna munita di 2-3 orologi atomici, tre stazioni generali di controllo, dotate ognuna di 6-10 orologi atomici, oltre a una trentina di satelliti. 3 Ad oggi, anno 2008, la data di avvio è stata spostata al 2011. Sono in orbita oggi i primi due satelliti sperimentali di Galileo e attive alcune stazioni di terra. 20 Quaderno n. 4 - GMEE Stazione di controllo GALILEO Presso ognuna di queste stazioni e a bordo di ogni satellite sarà necessario costruire una scala di tempo, che non è la mera media delle indicazioni degli orologi, ma rappresenta il risultato di complessi algoritmi, che devono tenere conto dei tipi di rumore di frequenza e di fase dei quali sono affetti gli orologi atomici. Pertanto, oltre gli aspetti legati a satelliti, vettori e comunicazioni, si tratterà di una vastissima esercitazione di Metrologia del tempo e della frequenza, che è ai limiti delle possibilità dei laboratori metrologici e richiederà il coordinato funzionamento di almeno centocinquanta orologi atomici, sparsi per tutto il mondo. Lo scarto massimo tra le singole scale di tempo, ovunque si trovino, a Terra o nello spazio, dovrà essere contenuto comunque entro due nanosecondi. Cosa fare per prepararsi a Galileo L’Italia contribuirà, direttamente o indirettamente, per quasi il 20% alla realizzazione e all’esercizio di questo sistema. È necessario che Industrie, Università e Laboratori di ricerca si preparino a questo evento perché questi soldi, che comunque e certamente usciranno dall’Italia, vi ritornino almeno in parte. Altre nazioni europee, in particolare Francia e Germania, da anni stanno sviluppando una cultura e attività industriali in proposito. Sistemi di navigazione tramite satelliti sono stati insegnati per anni presso il Politecnico di Torino, nell’ambito di un corso di Metrologia del Tempo e della Frequenza, poi soppresso per insipienza ministeriale e universitaria. Altri corsi sono stati sviluppati presso l’Istituto Universitario Navale di Napoli e cicli di lezioni sui sistemi di localizzazione per Geodesia vengono offerti in alcune università italiane, come quella di Padova. Ricerche ed esperienze sui sistemi di navigazione basati su orologi sono state sviluppate presso il Politecnico di Torino e l’IEN a partire da 1965 (circa 30 pubblicazioni) e sui sistemi satellitari dal 1980 (circa 60 pubblicazioni, molte delle quali sul GPS). Corsi sul GPS sono offerti dal COREP (il Consorzio di Educazione Permanente del Politecnico di Torino), altri sono organizzati dall’IEN e un corso elementare sul GPS di teledidattica verrà trasmesso dal Consorzio Nettuno. E chissà quante altre attività sono in corso. 1 - Gli orologi, i calendari e i satelliti 21 Il Governo Italiano ha deciso, alla fine del 1998, la costituzione di un Comitato interministeriale dello Spazio, presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, ed è in corso di formazione un “TEAM” italiano, di supporto al progetto GALILEO, promosso da ASI ed ENAV (Ente Nazionale di Assistenza al volo), con il sostegno dei Ministeri interessati. È anche necessario da parte delle Facoltà di Ingegneria uno sforzo di carattere culturale non indifferente: le complessità di questi sistemi, che includono competenze anche in radiometeorologia, relatività, teoria dei codici, sono tutt’altro che banali. Ma non basta: per creare una comunità vitale non sono sufficienti sforzi isolati. È invece necessario un impegno corale, chiamando le varie competenze esistenti nel Paese a lavorare assieme su un progetto. La Alenia Spazio, che rappresenta lo sforzo italiano industriale nel settore della navigazione, ha chiamato a raccolta quanti sanno già qualche cosa di navigazione spaziale e vi hanno già lavorato, per preparare un progetto comune, attualmente in corso di esame presso l’Agenzia Spaziale Italiana. Il programma si chiama NADIR: anche se il nadir è il punto diametralmente opposto allo zenith, chi sa navigare sa bene dove è. PROGETTI EUROPEI LEGATI A GALILEO Progetto Ente Scopo Capocomm. IEN RACAL Numero Ditte 5 GEMINUS CE GALA CE INTEG CE SAGA CE GENESIS CE GALILEOSAT ESA GSSF ESA Definizione dei servizi Architettura del sistema Integrazione con EGNOS Supporto alla normativa Supporto tecnico a CE Definizione tecnica del sistema Simulazione del sistema ALCATEL 60 Si ALCATEL ? No SEXTANT ? No 4 agenzie spaziali ALENIA SPAZIO ? 4 Si 50 Si ? No Si GALA GALILEO OVERALL ARCHITECTURE DEFINITION GEMINUS GALILEO SERVICE DEFINITION INTEG EGNOS INTEGRATION INTO GALILEO SAGA SUPPORT to GALILEO STANDARDISATION GENESIS Galileo European Network of Experts to Support the European Commission GSSF GALILEO SYSTEM SIMULATION FACILITY ? dato non noto o non ancora definito EGNOS EUROPEAN GLOBAL NAVIGATION OVERLAY SYSTEM: è il sistema in corso di realizzazione in Europa, analogo al WAAS (Wide Area Augmentation System) americano; EGNOS dovrebbe fornire entro il 2004 l’informazione di “in- 22 Quaderno n. 4 - GMEE tegrità” del GPS ai piloti in volo su Europa e zone circostanti. Anche EGNOS è basato su misure di tempo e frequenza, che coinvolgeranno alcune decine di orologi atomici. WAAS, che diverrà operativo alla fine del 2000, ha lo stesso scopo per gli Stati Uniti e oceani circonvicini; anche in questo caso sono usate alcune decine di orologi atomici. Orologio al cesio con fontana atomica dell’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” (IEN) IEN - Sistema di controllo e sincronizzazione degli orologi atomici che costituiscono il riferimento italiano per le misure di tempo e frequenza 2 - La Terra e le mele 23 2 - La Terra e le mele Come è difficile misurare la terra Quando il sei settembre del 1522 la Victoria, la nave superstite della spedizione di Magellano, con il vicentino Pigafetta a bordo, tornò a Sanlucar, l’Europa dei dotti si trovò un nuovo problema, inaspettato e misterioso. La Terra era molto più grossa – oltre un terzo – del previsto. Pochi mesi dopo il portoghese Nuno Garcia de Torena preparò la sua famosa carta, custodita ora a Torino, con una stima delle nuove dimensioni. Pendente a forma di caravella. Spagna, 1580-1590. Ermitage Per mettere un po’ di ordine nelle longitudini, che frequentemente risultavano errate per decine di gradi, la Spagna organizzò numerose e sistematiche osservazioni: la misurazione più spettacolare fu organizzata il 23 settembre 1577, in occasione di una eclisse di luna. Alcuni istanti dell’eclisse furono usati come segnale di tempo comune, in diverse località, per leggere allo stesso momento gli orologi che erano stati regolati sul tempo solare locale. Gli orologi da leggere erano stati portati, con viaggi lunghi anche molti anni, in India, Africa, un paio di località in Ispagna e al di là dell’Oceano in una località allora chiamata Santa Maria de Los Angeles in Porziuncola (ora, sbrigativamente, Los Angeles). La zona, allora, veniva chiamata Nuova Spagna o Nuova Castiglia, e ora California. Fu trovata tra Los Angeles e Toledo, in Ispagna, una distanza angolare di circa 99°, mentre sono in realtà 114°. I conti non tornavano ancora. Per mettere un po’ di ordine nelle longitudini, che frequentemente risultavano errate per decine di gradi, la Spagna organizzò numerose e sistematiche osservazioni: la misurazione più spettacolare fu organizzata il 23 settembre 1577, in occasione di un’eclisse di luna. Alcuni istanti dell’eclisse furono usati come segnale di tempo comune, in diverse località, per leggere allo stesso momento gli orologi che erano stati regolati sul tempo solare locale. Gli orologi da leggere erano stati portati, con viaggi lunghi anche molti anni, in India, Africa, un paio di località in Ispagna e al di là dell’Oceano in una località allora chiamata Santa Maria de Los Angeles in Porziuncola (ora, sbrigativamente, Los Angeles). La zona, allora, veniva chiamata Nuova Spagna o Nuova Castiglia, e ora California. Fu trovata tra Los Angeles e Toledo, in Ispagna, una distanza angolare di circa 99°, mentre sono in realtà 114°. I conti non tornavano ancora. 24 Quaderno n. 4 - GMEE Una nuova ed elegante stima fu tentata a Bologna, nella prima metà del ’600, da padre Riccioli, un gesuita ferrarese che usò un moderno criterio di congruenza: raccolse, a migliaia, misurazioni di latitudine di numerosi luoghi e stime delle distanze tra quegli stessi luoghi lungo la superficie terrestre. Si sono appositamente usate le parole misura e stima; per determinare la latitudine di un luogo, infatti, è sufficiente piantare nel terreno un bastone verticale di lunghezza nota, misurare la lunghezza dell’ombra quando è più corta, a mezzogiorno, conoscere un po’ di astronomia, di trigonometria e la data del giorno; si misura l’altezza del sole, quindi si ricava la latitudine. Si tratta di una vera e propria misurazione e, sin da Tolomeo, erano note, con incertezze largamente inferiori al grado, le latitudini di centinaia di località. Tutt’altro discorso per le longitudini, ricavate con stime di tipo diverso. Nel Medioevo, tra Gibilterra da una parte e Roma, Gerusalemme e le foci del Gange dall’altra, erano stimati rispettivamente 45°, 90° e 180°, mentre sono 17°, 33° e 93°. Nelle carte del ’700, ci sono frequentemente tre isole Trinidad, tutte rigorosamente a 11° Nord di latitudine, ma poste a 5-6 gradi ognuna dall’altra in longitudine. Riccioli raccolse tutte le stime di distanza sulle quali riuscì a mettere le mani, fornite da marinai, viaggiatori, cammellieri e, per quanto riguarda l’antico Egitto, dai “bematici”, i corrieri che, percorrendo saltellando gli itinerari o i confini dei campi, misuravano le distanze. Con tutte queste misure e stime, Riccioli cercò di determinare il raggio di una sfera che fosse congruente con quella congerie di dati e di stime tentando, in alcuni casi, di attribuire ai dati pesi diversi in funzione della maggiore o minore attendibilità. L’unità di misura usata fu il piede di Ferrara; facendo le conversioni necessarie, fu trovato per la circonferenza della Terra un valore di 43 944 km. Il valore in eccesso del Riccioli, per quasi il 10%, fu usato anche da Newton e ritenuto il migliore per oltre un secolo, sino alle grandi misure di triangolazione effettuate da metà del ’700 sino a tutto l’800. 2 - La Terra e le mele 25 Ma la Terra è fatta come un’arancia o come un limone? Sempre si trattava di agrumi, ma su questo quesito fior di scienziati si sbranò per un secolo. Dalla parte del limone, troviamo Pascal e i Cassini, una dinastia di astronomi italiani che “esportarono” in Francia l’Astronomia. Dalla parte dell’arancio, Newton, Leibnitz e gli Enciclopedisti francesi. Arancia e limoni e il calendario astronomico Maya (vedi pag.23) Il problema, in altri termini, era formulato nel modo seguente: la lunghezza di un grado di meridiano era la stessa andando dall’equatore al polo (come volevano i sostenitori della forma dell’arancia) o, invece, diminuiva oppure aumentava, secondo i fautori della forma del limone? Non c’era che andare a far misure della lunghezza di un grado attorno all’equatore e verso il Polo, e confrontarle con i dati trovati a metà strada, cioè attorno a 45°. Nacque così (siamo alla fine della prima metà del ’700) una delle maggiori campagne di misura della Terra, organizzata dall’Accademia delle Scienze di Parigi. Un gruppo di astronomi, guidato da Picard, aveva già misurato la lunghezza di un arco di un meridiano che attraversa la Francia; Maupertuis fu inviato in Lapponia e un gruppo franco-spagnolo in Perù. Comune il metodo: individuati due punti distanti tra di loro e idealmente posti sullo stesso meridiano, si determinavano, con metodi astronomici, le latitudini, misurando ad esempio le altezze di una stessa stella. Si misurava, poi, la distanza tra gli stessi due punti, costruendo una rete di triangoli dei quali venivano misurati tutti gli angoli, la lunghezza del lato di uno dei triangoli e l’orientamento di quel lato. Con operazioni di trigonometria si ricavavano, poi, la distanza lungo la superficie terrestre e lungo un certo meridiano tra i paralleli che passano per due punti. Si poteva, così, calcolare quanto fosse “lungo”, attorno a una certa latitudine, un grado di meridiano. In questa operazione, chiamata triangolazione, si misurano pertanto la lunghezza e l’orientamento di un lato e gli angoli interni di tutti i triangoli intermedi. Triangolazioni sono state effettuate dall’inizio del ’500 sino agli anni ’70 del XX secolo. 26 Quaderno n. 4 - GMEE Le vicende del gruppo dell’Accademia inviato al Nord si conclusero in un paio di anni, senza vicende particolari, salvo il freddo patito lungo i fiumi e i laghi gelati della Lapponia. Tutta diversa e degna di un romanzo la vicenda del gruppo spedito in Perù. A parte le difficoltà di operare a quote elevate e in zone senza collegamenti, a un certo punto mancarono i soldi e il gruppo fu costretto a portare al Monte di Pietà di Lima il campione di lunghezza, la famosa “Tesa del Perù”, ora murata su una parete della cattedrale di Quito. Scoppiò, poi, una delle tante guerre tra Francia e Spagna, con curiose conseguenze, quali il divieto di vendere oggetti con l’esenzione doganale, che era stata accordata alla spedizione. Un vero e proprio romanzo: la misurazione durò oltre dieci anni e alla fine, essendo scoppiata un’altra guerra, uno dei francesi cambiò cittadinanza e restò in Perù. L’altro prese una decisione eroica: valicò le Ande e scese in canoa tutto il Rio delle Amazzoni, arrivando a Parigi, con un quadernetto nel quale erano raccolte le misure. La terra era un’arancia e non aveva ai poli gli “umboni” predetti dai fautori del limone. Un grado all’equatore era un poco più lungo che nelle regioni temperate e ancora più lungo che nelle regioni polari. Quella malalingua del Voltaire non si lasciò sfuggire l’occasione e concluse: “l’Accademie a aplati la Terre e les Cassinis”. Lo stesso Voltaire aveva già commentato da par suo le fatiche di Maupertuis, il lapponico, con questo feroce couplet: “Dans des lieux pleins d’ennui, il a découvert ce que Newton avait trouvé sans sortir de lui”. La sonda Cassini, intitolata a Giovanni Domenico Cassini (1625 - 1712), astronomo italiano che studiò Saturno. La sonda fa parte della missione robotica interplanetaria congiunta NASA/ESA/ASI, lanciata il 15 ottobre 1997, denominata Cassini–Huygens. 2 - La Terra e le mele 27 Sappiamo che la Terra è fatta come una mela schiacciata ai poli, ma è una mela “normale” o una mela cotogna..? Verso la fine del ’700 era ormai assodato che la Terra assomigliasse a una mela; ma nacque allora un altro quesito: i paralleli sono tutti delle circonferenze o la Terra è gibbuta, come una mela cotogna? Mele cotogne a confronto con mele normali e con un mappamondo Non restava che misurare se la lunghezza di un grado di parallelo fosse o meno la stessa a longitudini diverse. La campagna durò in Europa una buona trentina di anni, a cavallo delle guerre napoleoniche e dei primi moti che seguirono il Concilio di Vienna. Come oggetto della misura fu prescelto il meridiano a 45° (quello che passa per Torino, città equidistante tra Polo ed equatore), che attraversa vaste regioni civilizzate. Si decise così (la prima iniziativa fu dei Francesi) di misurare la lunghezza di varie tratte di questo Meridiano tra le coste dell’Atlantico e quelle dell’Illiria. Dati gli anni e gli eventi storici, la misura non fluì indisturbata: questa volta raccontiamo unicamente la particolare tecnica di sincronizzazione usata per attraversare le Alpi e la Pianura Padana, dal massiccio centrale francese sino a Fiume. Incaricato della misura fu l’astronomo piemontese Giovanni Plana, che portò ad effetto la misura assieme all’astronomo Carlini di Brera, con la partecipazione di ufficiali del genio piemontesi e austriaci (siamo ormai arrivati al 1824…), usando anche dati raccolti da topografi dell’esercito francese tra il 1800 e il 1807, all’epoca della repubblica cisalpina e del Regno di Italia, quello di Napoleone. Il metodo è semplice e classico: si tratta di misurare, nello stesso istante, l’ora indicata da due orologi, posti idealmente sullo stesso parallelo e alle estremità dell’arco da misurare. I due orologi andavano precedentemente regolati sull’ora solare dei rispettivi meridiani. 28 Quaderno n. 4 - GMEE La differenza delle letture di ora, effettuate allo stesso istante, formano direttamente la differenza di longitudine, tenendo presente che la Terra ruota con una velocità costante di circa 72,7 microradianti al secondo. Il problema non era tanto di regolare gli orologi sul tempo locale (un buon astronomo o un topografo lo sanno fare impiegando pochi giorni), ma di sincronizzare gli istanti di lettura. Il metodo usato dal Plana e da altri consisteva nel fare esplodere cariche di qualche etto di polvere da sparo sulla cima di montagne e nell’usare il “lampo” come riferimento temporale per la lettura degli orologi. La stazione “trasmittente” principale fu posta sulla cima del Rocciamelone, che si vede da Milano e Torino. Su un’altra montagna, il Tabor, ben noto agli alpinisti piemontesi, fu posta una stazione “ripetitrice”, sino al centro della Francia. La tecnica del “ponte-radio”, con una catena di stazioni ripetitrici che associamo alle moderne telecomunicazioni, ha oltre tremila anni di vita: Eschilo descrive dettagliatamente un “ponte” di segnali luminosi tra Troia e Micene nel Peloponneso, coprendo la distanza con una dozzina di ripetitori, attraverso e tutto attorno il Mare Egeo. A distanza di quasi due secoli è ancora emozionante leggere le vicende delle misure del Plana, che richiedevano una organizzazione impeccabile (il coordinamento di una decina di gruppi di persone, sprovvisti di qualsiasi forma di comunicazione rapida) e una dedizione a tutta prova. Ancora più emozionante leggere il riflesso degli eventi della storia maggiore, come la sospensione delle misure nel 1821, a causa dei moti nelle caserme di Pinerolo con Santorre di Santarosa, o di quelli minuti, come l’improvvida farfalla che, finendo dentro i meccanismi dell’orologio del posto ripetitore del Moncenisio, vanificò una notte di misure. L’incertezza relativa delle misure di differenza di tempo del Plana era dell’ordine di 2·10-3, il che, sulla distanza Rocciamelone-Milano (circa 170 km) vuol dire circa 7 secondi d’arco, pari a circa 153 metri. Con queste misure il Plana e altri scoprirono che si trattava di una mela cotogna, perché c’erano delle “gibbosità”, le quali però furono determinate accuratamente solo nei recenti anni ’70 del XX secolo, con misure doppler sui satelliti artificiali TRANSIT. Uno dei satelliti della costellazione di 6 in orbita polare, lanciati tra il 1960 e il 1988 dagli USA prevalentemente per scopi militari di controllo del lancio dei missili balistici dei sottomarini 2 - La Terra e le mele 29 Sincronizzare orologi e misurare la distanza tra Palermo e Lecce, guardando le stelle filanti “... Io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade ….”. Certamente non pensavano alla cavallina storna, nelle notti di metà agosto del 1824, decine di astronomi e astrofili meridionali, sdraiati a gruppi di 5-6 su Madonie, Peloritani, Nebrodi, Aspromonte, Sila (quella grande e quella piccola e quella greca), insomma su tutti rilievi tra Palermo e Lecce. Anche perché Giovannino Pascoli non aveva ancora cominciato a piangere e il telegrafo non era stato ancora inventato. Ma cosa ci facevano quattro uomini sdraiati in un prato pianeggiante più uno in piedi davanti un orologio astronomico con pendolo? Per di più, quelli sdraiati avevano le teste vicine e i piedi che puntavano ai quattro punti cardinali. È certamente necessario fare un passo (anzi più passi) indietro, su distanze, longitudini, stelle filanti e assenza di telegrafo. Risolto con il cronometro da marina il problema della longitudine in mare, che aveva impegnato ricercatori (Galileo compreso) e tecnologi per alcuni secoli (Voltaire sosteneva che il diavolo avesse inventato questo problema per affaticare e fare impazzire gli uomini) restavano almeno altri due problemi, uno pratico e l’altro scientifico, tra loro collegati: calcolare le distanze tra due posti e indagare se la Terra fosse un solido di rotazione o, invece, gibbuta come una mela cotogna. Il telegrafo avrebbe risolto il problema, perché avrebbe consentito di leggere, praticamente nello stesso istante, due orologi regolati sull’ora locale di due luoghi remoti e posti sullo stesso parallelo. La differenza delle letture avrebbe fornito direttamente la differenza di longitudine, dato che la Terra gira a una velocità praticamente costante di settantasei microradianti al secondo: a quattro minuti corrisponde un grado di longitudine. Ma il telegrafo non era ancora stato inventato, né tanto meno la radio. E, allora, come comune istante di riferimento per la lettura degli orologi fu scelta l’estinzione di una stella filante. L’idea era stata proposta nella seconda metà del Settecento, ma mai attuata sistematicamente, sino a quando un astronomo napoletano, Antonio Nobile, non la attuò su larga scala tra il 1830 e il 1850, per “collegare” astronomicamente da Ovest a Est il Regno delle due Sicilie, appunto da Palermo, nella Sicilia ulteriore, a Lecce, come allora si diceva, nella Sicilia citeriore. Lo stesso metodo venne usato per determinare le differenze di longitudine tra Palermo, Napoli e Roma. Come segnale di tempo per la lettura degli orologi, che erano stati regolati sull’ora solare locale, vennero scelte le estinzioni delle stelle filanti: l’estinzione e non l’“accensione”, perché la prima è meglio definibile. L’occhio sta, infatti, seguendo la traccia luminosa, nel caso dell’estinzione, mentre nell’altro caso potrebbe essere rivolto verso un’altra parte del cielo. I quattro osservatori sdraiati erano posti in modo da coprire tutto il cielo e possedevano nozioni elementari di astronomia perché, dopo aver cacciato un urlo, all’estinzione dovevano comunicare a chi teneva il registro delle osservazioni il terminatore, cioè la direzione apparente di provenienza della meteora, indicando una costellazione. Chi osservava l’orologio, regolato sul tempo siderale, annotava l’ora dell’evento e il terminatore. Tutti i dati di una notte venivano inviati a Napoli, dove il Nobile scartava le meteore che non fossero state viste da almeno due stazioni contigue; le meteore bruciano ad altezze di 300-400 km ed è probabile che una stessa meteora, quindi la sua estinzione, possa essere osservata in luoghi lontani tra loro. 30 Quaderno n. 4 - GMEE È legittimo trascurare il tempo di propagazione del segnale luminoso, certamente dell’ordine, al più, del milllisecondo; a questo intervallo di tempo, largamente inferiore alla soglie della sensibilità umana, corrisponde, per una luce o un’onda radioelettrica, una distanza di 300 km. Come è ben noto, la risoluzione temporale delle reazioni fisiologiche umane, vista e udito, è intorno al decimo di secondo. Esistono, è vero, cronometristi che si piccano di apprezzare in maniera ripetitiva il centesimo di secondo, ma l’autore, vecchio del mestiere, non ne ha mai conosciuto uno. È mancato invece, da qualche anno, Ernesto Angelotti, un tecnico del Galileo Ferraris che aveva una soglia ripetibile di 40 ms nell’apprezzare le frazioni del secondo….(diverso il fenomeno degli accordatori di pianoforti e dei violinisti; in quest’ultimo caso, si tratta di battimenti tra segnali presenti contemporaneamente, non della differenza temporale tra due segnali acustici, come era il caso dell’Angelotti, o della contemporaneità tra sensazioni dell’occhio e dell’orecchio). Si può tranquillamente ammettere che i valori assoluti dei tempi di propagazione tra la stella filante che si spegne e gli occhi degli osservatori, così come le differenze tra questi tempi siano di gran lunga inferiori a un paio di millisecondi e quindi, per quanto riguarda la fisiologia umana, gli eventi osservati (le estinzioni) possano essere ritenuti contemporanei. Restano le incertezze nel leggere i due orologi, che possono essere stimate in ±100 ms per ogni stazione. Dato che la grandezza che ci interessa è una differenza, un buona regola metrologica vuole che l’incertezza assoluta del risultato sia la somma delle due incertezze assolute e, quindi, è corretto fissare in ±200 ms l’incertezza di ogni misurazione. Alla latitudine di 39°N, intermedia tra quelle di Palermo e di Lecce, la lunghezza di un arco di parallelo di un grado è di circa 85 km che il Sole copre in 4 min, cioè 240 s. Tra Palermo e Lecce ci sono circa 4° 50’, quindi il sole passa per Lecce circa 1220 s dopo essere passato per il meridiano di Palermo. La lunghezza di questo arco, cioè la differenza di longitudine tra le due stazioni, poté così essere misurata, usando le stelle filanti, con una risoluzione dell’ordine di 0,2/1220 = 1,6·10-4; in altri termini, Nobile e colleghi riuscirono a determinare la distanza tra i due meridiani con un errore minore di circa 30 m. Per chi volesse trovare i dettagli di queste misure esiste, a proposito dei primi risultati del Nobile, una sua lettera ad Arago del 18 febbraio 1840: Sur la déterminarion des différences de longitude par l’observation des étoiles filantes”, che comparve nei “Comptes rendus hebdomadaires des Séances de l’Académie des Sciences, 1er trimestre 1841, a pag. 426. 3 - Personaggi 31 3 - Personaggi I nove strumenti scientifici di Galileo Galileo ingegnere e tecnologo Il rilievo, tutto speciale, della figura dell’Uomo e del Fisico ci fa dimenticare che il fiorentino fu anche solenne ingegnere e tecnologo e costruttore di strumenti di misura. Innumerevoli le prove dei suoi interessi per la tecnologia, dall’attenzione ai problemi realizzativi alla resistenza dei materiali sino alla curiosità che sfogava a Venezia, annotando le tecniche e la terminologia, gelosamente preservate dai “proti” dell’Arsenale. Forse il metodo migliore per conoscere questi due aspetti meno noti di Galileo, è quello di considerare singolarmente i nove strumenti scientifici e di misura, da lui inventati o perfezionati: il pulsilogio, la bilancetta “sincera”, le calamite armate, il termoscopio, il giovilabio, il compasso geometrico e militare, il telescopio, il microscopio, l’orologio meccanico. Altri strumenti, come il piano inclinato, furono usati per individuare alcune leggi della Fisica. Il pulsilogio Cominciamo con il “pulsilogio”. Galileo, giovane, è a Pisa dove segue svogliatamente i corsi di medicina. Notissimo è l’episodio di Galileo, febbricitante, seduto su un banco, che osserva che le oscillazioni di un candelabro che pende nel transetto destro del Duomo: le oscillazioni sono isocrone, cioè hanno la stessa durata; per la misurazione usa come riferimento di tempo il battito del suo cuore. In un’altra immagine, che si trova frequentemente, il giovane Galileo, questa volta in piedi, osserva le oscillazioni del lungo pendolo costituito dal candelabro e, stupefatto per la rivelazione, lascia cadere il cappello. È una delle tante pie leggende che accompagnano, da secoli, le sue vicende, compresa la caduta dei gravi dalla Torre pendente di Pisa; è stato, infatti, provato che il candelabro in oggetto fu installato quando Galileo aveva già lasciato Pisa… Resta il fatto che Galileo osservò un fenomeno sino ad allora non noto e pensò subito di sfruttarlo a fini scientifici. Inventa così e usa il pulsilogio, un’asticciola di legno con, avvolto a un’estremità, uno spago che fa capo a un peso: un pendolo, appunto. Lo studente di medicina con la destra “tastava” il polso del paziente mentre faceva oscillare il pendolo, la cui lunghezza veniva variata arrotolando più o meno lo spago sino a portare in sincronismo il battito del cuore del paziente con il periodo delle oscillazioni del pendolo. Era così possibile misurare l’alterazione del ritmo del polso dovuta allo stato febbrile e, soprattutto, avere una prova ripetibile delle variazioni dello stato febbrile del paziente. Non risulta che il pulsilogio sia stato costruito sistematicamente; d’altra parte era di agevole realizzazione. Esiste una tradizione che vuole che esemplari dello strumento siano stati distribuiti a colleghi medici pisani. Lo strumento fu usato anche altrove, in particolare da Santorio Santorio, a Padova, prima del 1625. 32 Quaderno n. 4 - GMEE La bilancetta “sincera” Galileo vuole determinare la densità di alcuni corpi usando, come pratichiamo anche oggi, la doppia pesata, con l’oggetto prima posto in aria e poi entro un liquido di densità nota o di riferimento. Il problema risiedeva nella scarsa risoluzione e nella complicata lettura delle bilance usate; per risoluzione si intende la minima variazione della grandezza in esame cui lo strumento è sensibile. Per migliorare questi due punti, Galileo avvolge attorno al braccio orizzontale della bilancia un filo sottile di ottone con le spire bene adiacenti. Lasciamo a lui descrivere, con perfetta padronanza della nostra lingua, l’operazione di trovare le lunghezze tra il sostegno centrale e i punti ove risultavano appesi il corpo e il peso. “Per numerargli con facilità, piglisi uno stiletto acutissimo, col quale si vada, adagio adagio discorrendo sopra detti fili: ché così, parte mediante l’udito, parte mediante il ritrovar la mano ad ogni filo l’impedimento, verranno con facilità detti fili numerati.” Questa bilancia era da lui chiamata “bilancetta sincera”. Vivente Galileo, il manoscritto (del 1586), che circolava per tutta Europa, non venne mai pubblicato; ne diede una trascrizione a Palermo, nel 1644, un canonico di Ragusa Ibla, oggi un quartiere di Ragusa ben noto perchè in esso sono ambientate le vicende del Commissario Montalbano. Le calamite armate Vengono poi le “calamite armate”. Le calamite suscitavano grande curiosità nell’Europa colta dell’epoca. Ce n’erano alcune in grado di sollevavare una massa metallica analoga al proprio peso. Galileo compra in Germania pezzi di magnetite, la calamita naturale, e scopre, ragionando, un metodo per aumentare il peso sostenuto; lo pratica, con l’aiuto del fido meccanico padovano Mazzoleni, e vende le calamite modificate a principi e patroni. Più che il metodo seguito, interessante è il fatto che, con queste calamite, Galileo inventa la nomenclatura che ancora oggi usiamo parlando di magneti e di elettromagneti. La calamita era “armata”, per renderla più efficiente, e ancora oggi usiamo questa parola per indicare la parte esterna dei magneti e delle macchine. L’armatura era ottenuta infilando la calamita in una “scarpa” metallica (altra parola usata correntemente dagli ingegneri) e la calamita, così modificata, attirava l’“ancora” o “ancoretta”, un oggetto che troviamo, ad esempio, nei campanelli elettrici delle nostre case. Galileo è particolarmente orgoglioso di questa parola e dell’analogia con l’ancora che tiene ferma la nave. Il termoscopio Viviani, nella Vita di Galileo, afferma che il “termoscopio” fu ideato dallo scienziato nel 1597. La sua testimonianza è confermata da Benedetto Castelli in una lettera al Cesarini del 20 settembre 1638, nella quale descrive l’uso dello strumento. Esso è costituito da una caraffa di vetro, della grandezza di un uovo, con un lungo collo, pure di vetro (Fig.1). Questa caraffa viene riscaldata con le mani e poi rovesciata in un vaso sottostante, contenente del liquido; liberata la caraffa dal calore delle mani, il liquido sale subito nel collo e supera il livello dell’acqua contenuta nel vaso. 3 - Personaggi 33 Uno strumento analogo era stato costruito a Venezia dal Santorio nel 1612. Galileo, informato dal Sagredo dello strumento messo a punto dal Santorio, si risentì, sospettando di essere stato defraudato dell’invenzione. Termoscopio di Galileo. Copia dello strumento per misurare il caldo e il freddo ideato da Galileo durante il periodo padovano. Riproduz. sec. XIX. Vetro. Altezza mm 460 È suggestivo il ricordo lasciatoci da Benedetto Castelli nel 1638: “Mi sovvenne un’esperienza fattami vedere, già più di trentacinque anni or sono, dal nostro signor Galileo; la quale fu che, presa una caraffella di vetro di grandezza di un piccolo uovo di gallina col collo lungo due palmi in circa e sottile quanto un gambo di pianta di grano, e riscaldata bene colle palme delle mani la detta caraffella e poi rivoltando la bocca di essa in vaso sottoposto, nel quale era un po’ d’acqua, lasciando libera dal calor delle mani la caraffella subito l’acqua cominciò a salire nel collo e sormontò sopra il livello dell’acqua del vaso più di un palmo: del quale effetto poi il medesimo signor Galileo si era servito per fabbricare un istrumento da esaminare i gradi del caldo e del freddo”. Il giovilabio Se c’è un libro di Galileo che scosse anche il cosiddetto cittadino medio, questo fu il Sidereus Nuncius, il messaggero delle cose nuove che si vedevano in cielo con il cannocchiale. Osservando da Padova scopre i pianeti Medicei, ne determina le periodicità e pensa subito a una utilizzazione pratica: usarne la regolarità dei moti come riferimenti di tempo per risolvere il problema della longitudine, che affannò marinai e scienziati per almeno venticinque secoli. Galileo era morto da oltre un secolo quando Voltaire decretò che il problema della longitudine era stato inventato dal diavolo per tentare e scornare l’umanità…. Galileo non lo risolse ma ne tentò tre soluzioni. Per usare i pianeti medicei era necessario dare al marinaio uno strumento semplice, con le informazioni sui loro moti: appunto il “giovilabio”, un regolo calcolatore analogico di facile uso. Il compasso geometrico e militare Il regolo calcolatore di Galileo che ebbe maggior successo fu il “compasso geometrico e militare” (1597); il nostro diceva di averne fabbricati, e in parte venduti, un centinaio in tutta Europa. Galileo teneva a dozzina, nella sua casa di Padova, numerosi studenti e alcuni di questi seguivano un corso sull’uso dell’oggetto e se lo portavano oltralpe. Questo compasso di proporzione non era una novità, ma dal Galileo fu arricchito di funzioni e reso più versatile. Lungo l’elenco delle prestazioni: radici quadrate e cubiche, proporzioni, masse di corpi di vari metalli, calcolo del volume e delle dimensioni di un solido che sia la differenza di altri due solidi, determinazione a distanza dell’altezza di un edificio, calcolo di alzo e puntata di un cannone, e così via. 34 Quaderno n. 4 - GMEE Il telescopio e il microscopio Per il telescopio, le vicende sono note: Galileo non lo ha inventato, ma solo perfezionato. Sfogliando le sue lettere e appunti si nota che la ricerca di vetri senza “puleghe”, cioè soffiature interne che assomigliavano a festuche di paglia, e di abili tornitori di lenti fu un continuo suo cruccio e rovello, per alcune decine di anni. Lo stesso per il microscopio. Una nota di colore interessante risiede nel fatto che la prima descrizione a stampa del telescopio comparve a Pechino nel 1624, a cura del gesuita Padre Schreck, che era stato allievo di Galileo; mentre la prima descrizione a stampa europea è del 1663. Cosa abbia fatto e ottenuto Galileo puntando il nuovo strumento verso il cielo è cosa nota, avendo dimostrato che la Fisica a Terra era la stessa Fisica che vige nello spazio (le ombre delle montagne della luna), le fasi di Venere, i pianeti di Giove, il moto della Terra e la demolizione della fisica aristotelica. L’orologio Resta l’orologio, un misuratore meccanico di intervallo di tempo. Questa è una iniziativa degli ultimissimi anni, che probabilmente non si concluse mentre lui era ancora in vita. I disegni e i pezzi furono confidati al figlio Vincenzio. Per fortuna il Granduca di Toscana, messo in allarme da rivendicazioni d’oltralpe che contestavano la priorità di Galileo, incaricò Vincenzo Viviani di preparare una relazione, completa di un disegno, che ci è pervenuta ed è stata più volte usata per delle ricostruzioni. Analoghi strumenti, morto Galileo, furono costruiti dall’Accademia del Cimento per i suoi esperimenti. Spirito imprenditoriale Galileo, quindi, costruì e usò tutta una serie di strumenti per usi sia scientifici sia pratici. Potremmo chiudere questa rapida panoramica con due osservazioni, la prima sul linguaggio tecnico e scientifico, la seconda sul suo spirito imprenditoriale. Già si è detto delle parole “magnetiche” tuttora vive nel linguaggio degli ingegneri; a proposito del Magnetismo, altri termini hanno progenitori illustri, come “polo magnetico” (Gilbert) e “permeabilità magnetica” (Pascal). Galileo, scrivendo frequentemente in italiano, si pose chiaramente il problema della lingua da usare e dei termini: alcuni ne inventa, ma sempre avvicina il termine corrente veneto o toscano, con particolare attenzione alla nomenclatura usata nell’Arsenale di Venezia. Galileo fu anche imprenditore: costruiva e smerciava bussole, cannocchiali, bilance, compassi; la richiesta era tale da non essere compatibile con gli impegni didattici e così fu costretto a impiantare un’officina meccanica nella sua casa padovana, oltre a ricorrere ad artigiani di Firenze, Urbino, Venezia e anche della Germania. L’officina padovana era condotta da Marc’Antonio Mazzoleni, un fabbro dell’arsenale che Galileo aveva conosciuto a Venezia. Interessanti i termini dell’accordo. Mazzoleni si trasferì a Padova con la famiglia, occupando una parte della casa di Galileo. Fu installata una officina: attrezzi e materiale erano pagati direttamente da Galileo e Mazzoleni riceveva una determinata cifra per ogni strumento prodotto. Galileo pagava, inoltre, le spese di vitto per Mazzoleni, la moglie e i cinque bambini, più uno stipendio annuale di 6 ducati. 3 - Personaggi 35 Franklin e la Franklen: la stufa di Pennsylvania Il nome di Beniamino Franklin evoca nei più il parafulmine, che i nostri vecchi chiamavano appunto asta frankliniana. Ma Franklin è stato anche ben altro: letterato, statista, diplomatico, tipografo, editore e, perché no, musico, bon viveur e ghiottone. Ancora meno note e inaspettate le curiose e, almeno in un caso, lunghe e intense relazioni con Torino e con il Piemonte, in particolare con il suo principale corrispondente torinese, Padre Beccaria, che a buon diritto può essere considerato come il padre della Fisica a Torino e il padre dell’Elettricismo in Italia. Beniamino, poderoso autodidatta e uomo estremamente avveduto e intraprendente, a quarant’anni fu in condizione di andare in pensione, ma il suo fu un “ritiro” estremamente attivo. Mandato a Londra, e poi a Parigi, come ambasciatore, prima delle province della Pennsylvania e poi della neonata Repubblica americana, riuscì a farsi conoscere e soprattutto rispettare dalla diplomazia europea, arrivando a concludere un trattato di pace con l’Inghilterra. Prima di darsi alla carriera diplomatica, si era accostato alla nuova scienza elettrica. Munito di perspicacia ma, nello stesso tempo, sprovvisto di concezioni e pregiudizi accademici, riuscì a battere nuove strade e a proporre un’originale teoria elettrica, che però non sarebbe mai riuscita a imporsi nel contesto accademico perché, pur essendosi messo Franklin a studiare il latino, il suo linguaggio e, soprattutto, il suo modo di esprimersi non erano quelli dei dotti. In sua difesa scese Giovanbatista (con una t sola) Beccaria, insigne scolopio monregalese, che pubblicò a Torino un paio di libri sull’Elettricismo. Questi libri e numerose lettere valsero al Beccaria, da una parte, rinomanza mondiale e, dall’altra, introdussero nel mondo dei dotti, con dimostrazioni logiche e accurati esperimenti, le teorie dell’uomo di Filadelfia (il quale voleva che ci fosse un solo fluido elettrico e non due, come era l’opinione corrente) e le fecero infine accettare. Intensissima fu questa relazione di carattere culturale, proficua per entrambi, che rimase sempre epistolare. Da questa corrispondenza si ricava qualche altra notizia sui legami con l’Italia, che vanno dalla gastronomia alla letteratura e sociologia, passando per la musica e, soprattutto, per una forma di artigianato, derivata direttamente dalle proteiformi attività del nostro. Di questo artigianato qualcosa è ancora vivo nel lessico e nelle industrie del Piemonte: ad esempio, le stufe di Castellamonte, una cui variante ripete, a duecentocinquanta anni di distanza, la stufa di Pennsylvania, ideata dal Franklin nel 1744. In Lomellina, in Piemonte e in Emilia, questo tipo di stufa, chiamata colloquialmente “franklen”, fu correntemente usata sino all’immediato dopoguerra, cinquant’anni or sono. 36 Quaderno n. 4 - GMEE La stufa di Pennsylvania La figura è ricavata da un opuscolo di Franklin; l’aria da riscaldare veniva prelevata dalla cantina tramite il canale I (perché d’inverno l’aria delle cantine è sempre più calda dell’aria ambiente o esterna). L’aria si preriscaldava passando sotto la piastra metallica H sulla quale, in A, veniva acceso il fuoco. L’aria, preriscaldata, veniva immessa, tramite l’apertura G, in un vano, chiuso superiormente e anch’esso metallico. La parete anteriore del vano riceveva l’irraggiamento della fiamma e si riscaldava per convezione tramite i fumi che lambivano anche la parete posteriore. I fumi così dovevano prima “salire” e poi “scendere”, sino in P, da dove potevano infine raggiungere il camino C. L’aria si scaldava nel vano metallico e veniva versata nell’ambiente tramite le aperture K, praticate ai lati della stufa. Una piastra metallica T (sulla quale si poteva anche cucinare) chiudeva superiormente la stufa. La stufa di Pennsylvania abbinava così all’irraggiamento anteriore della fiamma il ben più efficace meccanismo di convezione dovuto all’aria calda; in fondo era una stufa ad aria calda. La franklen divenne popolarissima già ai suoi tempi: i fratelli Verri ne comprarono alcuni esemplari, altri il Granduca di Toscana. Foscolo, tremante di freddo a Pavia, nel dicembre 1808, mentre prepara la famosa prolusione “Dell’origine e dell’Uffizio della Letteratura”, prorompe: “Sospiro una franklin”….. 3 - Personaggi 37 Giuseppe Luigi Lagrange: grandissimo fisico-matematico, ma anche grande metrologo Secondo taluni, i contributi di Lagrange alla scienza sono secondi solo rispetto a quelli di Newton. Lasciando risolvere la questione a quanti si dilettano in statistiche o in campionati, il fisico-matematico torinese (Torino, 1738 - Parigi, 1813) occupa, a quasi due secoli dalla morte, un ruolo notevole: dal lagrangiano ai punti lagrangiani, attorno ai quali possono ruotare dei satelliti, oltre all’impostazione rigorosa, astratta ma efficace, da lui data alla Meccanica Razionale. Meno noti sono i ruoli metrologici, che culminarono, con un contributo diretto ed essenziale, con la creazione del Sistema Metrico Decimale. Questa nota vuole appunto gettare un po’ di luce su questo aspetto meno conosciuto, ma non meno importante, del Nostro. Le prime attività che attirarono sul giovane Lagrange l’attenzione dei matematici d’Europa furono lo studio dei massimi e dei minimi e la teoria dei minimi quadrati, che comparvero nelle Miscellanee, le Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino, fondata tra l’altro anche da Lagrange. L’astronomo francese Lalande così si esprime 4: “Les géometres furent étonneés, quand le prémier volume de ces mémoires parut, d’y voir des recherches sur le calcul intégral, sur les suites recurrentes, sue les questions de Maximis & Minimis, sur la nature & la propagation du son, faites de main de maitre, par une personne dont le nom avoit été husqu’alors inconnu; c’étoit M. de la Grange. Son premir début le mis de pair avec les cinq ou six premiers géometres de l’Europe; on lui voyot manier l’analyse la plus profonde avec une facilité & une élégance dont les plus célebres se seroient fait honneur, ... ... & doit etre regardé comme un de plus illustres Piémontois”. Se le tecniche di ricerca dei massimi e dei minimi di una funzione sono d’interesse generale di tutta la fisica-matematica, il metodo dei minimi quadrati è uno degli attrezzi fondamentali, anche nelle sue varianti più recenti, come le tecniche di regressione, per individuare il valore più probabile di una variabile, contaminato da rumore o da altre forme di incertezza. Lagrange affronta da par suo questo metodo, lo generalizza, suscitando ammirazione e invidia in Eulero. Considera, poi, le proprietà della media e in una nota 5, comparsa nel secondo volume della Miscellanea, spiega perché la media consenta la migliore “exactitude” (noi diremmo la minima incertezza) nella stima dei risultati di un’esperienza Ma il contributo essenziale, anche se non molto conosciuto, del Lagrange alla Metrologia avvenne durante il soggiorno parigino. Egli arrivò a Parigi, provenendo da Berlino nel 1787, e già nel 1790 fu coinvolto nelle attività metrologiche dell’Accademia delle Scienze, dalle quali nacque, come è ben noto, il sistema Metrico Decimale, poi impostosi in tutto il mondo. 4 DE LALANDE: Voyage en Italie, sette volumi, Yverdon, 1787. La citazione è a pag. 142-143 del vol. 1. G.L.LAGRANGE: Memoire: Sur l’utilitè de la méthode de prendre le milieu entre les résultats de plusieures observations; Par M. de la Grange, p.167, Mèlanges de Philosophie et de Mathematique de la Société Royale de Turin., 1779-1773. 5 Quaderno n. 4 - GMEE 38 Le attività di studio, ricerca e costruzione, sia del sistema (definizioni, nomi, multipli, relazioni logiche) sia dei prototipi, furono affidate prima dall’Assemblea Nazionale, poi dal Direttorio, infine dalla Convenzione, a una serie di undici commissioni 6 che operarono tra il 1791 e il 1799. Queste commissioni agirono con grande rapidità, anche per una precisa scelta politica degli ispiratori della Rivoluzione, che vedevano essenziale rimuovere ogni traccia dei precedenti metodi, convenzioni e tradizioni e, correttamente, avevano individuato un forte segno di cambiamento in un mutamento radicale del sistema metrico, da imporre rapidamente a tutti i cittadini. L’urgenza della cosa fu massima: poiché sembrava che le attività delle Commissioni procedessero lentamente, l’Assemblea Nazionale impose, nel 1793, l’adozione di un sistema provvisorio di unità. La tabella elenca cronologicamente queste commissioni: la prima, mista anglofrancese, proposta dal Talleyrand, non si riunì mai al completo, ma tutte le altre lavorarono con efficacia; due sole persone, Laplace e appunto Lagrange, furono membri di tutte le commissioni e, quindi, garantirono la continuità e coerenza delle numerose decisioni. N Anno Ente Scopo della Commissione Numero dei membri 1 1790 AN Comm. mista per il campione di lunghezza 8 membri (4 Acc. Scienze Parigi; 4 Royal Society) Comm. sistema numerazione - Riforma 7 membri 2 AN monetaria 3 AN Comm. sistema di misura 4 membri (Poids et Mesures) 4 1791 AN Comm. campione di lunghezza 5 membri 5 1792 AL Comm. pesi e misure 4 membri 6 AL Comm. internazionale di verifica 24 membri Comm. temporanea pesi e 7 1793 CN 5 membri misure repubblicani 8 1795 CN Agenzia temporanea pesi e misure 5 membri 9 1795 CN Ufficio per le longitudini 6 membri 10 1796 CN Comm. pesi e misure dell’Istituto 5 membri 11 1798-99 CN Comm. generale pèsi e misure 24 membri Legenda: AN = Assemblea Nazionale; AL = Assemblea Legislativa; CN = Convenzione Nazionale Alcuni membri o collaboratori come Condorcet, Lavoisier, Fabre d’Eglantine 7 o Romme 8, furono persi per strada, ghigliottinati o suicidi (per non essere ghigliottinati...). Lo spirito che uniformò i lavori della settima commissione ben traspare in un libro scritto dai membri (il filosofo Condorcet, il fisico-geodeta Borda, l’astronomo Laplace, il fisico-matematico Lagrange e il geometra Monge) nell’anno terzo della Repubblica e che comparve anonimo, come volevano le consuetudini repubblicane. Leggiamone assieme un passo 9. La Commissione parla di se stessa: 6 S.Leschiutta, M.Rolando Leschiutta : J.L.Lagrande and the Metric System, IEN rapporto tecnico 545, 1998. Fabre d’Eglantine era lo pseudonimo di un abate di Tolosa, cui sono dovuti i nomi dei calendario repubblicano. 8 Gilberto Romme (1750-1795), deputato e principale propugnatore della riforma metrologica. 9 Opera anonima: Instructions sur les mesures déduites de la grandeur de la Terre, uniformes dans toute la Republique …par la Commission Temporaire des Poids et Mésures répubblicanes, en execution des Décrets de la Convention Nationale, De Briot, Besancon, 3ème année republicane. 7 3 - Personaggi 39 “Et ce que surprendroit encore davantage chez toute autre nation, c’est de voir les citoyens chargèe de cette operation importante (la costruzione del nuovo sistema metrico) qui sembleroit exiger tout la calme des temps pacifiques, la conduire avec succès vers son terme, au milieu des combats et des agitations de la libertè naissante”… La continuità del processo logico e del progresso sperimentale che portò al sistema metrico è unanimemente attribuita all’azione congiunta di Laplace e di Lagrange, a quest’ultimo in particolare, per il rigore e la coerenza dimostrata. Incidentalmente, furono proprio il rigore e la coerenza del torinese che imposero, oltre al calendario repubblicano, anche la divisione decimale dell’ora. Questa innovazione fu l’unica che venne immediatamente respinta a furor di popolo anche in Francia, mentre il calendario repubblicano restò in vigore 10 una decina di anni. Quindi il Lagrange, allora Presidente Onorario dell’Accademia delle Scienze di Torino, non fu solo fisico-matematico eccelso, ma ebbe un ruolo di primo piano anche nella costruzione del Sistema Metrico Decimale. Luigi Lagrange da un busto nella Biblioteca dell’Istituto di Francia (da F.Burzio: “Lagrange”, UTET, Torino 1993, tav. III pag.56) 10 In Italia il calendario repubblicano francese venne introdotto nelle varie regioni del Nord della penisola, Veneto escluso, tra il 1791 ed il 1802; fu soppresso con l’inizio del 1806. 40 Quaderno n. 4 - GMEE Il giuramento mai giurato di Galvani Dittature e giuramenti Alcuni anni or sono fu giustamente ricordata sui giornali italiani la scelta fatta da una ventina di professori ordinari italiani, che abbandonarono la carriera piuttosto di prestare un giuramento di fedeltà al Fascismo. Curiosamente non si è mai ricordata l’analoga scelta fatta da numerosi assistenti ordinari italiani pur di non iscriversi al Partito Nazionale Fascista. Chiedere ai docenti universitari di giurare fedeltà a qualcosa o a qualcuno è una caratteristica tipica e ricorrente delle Dittature. In alcuni casi, come avvenne per una trentina d’anni in Unione Sovietica, ai “renitenti” non si concedeva il passaporto e, in ogni modo, essi non ricevevano soldi e non facevano carriera. La comunità scientifica internazionale, a volte, riesce a limitare o a contenere le manifestazioni più illiberali, ma a fatica e non sempre. In alcuni casi, a un ricercatore o un professore che incontrava problemi con le proprie autorità nazionali, veniva assegnato o confermato un prestigioso incarico internazionale, allo scopo di “proteggerlo” dai propri connazionali, o si escogitavano artifizi vari per dargli, ad esempio, la mobilità al di fuori del suo Paese. Noi italiani abbiamo un classico esempio, quello del professor Vito Volterra (già Rettore del Politecnico di Torino, Senatore, Presidente dell’Accademia dei Lincei, fondatore del CNR), presidente del Comitato Internazionale Pesi e Misure, ove venne appositamente e ripetutamente confermato dalla Conferenza Generale Pesi e Misure, pur meritandoselo ampiamente, per proteggerlo in qualche modo dalle angherie cui era sottoposto. Quando un funzionario del CRN andò a Bruxelles, presso la Federazione delle Unioni Scientifiche Internazionali, per comunicare che il prof. Volterra non rappresentava più l’Italia e quando, mediante uno stratagemma, gli fu ritirato il passaporto, la Pontificia Accademia delle Scienze fece avere a Volterra un passaporto del Vaticano, perché potesse avere la necessaria mobilità. Volterra, uno dei venti, era ovviamente ebreo. Drammi individuali In queste occasioni saltano fuori il coraggio e la dignità dell’uomo, ma non tutti possono permetterselo. Sono, infatti, decisioni durissime; così fu, ad esempio, per un assistente universitario con moglie incinta del secondo figlio (che fu poi una figlia, di nome Lilia, sorella e madre di due membri del GMEE) e avente lo stipendio come unica forma di sussistenza. Questi drammi di coscienza non sono tipici delle numerose dittature del XX° secolo; sono sempre avvenuti e ce lo conferma la toccante vicenda di Luigi Galvani (1737-1798). Galvani era professore presso l’Università di Bologna dal 1760; sono note le vicende politiche dell’Italia tutta negli ultimi anni di quel secolo, con le varie repubbliche che sorgevano al passaggio dell’esercito francese, mentre nelle varie città era rizzato l’albero della libertà. Come succede in tutti i cambiamenti, si scatenano inizialmente le componenti più radicali e le antipatie o le vendette personali. Un fuoco che dura alcuni anni, al quale segue di regola, prima o poi, una restaurazione; ma il fuoco dei primi anni è sempre oltremodo e irragionevolmente vivace. 3 - Personaggi 41 I Giacobini bolognesi pensarono di mettere in regola i colleghi sospettabili di posizioni conservatrici e imposero ai professori del glorioso Ateneo il seguente giuramento, pena la decadenza immediata dalla carica: “Giuro inviolabile osservanza alla Costituzione, odio eterno al governo degli aristocratici ed oligarchi e prometto di non soffrire giammai alcun giogo straniero e di contribuire con tutte le mie forze al sostegno della Libertà ed eguaglianza, ed alla conservazione e prosperità della Repubblica”. Galvani, che aveva a quel momento 61 anni, era malfermo in salute, rimasto da poco vedovo e viveva unicamente della sua retribuzione universitaria, rifiutò di giurare e motivò la sua posizione con nobili parole. Luigi perse immediatamente il posto e l’assegno, che gli furono restituiti solo poco prima della morte. Il problema non fu vissuto nel Veneto, che viveva gli ultimissimi anni della Repubblica di San Marco, e nella saggia Toscana, mentre si presentò, sia pure in forme diverse, in Piemonte, che era stato nel frattempo annesso alla Francia, e nel resto della Repubblica cisalpina. Se taluni, come il Parini, presero posizioni simili a quelle di Galvani (Il cittadino Parini non entra, se qui non entra il cittadino Cristo), altri professori risolsero il problema all’italiana, rivolgendosi ad avvocati ed esperti di casuistica, cioè la materia nella quale devono essere esperti i confessori, che consente di valutare la liceità dei comportamenti, considerati e studiati i vari casi possibili (da qui il nome di casuistica). La risposta congiunta fu quella che i professori si aspettavano: giurate pure, perché siete costretti, ma con la riserva mentale di non sentirvi impegnati. Quel mattacchione d’Alessandro Volta risolse da par suo il problema: partecipò alle discussioni, decise di firmare ma, al momento fatidico, approfittando della confusione che regnava nella sala ove erano riuniti i professori pavesi per la cerimonia del giuramento, trovò modo di svignarsela. Chi fosse interessato ai particolari, può consultare Giorgio Tabarroni: Il mancato giuramento di Luigi Galvani, Atti della Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Classe di Scienze Fisiche, anno 286°, Bologna, 1999. Quaderno n. 4 - GMEE 42 La scappatella di Volta Anche lo scienziato è fatto di carne Secondo uno stereotipo comune, il grande scienziato, tutto teso alla sua scoperta, vive estraniato dalla società e anche dalla sua condizione umana: la sua vita privata non esiste o non è ricordata. Quell’essere deve essere una specie di monaco o di vestale. Alessandro Volta nel suo laboratorio, quadro di A. Rinaldi al Tempio Voltiano di Como. Foto L. Pizzi. Tratto da “Scienziati e tecnologi”, A.Mondadori Ed., vol.III, Milano 1975. Le cose non stanno così perché tutti, scienziati compresi, hanno preso carne e sono soggetti alle pulsioni tipiche e necessarie della razza umana. Non è necessario scomodare Galois, che sfidò a duello, rimettendoci la vita, un collega che aveva fatto allusioni alla moralità della sua fidanzata, ahilui fanciulla di facillimi costumi. Possiamo restare a casa nostra e raccontare una storia legata al lungo soggiorno pavese, trent’anni, di Alessandro Volta. Volta e Napoleone Volta era un allegro compagnone, giocava a carte, apprezzava il buon vino e gli inviti a cena 11, faceva vita di società, andava a teatro, era proficiente nella danza e, per quanto riguardava l’attività accademica, teneva le sue lezioni senza eccessivo accanimento e, soprattutto, appena trovava una scusa possibile, scappava a casa sua, a Como. A questo proposito c’è un sviluppo storico. Napoleone, dopo la dimostrazione della pila, esibitagli a Parigi nel 1802, aveva preso a benvolere Volta, ne apprezzava la conversazione e la prontezza di spirito e, munitosi di un temperino, aveva grattato via, nella sede della Accademia delle Scienze di Parigi, le ultime tre lettere di una iscrizione lau11 Nel suo soggiorno parigino del 1801, gli inviti furono 37. 3 - Personaggi 43 dativa su Voltaire. In ogni modo, Volta era destinato a disilludere Napoleone: quest’ultimo, infatti, un paio di volte, di passaggio per Pavia o per Milano, avendo chiesto di vedere Volta, si sentì rispondere che il comasco si trovava a Como. La seconda volta che non trovò Volta sul posto di lavoro, gli fece ricordare che un buon professore deve sempre vivere e, se necessario, morire insieme ai suoi studenti, proprio come deve fare un generale con i suoi soldati. Alessandro e Marianna Si diceva che Alessandro fosse un “bon viveur”, che così descriveva se stesso nelle sue relazioni con l’eterno femminino; affermava, infatti, di appartenere alla congrega dei cavalieri erranti: “Erranti, io dico quelli che fan corteggio a questa ed a quella e ne han sempre una nuova” e, inoltre, sosteneva di mai fidarsi delle donne: ....”Chi sian le donne dunque ancora non sai: non sai che sempre fu sano consiglio di donna alcuna non fidarsi mai”. Ma mal gliene incolse, perché alla tenera età di quarantatre anni si prese una cotta solenne: lei si chiamava Marianna Paris, romana o di Viterbo, virtuosa, cioè cantante di teatro, una soprano che andava per la maggiore nell’esecuzione delle operine di Paisiello, Cimarosa e altri. Eccelleva, sembra, ed era un triste doppio presagio, nella “Bella Molinara, ossia l’amore contrastato” di Paisiello, e nel “Matrimonio segreto” di Cimarosa. In ogni modo, Alessandro si invaghì perdutamente di lei e la cosa durò quattro anni. Le attrici di teatro non godevano di buona stampa, un poco perché per avere successo, oltre ad essere brave, dovevano esibire generosamente le loro grazie, erano circondate da spasimanti e “filarini” e, girando in continuazione di città in città, erano più esposte a tentazioni. È vero che, in genere, erano accompagnate da un genitore o da un “protettore”; a volte erano sposate con il capo comico che frequentemente chiudeva uno o tutti e due gli occhi. Ma tant’è, la situazione era considerata mal conciliabile con altri doveri o sentimenti. Un professore universitario che si sposasse era tenuto, come tuttora i Carabinieri e, forse, gli Ufficiali di Marina, a comunicare la sua intenzione e il nome della sposa, per ottenere una specie di consenso. Ottenere tale consenso era difficilissimo, per non dire impossibile, se la sposa era un’attrice; il nostro Alessandro dovette, quindi, iniziare una battaglia con la propria famiglia, oltre che con l’Ateneo. La famiglia Volta, che apparteneva alla piccola nobiltà lombarda, era numerosa: alcune zie suore, due fratelli sacerdoti, uno dei quali, Luigi, arciprete a Como 12. Un suo collega all’Università, sacerdote e canonico ma un po’ giansenista, alla fine si dimostrò il più comprensivo. E così Volta fu costretto a iniziare una serie di passi defatiganti e umilianti con la famiglia, l’Ateneo e il Governo austriaco, sedente in Milano, dal quale dipendeva la Università. Volta non riuscì a trovare un accomodamento e chiedeva solo di sposarsi con la sua Marianna; allora scrisse direttamente a Vienna, rivolgendosi all’imperatore Leopoldo II. Questa la proposta: rinuncio all’incarico come professore 12 Alessandro era l’unico che avrebbe potuto assicurare una discendenza della famiglia. 44 Quaderno n. 4 - GMEE universitario a Pavia, in cambio di un posto d’insegnante di Ginnasio, a Milano “città grande, ove niuno bada a simili cose” 13. In un ricorso all’Imperatore, Alessandro ammette che “il Governo non potea vedere con indifferenza che un Professore della Università condursi in Moglie una cantante di teatro; la qual cosa…sarebbe di poco buon esempio, e di pregiudizio alla disciplina, e costumatezza negli Studenti, ai quali si raccomanda di non praticare le Virtuose”…. Lo scandalo sarebbe stato minore per un professore di Ginnasio, in una città grande come Milano. Volta era cosciente delle difficoltà e dei pregiudizi; alla famiglia scrive “...Ella professa un’arte poco onorata per non dire peggio, pericolosa all’estremo; e lo fa contro suo genio, per necessità (che in lei diviene veramente virtù), non avendo altro mezzo per sostenere i suoi poveri genitori. Io dunque desidero, quanto essa, di levarla dal teatro…”. A distanza di due secoli, ci risulta difficile seguire e, soprattutto, capire questa vicenda, che si complicò perché, dopo una formale promessa di matrimonio da parte di Alessandro, i due avevano di nascosto cominciato a convivere e la cosa era stata risaputa, in una città piccola e forse pettegola come Pavia. La vicenda, che si sviluppò per quattro anni, finì male, nel senso che un intermediario raggiunse una transazione economica con il padre di Marianna, la quale accettò di uscire dalla vita di Volta. Sembra che Marianna si sia comportata con molta dignità, a differenza del padre e della famiglia, che negoziò, oltre a una somma in contanti, un vitalizio mensile, che risulta essere stato versato regolarmente sino al 1817. Infine Teresa, moglie devota Dopo questa scappata, la famiglia riprese il controllo della cosa; fu trovato a Como un adatto partito, Teresa Peregrini, non giovanissima, nobildonna, d’esemplari costumi anche se non molto ricca e, si dice, anche bruttina. Volta la sposò nel 1794, quando aveva in pratica cinquant’anni, due anni dopo aver lasciato Marianna. Fu tutto sommato un matrimonio felice 14: Teresa dette ad Alessandro tre figli, nati nel 1795, 1796 e 1798, dei quali egli fu padre amorosissimo, curandone direttamente l’educazione, trasferendo la famiglia prima a Milano, per la frequenza a un ginnasio, e poi a Pavia, per la Laurea. Teresa gli procurò, insomma, una felice e lunga vecchiaia. E, per concludere, due osservazioni: non dispiaccia di aver scrutato tra le segrete carte d’Alessandro, perché questa curiosità ci restituisce l’immagine di una personalità a tutto tondo e di un vero uomo, con trasporti affettivi e la difficile gestione di una vicenda complicata. E gli anni dedicati a Mariannina, compresi tra la scoperta dell’elettroforo e quella della pila, sono gli anni d’ammissione alla Royal Society di Londra e all’Accademia delle Scienze di Torino, nei quali stava maturando la polemica con Galvani, che lo portò alla pila e, quindi, alla nascita dell’Elettrotecnica che conosciamo. Questa nota è dedotta da un esame dell’Epistolario e, in particolare, dei testi di Felice Scolari: Alessandro Volta-guida bibliografica, Fondazione Leonardo, Roma. 1927; Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti: Alessandro Volta nel 250° anniversario della Nascita, CEDAM, Padova, 1998 e G.Bonera - P.Vanzan: Alessandro Volta, l’uomo, lo scienziato, il credente, CdG, Pavia, 1999. 13 Volta: Epistolario III, p.108-111, 27 maggio 1701. Sarebbe forse opportuno uno studio psicologico sul perché molti matrimoni combinati da sensali o parenti siano poi riusciti felici… 14 3 - Personaggi 45 La città di Milano dette ragione a Ohm A quell’epoca, siamo nel 1844, nel Lambro prosperavano i gamberi: oggi l’esperienza della quale parliamo non sarebbe probabilmente possibile, per rapida corrosione degli elettrodi. Ma andiamo con ordine: è noto che la legge di Ohm, che diamo per scontata e del tutto ovvia, stentò molto (una buona ventina d’anni) ad essere accettata nel mondo accademico. Il libro di Giorgio Simeone Ohm (1789-1854) – il circuito elettrico trattato matematicamente – era stato pubblicato a spese dell’autore nel 1827 e gli era valso, assieme a scritti precedenti, il bando dall’Università. Ohm stesso, di carattere scontroso, era stato definito un pazzo furioso perché pretendeva che in un circuito elettrico, formato da numerosi conduttori di tipo diverso e disposti in serie, ci fosse qualche cosa (che oggi chiamiamo corrente) che si “conservasse” e fosse eguale in tutti i conduttori. Ohm perse il posto e a riabilitarlo fummo soprattutto noi italiani, l’Accademia delle Scienze di Torino, che nel 1841 lo volle socio, e appunto la Città di Milano. Milano, all’epoca, faceva parte del Regno Lombardo-Veneto; il governo austriaco, dopo mille esitazioni, aveva consentito che vi venisse convocata una “Riunione degli Scienziati Italiani”. La città deliberò, a sua volta, di contribuire all’evento anche istituendo un premio di 10.000 lire austriache, al fine di assegnare un riconoscimento o per compiere un’esperienza importante di Fisica. Su pressione di Giovanni Alessandro Maiocchi (1795-1854), docente di Fisica del Liceo di Porta Venezia, si decise di verificare appunto la legge di Ohm, sotto la sorveglianza di una commissione internazionale. Questo il circuito: da Milano, dove era installata una batteria di pile, si usava la linea telegrafica lungo la ferrovia di Milano-Monza. Da Monza, un filo elettrico collegava la linea telegrafica con una piastra di rame, immersa nelle acque del Lambro, che costituiva il “conduttore” di ritorno, sino a un’altra piastra, immersa a Milano, che era a sua volta allegata alla pila che alimentava tutto il circuito. Quattro “amperometri” erano inseriti: uno tra pila e filo telegrafico, un secondo lungo questo conduttore, un terzo tra filo e Lambro, l’ultimo tra la piastra milanese nel Lambro e la pila. I quattro strumenti usati erano stati inventati pochi anni prima, nel 1825, da Luigi Nobili (1784-1835), fisico attivo tra Emilia e Toscana ove trasmigrò per motivi politici, ed erano dei “galvanometri astatici”, nei quali due aghi magnetici “eguali”, rigidamente collegati tra loro ma controversi e sospesi a un filo di torsione, erano immersi ambedue nel campo magnetico terrestre ma uno solo nel campo generato da una bobina nella quale circolava la corrente da misurare. Ci sono pervenuti i verbali della Commissione i cui membri, salvo uno svizzero e un tedesco, erano tutti italiani, ma di cittadinanza diversa: il presidente era Giovanni Plana, (1781-1864), celeberrimo e scontrosissimo astronomo di Torino, cittadino del Regno di Sardegna. Gli strumenti, entro gli errori sperimentali, dettero tutti la stessa indicazione e quindi la legge risultò confermata, a spese della Città di Milano. Monza - Villa Mirabello sul Lambro - Incisione del 1827 46 Quaderno n. 4 - GMEE Quel matto di Wheatstone Quando Braccio di ferro non deve difendere Olivia dalle attenzioni di Bruto, tra una scatoletta di spinaci e l’altra, suona la concertina, una specie di fisarmonica, inventata (e brevettata) da Wheatstone. L’accoppiata invenzione-brevetto è una delle caratteristiche del Nostro, che, come vedremo, spaziò in una decina di campi diversi, dagli strumenti musicali, elettrici od ottici, alla fisiologia. Gli oggetti che portano il suo nome sono infatti una decina: un orologio solare, uno meccanico, uno stereoscopio, un fotometro, un telegrafo elettrico, un cronometro, il soccorritore (un relè posto alla fine di una lunga linea telegrafica per azionare la macchina ricevente), ed ovviamente il ponte usato da noi elettricisti. C. Wheatstone, conosciuto per il suo “ponte elettrico”, in un ritratto a matita di S. Laurence (National Portrait Gallery, Londra) Charles Wheatstone (1802-1875) è un fisico-ingegnere inglese, realmente proteiforme, abilissimo a volte ad annusare quanto di nuovo ci fosse nelle idee di un altro, a prendere un brevetto e a costruire un dispositivo da vendere. Comunque a questa caratteristica accoppiava una fantasia ragguardevole, un attentissimo spirito di osservazione e una vera maestria tecnologica, non disgiunta da una operosità ragguardevole. Descriviamo solo alcune delle sue invenzioni, lasciando da parte l’ipernoto ponte, salvo ad annotare che il ponte di Wheatstone non fu da lui inventato, ma solo costruito e diffuso. Onestà vuole comunque sottolineare che mai egli abbia preteso o lasciato credere che lo strumento fosse di sua invenzione. 3 - Personaggi 47 Il fotometro Un esempio di fantasia è il suo fotometro, utile per paragonare rapidamente le intensità di due sorgenti luminose, una delle quali anche lontana e inaccessibile, ad esempio dei becchi con gas. In una scatola cilindrica, un movimento di orologio faceva ruotare un braccio che portava alla sua estremità una ruota dentata ingranante con una corona dentata con i denti all’interno. Questa ruota dentata, posta in rapida rotazione, portava un dischetto di sughero annerito, sul quale era posta una sferetta di acciaio lucido, in posizione eccentrica. La sferetta descriveva così un ipocicloide. Le due sorgenti luminose da confrontare si riflettevano sulla sferetta formando, per la persistenza delle immagini sulla retina, due epicicloidi luminose. La scatola veniva spostata sino a quando le due Il ponte di Wheatstone come descritto da curve apparivano egualmente luminose. A James Clerk Maxwell, M.A., nel libro metà dell’Ottocento, furono ideati nume“A treatise on electricity and magnetism”, Oxrosi fotometri: di Bunsen, Burel, Barbiford at the Clarendon Press 1904, net, Brodhium, Lummer e, appunto, di III edition Wheatstone. Ci si potrebbe domandare quali siano le ragioni di una tale prolificità. Il motivo risiede nella diffusione del gas illuminante, il cui contenuto energetico era misurato unicamente tramite metodi fotometrici. Le principali città europee si dotarono, a tal fine, di un laboratorio di fotometria e di illuminotecnica. Joule e Ferraris non avevano ancora imposto i metodi calorimetrici: lo stesso Ferraris, più volte, tra il 1872 e il 1884, propose la costituzione in Italia di un Laboratorio nazionale di fotometria, iniziativa che realizzò in parte presso il Regio Museo Industriale. Un cannone Un esempio di ingegnosità era un cannoncino che sparava un colpo quando il sole transitava al meridiano o a un intervallo di tempo noto, prima o dopo il mezzogiorno. L’oggetto era installato nella villa di Wheatstone e non meritò una descrizione: un cannocchiale, orientato tramite un meccanismo a orologeria in azimut e in elevazione, concentrava la luce del sole. Il telegrafo Il telegrafo elettro-magnetico di Wheatstone, adottato da Poste e Ferrovie inglesi, consentiva la trasmissione delle lettere dell’alfabeto, tramite gli aghi magnetici di due galvanometri posti in un piano verticale. Gli aghi, a riposo, hanno una posizione verticale mentre, attivati, compiono oscillazioni verso destra o sinistra. Le posizioni combinate delle due lancette e il numero delle oscillazioni forniscono le lettere dell’alfabeto. Ad esempio, la lettera E è rappresentata da un’oscillazione verso sinistra dell’ago di sinistra e da due, sempre verso sinistra, di quello di destra. 48 Quaderno n. 4 - GMEE Il sistema è indubbiamente macchinoso e complesso, ma notevolmente più veloce del Codice Morse, nel quale si ha una distribuzione nel tempo, sia per la lunghezza del singolo elemento (punto o linea) sia per il numero e la distribuzione degli elementi, che sono sino a cinque per lettere e numeri ma salgono a otto per i segni convenzionali. Una coppia di allenati telegrafisti, usando il codice Morse, riusciva a trasmettere al più 400-450 parole all’ora. La concertina Veniamo alla concertina, che è in fondo una fisarmonica a bottoni, analoga nel funzionamento all’armonica “due botti”, cara alla tradizione del folclore italiano. Due telai esagonali, tra i quali si apre e si chiude il mantice, recano all’interno delle lamelle, poste in oscillazione da flussi d’aria, attivati premendo dei bottoni. È uno strumento certo non adatto per esprimere sentimenti, ma per accompagnare gagliarde canzoni e altrettanto, se non più, gagliardi ritmi di danza. Lo strumento si diffuse nell’Europa del Nord, in particolare nelle bettole dei porti e sulle navi. Lo strumento richiede anche un certo sforzo fisico, dato che l viene retto tra le mani, e questo giustifica l’attitudine verso la concertina di Braccio di Ferro, uomo provvisto di poderosi bicipiti. Per SILE, redattore di questa nota e dilettante di concertina, alquanto misteriosi restano i criteri di scelta delle posizioni delle singole note. Wheatstone, attento come era stato alla tabella delle frequenze delle singole lettere nella lingua inglese quando aveva ideato il suo codice telegrafico, fissa ora le posizioni delle note, in modo da facilitarne sia gli intervalli sia gli accompagnamenti nelle poche tonalità consentite dallo strumento. Qui bisognerebbe conoscere la musica, ma si può constatare che Wheatstone cercò di fissare le posizioni delle note con una certa razionalità, sia per la melodia sia per l’armonia, disponendo i tasti in maniera opportuna. L’uomo Abbiamo descritto sommariamente quattro strumenti e resterebbe da parlare sull’uomo, ma ciò richiederebbe diverse pagine. Charles Wheatstone, tutto proteso all’ideazione e realizzazione di oggetti nuovi, era scrittore pochissimo prolifico riguardo ai suoi strumenti, molti dei quali non furono da lui descritti: ad esempio, egli non scrisse una riga sul suo fotometro, che fu usato per oltre cinquant’anni, mentre dedicò tre articoli nell’arco di quindici anni allo stereoscopio, un oggetto che ebbe larghissima diffusione e, insieme all’analogo strumento di Duddel, fu riprodotto in centinaia di migliaia di esemplari in tutta Europa. 3 - Personaggi 49 Helmoltz, la moglie e il Kaiser Caro Imperatore, la presenza di mia moglie è indispensabile per la mia tranquillità spirituale. Tuo Ermanno Helmoltz Se Herr Professor Helmoltz dice così, pagate pure il biglietto anche per la moglie. Il Kaiser Questa, in soldoni, la conclusione di una diatriba che si accese, indirettamente, tra il Kaiser Guglielmo II e Herman Ludwig F. von Helmoltz (1821-1894), allora presidente del PTB (oggi, come allora, istituto metrologico nazionale in Germania), fondato nel 1887 da lui e da Siemens. Vediamone le vicende, che travalicano certamente la mera materia del contendere: in pratica, l’inclusione della signora Anna von Mohl negli Helmoltz (1834-1899) nel seno della delegazione germanica a un Congresso di Elettricità che si svolgeva negli Stati Uniti, con diritto quindi al rimborso totale delle spese. Il decorso della vicenda, infatti, da una parte, ci dà un’idea dell’alto senso di dignità che Hermann aveva per se stesso e del quale si era ed era circondato e, dall’altra, dal rispetto del quale godeva, al punto di far violare le certamente rigorose normative prussiane che regolavano i viaggi dei funzionari pubblici. L’occasione fu rappresentata dal Congresso Internazionale d’Elettricità 15, che si svolse a Chicago nel 1893, al quale parteciparono per l’Italia anche il prof. Galileo Ferraris del Regio Museo Industriale di Torino e un giovane ingegnere d’Ivrea, Camillo Olivetti. Incidentalmente quel Congresso 16, presieduto da Helmoltz, fu di gran rilievo per tutta l’Elettrotecnica. Ad esempio: Galileo Ferraris precisò il concetto d’induttanza, con tutti i legami con le altre grandezze, elettriche e non; per l’unità di questa grandezza fu adottato il nome di Henry, in luogo di “quadrante”, anche in omaggio alla nazione che ospitava la conferenza; furono definiti e accettati universalmente il volt, l’ohm e l’ampere “internazionali”; 15 I Congressi Internazionali di Elettricità, otto in tutto (il primo a Parigi, nel 1881, l’ultimo a Torino, nel 1908), furono di grande rilievo per lo sviluppo dell’elettrotecnica. Purtroppo erano congressi internazionali a livello diplomatico, con delegazioni nazionali nominate dai vari governi, con il risultato che il capo delegazione, unico ad avere diritto al voto, frequentemente era un alto funzionario ministeriale o ambasciatore a Parigi. Nella singole commissioni sedevano, invece, gli scienziati e i tecnici, con gli inevitabili problemi di comunicazione. 16 La Commissione di Elettricità, di tutto rispetto, era così composta: Ayrton prof. W.E.(UK); Budde dr. E. (DE)¸ Chavez A.M.(Messico); Carhert prof. H.S. (USA); Ferraris prof. G. (I); Helmoltz prof. H von (DE); Higman prof. A. (Canada); Hospitalier prof. E. (FR); Leduc dr. S. (FR); Lunner dr. O. (DE); Mascart prof. E.E.N. (FR); Nichols prof. E.L (USA); Palaz dr. A. (SW); Preece W.H. (UK); Rowland prof. H.A. (USA); Sahaulka dr. J. (Austria); Schaered H. (DE); Siemens A. (UK); Thompson prof. S.P. (UK); Tomson prof. E. (USA); Thury prof. R. (SW); Touan M. de la (FR); Violle M. (FR); Voigt prof K. (DE); Weber C.E. (UK); Weber prof R. (SW); Wennmann (Svezia). Chi conosca un po’ di storia dell’Elettricismo riconoscerà i nomi dei padri fondatori dell’elettrotecnica e della strumentazione elettrotecnica. Volendo, tra i membri, si può individuare anche l’uomo che contribuì alla nascita della Radiotecnica: Greaves, Direttore del Post Office inglese, che finanziò gli esperimenti di Marconi e dette l’avallo della sua organizzazione ai risultati. 50 Quaderno n. 4 - GMEE iniziarono i colloqui, ripresi a Parigi nel 1900 e conclusi a Saint Louis nel 1904, che portarono alla nascita della Commissione Elettrotecnica Internazionale 17, la IEC (ente nazionale di normazione in campo elettrico, tuttora esistente). Prima di tornare alla vicenda della moglie di Helmoltz, è opportuno cercare di spiegare, a chi non li conoscesse, i motivi della statura dello studioso tedesco e dell’universale riconoscimento e prestigio del quale era circondato. Helmoltz può forse essere considerato come l’ultimo degli scienziati umanisti 18; di formazione iniziale era un medico fisiologo, ma padroneggiava la matematica e la fisica come pochi del suo tempo. Usava, ad esempio, sistematicamente la serie di Fourier, che era guardata ancora con sospetto in taluni ambienti accademici. Pochi sono i settori dello scibile nei quali non esistano sue zampate, alcune delle quali vengono discusse e studiate ancora oggi. Herman Ludwig F. von Helmholtz Precisò il concetto e il significa(Potsdam 1821- Berlino 1894). Tratta da “Scienziati e to di energia, postulando un sotecnologi”, A.Mondadori Ed., vol.III, Milano 1975. lido principio generale della conservazione dell’energia, che era stato intuito da Mayer (incidentalmente anche lui un medico) in quei mirabili anni tra il 1830 e il 1845 quando, per opera di Mayer, Joule e appunto Helmoltz, si riconobbe la conversione e l’intercambiabilità tra lavoro, calore, energia. Non meno rilevanti i contributi nella fisiologia della visione e dell’udito; nel primo settore inventò l’oftalmoscopio, tuttora usato in clinica medica, e nel secondo costruì un analizzatore di spettro acustico e un simulatore di voce umana, usando risonatori a cavità. Sulla sua teoria della consonanza, entrando nel campo musicale, si discute ancora oggi e SILE ricorda la stupefatta ammirazione che lo colse nei primi anni sessanta quando, nel trattato di acustica fisica e fisiologica, trovò il modello e la semplice dimostrazione matematica del perché, nella tradizione musicale europea, il martello del pianoforte “deve” percuotere la corda a un settimo della lunghezza e perché l’altezza e lo stato del feltro che riveste il martello abbiano una diretta influenza sul timbro del suono 19. Helmoltz era anche una persona colta, soprattutto in lettere e musica: studiò a lungo Goethe, del quale divenne il miglior interprete, e suonava, più che da semplice dilettan17 La IEC, tuttora attivissima con i suoi rami nazionali (in Italia con la Commissione Elettrotecnica Italiana, C.E.I.), è un’organizzazione volontaria, non governativa, con prevalenti funzioni di coordinamento internazionale, a livello industriale ma con robusti collegamenti scientifici. 18 La sua tesi e alcuni scritti scientifici erano redatti in latino. 19 È impossibile la formazione di un’armonica la cui lunghezza sulla corda sia eguale o inferiore alla lunghezza del feltro che ricopre il martello. 3 - Personaggi 51 te, pianoforte e armonium. Si era fatto costruire uno speciale armonium nel quale, per esemplificare la sua teoria della consonanza, l’ottava era divisa in 24 parti. Ma per noi, misuristi, elettrotecnici e anche metrologi, la figura di Hermann Helmoltz si staglia per almeno tre elementi. Assieme a Siemens, egli si fece promotore, nel 1887, della costituzione in Germania del Physikalische Technische Reich-anstalt (PTR), il laboratorio metrologico tedesco, oggi noto come PTB (Bundesanstalt), una delle Mecche della Metrologia. Il capo del laboratorio sperimentale era Kohlrausch (i colleghi anziani ricorderanno certamente il suo ponte), che avviò tutta una serie d’attività sperimentali di misura. Il testo di misurazioni fisiche del PTR, dovuto appunto a Kohlrausch, che i ricercatori dovevano conoscere a menadito, è divenuto in Germania una specie del manuale del Colombo: è stato più volte aggiornato e l’ultima edizione 20, la ventiquattresima, è del 1996. Arrivati a questo punto, ci si potrebbe domandare cosa c’entri la moglie con questo profilo di Helmoltz. C’entra, e per due versi: da una parte, come è stato ricordato ai margini della riunione del GMEE 21 tenuta a Villasimius nel 2003, dietro un grande ricercatore c’è sempre una grande donna o, almeno, una donna innamorata. Dall’altra, solo illustrando i meriti scientifici dell’uomo e la sua fama si può capire la resa del Kaiser. La vicenda è, in fondo, semplice. Helmoltz aveva chiesto che il PTR pagasse anche la spesa di missione della moglie, ma gli fu risposto ripetutamente di no. Lui, teutonico, a ogni diniego ripresentava la domanda, chiedendo ogni volta che venisse esaminata da un’autorità gerarchicamente superiore rispetto a quella che aveva emesso il precedente diniego. La domanda andò così su e giù più volte per tutti i gradini della burocrazia, ogni volta salendo di un gradino, finché il primo ministro, disperato, la fece recapitare al Kaiser. Il Kaiser non disse di no, ma chiese che Helmoltz motivasse la sua richiesta: “La presenza di mia moglie è indispensabile per la mia tranquillità spirituale”. Il Kaiser si arrese: Se Helmoltz dice così, pagate pure il biglietto per la moglie. 20 "Kohlrausch-Praktische Physik" a cura di V. Kose e S. Wagner, Teubner-Verlag, Stuttgart. GMEE- Gruppo Misure Elettriche ed Elettroniche, che raggruppa i docenti e i ricercatori italiani del settore delle misure. 21 52 Quaderno n. 4 - GMEE 4 - Paradigmi Il sistema metrico decimale è bello ma certamente scomodo: pensamenti e ripensamenti metrici in Francia, tra il 1802 e il 1840 Mettere le mani a un sistema di misura è sempre cosa delicata e difficile. Immaginiamo, poi, di introdurre un sistema eversivo, come quello metrico decimale, che cambiava tutto, campioni, grandezze, la logica stessa del sistema (prima superfici e volumi non erano collegati alla lunghezza), nomenclatura e, soprattutto, usava scale decimali in popoli che per millenni avevano diviso e moltiplicato per due, tre, sei e dodici. In Francia la Convenzione, nel 1793, con una legge del primo agosto per accelerare la riforma, aveva introdotto Misure provvisorie, con l’adozione di una scala decimale, il collegamento tra le misure di massa e quelle di lunghezza e una prima nomenclatura delle unità, con nomi che, ad eccezione di metro e relativi sottomultipli, si trovano ormai solo nei trattati di storia della Metrologia. I primi campioni metrici di Metro, Pinta e Grave (che diverranno metro, litro e kilogrammo) furono presentati alla Convenzione nell’Ottobre 1793; la Convenzione, nel mese seguente, ordinò la costruzione di campioni prototipi per tutta la Francia. I primi ripensamenti sono posteriori solo di un paio di mesi, perché un decreto del gennaio 1794 cambiò il nome della pinta con quello di cadil. Di maggiore importanza il ripensamento della legge del 18 germinale dell’anno 3 (7 aprile 1795), che introdusse modifiche nella terminologia, che durano tuttora a distanza di due secoli. Il cadil fu sostituito da litro, il gravet da grammo (in lingua italiana gramma) e il grave, che era il peso di mille grammi, divenne il kilogrammo (in italiano dell’epoca, il chilogramma). Venne cosi introdotta una delle maggiori e persistenti storture del Sistema Metrico Decimale, ora SI, che consiste nell’uso, nel nome di un’unità (il kilogrammo), di un prefisso moltiplicativo. Come conseguenza della stessa legge venne deciso di accelerare la misura di un arco del meridiano che passa nei dintorni della Cupola del Pantheon. La misurazione, necessaria per ricavare la lunghezza del metro, richiese alcuni anni, tra il 1791 e il 1798, negli anni dell’acme del processo rivoluzionario e del terrore. La storia di questa misura e, soprattutto, degli uomini che dedicarono la loro vita all’impresa potrebbe costituire la trama di un romanzo d’avventure 22. Venne istituita una Commissione internazionale, costituita da otto francesi (tra i quali Lagrange, che francese ancora non era) e da delegati da: Repubblica Batava (l’Olan22 Ai due astronomi Delambre e Méchain fu affidato il compito di misurare la lunghezza dell’arco di meridiano tra Dunkerque e Barcellona. Essi usarono un teodolite, elaborato da un ufficiale di marina, tal Borda, detto “teodolite quarto di cerchio”. L’impresa durò oltre sei anni e fu irta di difficoltà perché il periodo era denso di scossoni; non di rado le aste usate per le triangolazioni furono scambiate per insegne militari, con drammatiche conseguenze. 4 - Paradigmi 53 da), Danimarca, Repubblica Elvetica, Sardegna, Toscana, Repubblica Ligure, Repubblica Romana e Repubblica Cisalpina. Questa Commissione tenne le sue sedute a Parigi, tra Aprile e Maggio del 1799. Il quattro messidoro dell’anno 7 (22 giugno) i campioni furono solennemente presentati al Consiglio dei Cinquecento e al Consiglio degli Anziani, per essere affidati, lo stesso giorno, in custodia agli Archivi della Repubblica. Nel dicembre dello stesso anno 1799, il 19 frimaio dell’anno otto, venne infine emessa la legge metrologica francese, che reca questa frase: « Le mètre et le kilogramme en platine, déposes le 4 messidor dernier au corp législatif par l’institut national des sciences et des arts, sont les étalons définitifs des mesures de longueur et de poids dans toute la France ». Poche settimane dopo, il decreto del 13 brumaio dell’anno 9 (4 novembre 1800) stabiliva che il nuovo sistema metrico decimale sarebbe entrato in vigore definitivamente il 1 vendemmiaio dell’anno 10 (23 settembre 1801). In questo stesso decreto si comincia a temperare le prescrizioni precedenti e si inizia quindi, a pochi mesi dalla legge metrologica, un processo di vera e propria restaurazione metrologica, nel senso che per facilitare l’introduzione del nuovo sistema si ammetteva, in parallelo alla nomenclatura ufficiale (chiamata sistematica), l’uso dei nomi antichi; alcuni esempi sono proposti nella seguente tabella: Nome sistematico Nome tradizionale ammesso miriametro lega kilometro miglio decametro pertica metro metro decimetro palmo centimetro dito millimetro tratto litro pinta kilogrammo libbra Con il senno del poi questo decreto, che consentiva l’uso di entrambe le nomenclature all’interno di qualsiasi transazione o documento, pur conservando i rapporti decimali per le unità, creò problemi peggiori; ad esempio, una libbra era la massa di un oggetto di 489 grammi o uno di 1000? Ambedue le definizioni avevano valore legale. Pochi anni dopo ci si cominciò a domandare se i rapporti decimali, che certamente erano la migliore, se non l’unica, scelta per i calcoli scientifici, lo fossero anche per i bisogni del popolo. Quest’idea si fece strada e fu tradotta da decreti e circolari del 1812, con Napoleone imperatore, nei quali non solo si autorizzavano tutti i nomi antichi ma si 54 Quaderno n. 4 - GMEE consentiva l’abbandono della scala decimale con il ritorno alle suddivisioni precedenti, perché erano “accomodées au besoins du peuple”. Segui l’anarchia più completa tra il 1812 e il 1839; ad esempio, l’antica misura della tesa (la tesa – toise – era la “brachia tensa”, cioè la mitica estensione da punta di indice a punta di indice di Carlomagno con le braccia tese), che conservava il vecchio nome ma, con una lunghezza portata a 2 m, si divideva ora in sei piedi. Il piede valeva esattamente un terzo di metro e si divideva in dodici pollici e il pollice in dodici linee. Quindi tutta la fatica e la tensione morale che aveva portato al metro come quarantamilionesima parte del meridiano terrestre, si riduceva alla costruzione di un campione di lavoro, il metro, che praticamente non aveva cittadinanza ed era necessario unicamente per trovare, tramite una comodissima divisione per tre, la lunghezza del piede. Opuscolo sul sistema metrico scritto probabilmente da Don Giovanni Bosco (Fratello delle scuole Cristiane), pubblicato nel 1849 La situazione venne finalmente risolta da una legge di Luigi Filippo, Re dei francesi, che in data 3 luglio 1837 stabilì che le leggi del 1812 venivano abrogate, veniva concesso un periodo di meno di tre anni per l’uso di misure e strumenti di misura antichi e, con il primo gennaio 1840, avrebbero avuto valore legale unicamente le leggi dell’anno 8: l’uso di altre unità sarebbe stato punito come infrazione al codice penale, quindi non solo sanzioni amministrative ma anche la prigione. Così, per opera di un Re, la rivoluzione metrologica della Repubblica venne realizzata in pieno e nella sua purezza e razionalità, dopo quasi mezzo secolo di travagli, pensamenti e ripensamenti. Non si vuole certamente irridere le titubanze e i tentennamenti della Metrologia francese, ma unicamente mettere in evidenza quanto sia delicato mettere mano a un sistema di Misura e quanto il processo sia lento: tipicamente sono necessarie almeno due generazioni, come per ogni processo di adattamento culturale. Sant’Agostino sostiene che una generazione dura venti anni e tra il 1799 e il 1840 erano giusto appunto passate le due generazioni necessarie per un cambio culturale. 4 - Paradigmi 55 Gestazione, nascita e affermazione delle Leggi della Fisica Una legge della Fisica, una ipotesi o uno strumento, specie se di carattere innovativo, passano attraverso tre fasi: la gestazione nella mente di un uomo, la formulazione, cioè la nascita, e infine la sua accettazione nel mondo della Scienza. Questa nota riguarda in particolare il terzo punto che a volte si estende per decenni e, almeno in un caso anche per un paio di secoli 23, prima che la nuova idea sia compresa, accettata, diventi parte della descrizione del mondo e quindi del corpo delle nozioni che la scuola trasmette. Si considereranno comunque e in maniera estremamente sommaria la gestazione della idea; ma prima di passare a nascita e affermazione, sarà opportuno introdurre il concetto di paradigma, come attualmente inteso per questo tipo di problemi. Così l’ultima parte può essere dedicata sia a “nascita” sia ad affermazione, perché queste fasi sono intimamente collegate tra di loro e richiedono che le conclusioni che verranno presentate anche con esempi, e cioè l’importanza di un paradigma, sia pure entro determinati limiti di validità, siano state accettate. La nascita di una nuova legge. Nell’ideazione di una nuova legge o di una ipotesi, numerosi sono i processi mentali che di volta in volta presiedono alla “gestazione” dell’idea: • intuizione, • pensiero “ellittico” 24, • attese esistenti, • principio generale o “conservazione” di una grandezza, come - massa, - energia minima, - minimo tempo di viaggio, • simmetria, • concettuale eleganza, • semplicità25, • maturità della idea, • tenacia o cocciutaggine, • colpo di fortuna (perché no?). Dietro ognuno di questi processi esiste il nome di un Fisico o di una scoperta. Per alcuni di questa decina di processi, sono opportune osservazioni o complementi; per il processo “principio generale” o “conservazione” di una grandezza”, Piaget ha dimostrato che il bambino tra i due e tre anni parte con l’ipotesi della “conservazione” di qualche grandezza, attorno alla quale, poi, costruisce la propria fisica. Analogamente, 23 Si pensi al caso del barometro e del concetto di pressione, da una parte, e del termometro e della temperatura, dall’altro. Concetti e strumenti nati ambedue a Firenze, all’inizio della seconda metà del Seicento. Per il primo strumento e concetto, non ci furono problemi; per la seconda coppia, furono necessari quasi tre secoli per capire cosa veramente misurasse il termometro. Su questo caso emblematico si tornerà più avanti. 24 Per pensiero ellittico si intende un modo di ragionare nel quale alcuni passaggi logici sono “saltati”; la correttezza del tragitto logico è giustificata a posteriori. 25 Torna il rasoio di Occam… 56 Quaderno n. 4 - GMEE come è ben noto, molte delle leggi della Fisica maggiore sono nate ipotizzando la “conservazione di qualche cosa”, come massa, quantità di moto, energia. Per il processo “simmetria ed eleganza concettuale” si ricordi il caso di Maxwell che arrivò alle sue equazioni, inizialmente non dimostrate, seguendo concetti di simmetria ed eleganza, fatto che non gli fu perdonato per quasi mezzo secolo da alcune scuole rigorose, come la Fisica francese e la ridottissima schiera dei fisici teorici italiani 26 del momento. Per “maturità di una idea” si può proporre un esempio, tratto dalla storia dell’Elettronica, che dimostra che quando una idea è matura ed esistono i necessari stimoli, l’innovazione nasce contemporaneamente in più luoghi e in più persone. L’equazione del tubo elettronico (che in Italia viene chiamata del Vallauri, in Francia del Ferrié, in Germania del Barkhausen, in Inghilterra di Thompson, negli Stati Uniti del Langmuir) nacque nel 1917, in un momento nel quale le comunicazioni tra i ricercatori non erano facili, anzi impossibili. È ovvio lo stimolo impellente di capire in qualche modo come progettare razionalmente un circuito con un nuovo componente. Lo stesso avvenne per un “impensabile” circuito che era basato sempre sul tubo, il multivibratore, la cui “scoperta” avvenne nell’agosto del 1917 in Francia e in Germania e fu coperta, in tutti e due i casi, da segreto militare 27. Lo stesso avvenne per un apparato, il sintetizzatore di frequenza, ideato, sia pure con principi differenti, intorno al 1939 in Germania, ad opera dello Schomandl 28, e in Italia, per opera del Boella. Il “colpo di fortuna” esiste certamente ma è stato più volte osservato che questo “processo”, per avere effetto, richiede una mente pronta, aperta e allenata a riconoscere e cogliere il nuovo. Paradigmi e comunità scientifiche Negli anni tra il 1930 e il 1960 cominciarono a emergere, per opera di Carnap, Popper [1] e Kuhn, nuove idee nel vasto campo tra Filosofia, Sociologia, Fisica e Storia delle Scienze, con originali punti di vista anche su nascita e sviluppo delle leggi della Fisica. I contributi che più interessano sono quelli che Kuhn espose in un libro del 1962, intitolato The Structure of Scientific Revolutions [2, 3], nel quale vengono esposti, tra l’altro, due concetti, quello dei paradigmi e quello di comunità scientifica. Una delle tesi di questo Autore è che gli scienziati, come tutto il resto dell’umanità, operino rimanendo entro (e, quindi, essendone limitati) una complessa struttura di assunzioni a proposito della natura del problema, del tipo di soluzioni e dei metodi e modi che devono essere seguiti; tutti questi elementi costituiscono il paradigma. 26 Maxwell trovò, invece, precoce cittadinanza tra gli ingegneri elettrici italiani, a partire dal 1880, prima a Torino con Ferraris, poi a Milano con Colombo; inoltre i fisici italiani degli ultimi due decenni dell’Ottocento erano prevalentemente sperimentali o rivolti alla Fisica terrestre. In pratica la Fisica Matematica, come insegnamento ufficiale, cominciò con il Prof. Persico alla fine degli anni venti. 27 Per quanti amano la storia della tecnologia, i francesi Abraham e Bloch descrissero il circuito in un rapporto interno nel luglio del 1917, mentre Barkhausen, che progettava e costruiva sistemi per intercettare comunicazioni su linee telefoniche campali, era indaffarato a scoprire e a descrivere la fisica del rumore, che da lui ha preso il nome. 28 Schomandl inventò la tecnica degli oscillatori agganciati in fase su subarmoniche; è invece frutto del lavoro di Boella la sintesi decadica, sulla quale sono basati gli strumenti commerciali costruiti dagli anni ’60 in poi. Alcuni apparati industriali presentano lo stesso schema a blocchi e i valori numerici di uno degli strumenti costruiti dal Boella. 4 - Paradigmi 57 Questo insieme di concetti e analisi basate sui “paradigmi” ha sollevato innumerevoli controversie e discussioni, soprattutto sull’applicabilità a qualsiasi contesto nel quale si articolino le attività umane, ma anche i detrattori ne ammettono l’utilità. In maniera molto grossolana, ma seguendo una schematizzazione proposta [4, 5] dallo stesso Kuhn, si arriva a un ragionamento circolare, nel quale il concetto di paradigma è strettamente collegato a quello di comunità scientifica. Un paradigma è un insieme di regole , tradizioni, usi, abitudini, ecc., che i membri di un comunità scientifica, ma solo i membri di quella comunità, hanno in comune. Reciprocamente, è proprio l’adozione di un comune paradigma che trasforma un gruppo di persone, per altri versi dissimili, in una comunità scientifica. Il concetto e il termine paradigma (beninteso in questa connotazione, cioè di regola per trattare casi differenti ma analoghi) vennero introdotti inizialmente da Kuhn, appunto per studiare, da un punto di vista generale, gli eventi peculiari che si verificano nella Storia delle Scienze fisiche in corrispondenza delle cosiddette “rivoluzioni scientifiche” o nelle “unificazioni” 29 di capitoli della Fisica [6]. La storia della Scienza è, infatti, una collezione di casi nei quali l’esistenza di un paradigma riconosciuto, anche in un altro settore dello scibile, è stata utile per far superare le difficoltà di accettazione o la sua assenza ha impedito (o quantomeno rallentato) il riconoscimento di una validità della nuova idea. Con una certa approssimazione e schematismo, gli sviluppi sono i seguenti: la nuova idea può essere inquadrata in un paradigma già esistente 30, e allora viene accettata, la nuova idea non può essere inquadrata, e allora si hanno due conseguenze: ¾ la nuova idea è soppressa perché non è scienza, ¾ nasce faticosamente una nuova scienza. I membri di una certa specialità che formano una comunità scientifica: hanno elementi comuni nella loro educazione e allenamento, pensano di essere gli attori del progresso nel loro campo, sono considerati, dall’esterno della loro comunità, come i responsabili di un certo obbiettivo, sentono la responsabilità di allevare dei successori, per poter assicurare la autoperpetuazione della comunità stessa. Le comunità scientifiche riconosciute hanno, al loro interno, una rete efficace di comunicazioni, che diventa molto debole per le comunicazioni con le altre comunità. Tentativi di comunicare con l’estero portano a incomprensioni, sospetti, quando non ad acerbi disaccordi. Una regola non scritta è quella di “non andare a zappare negli orti altrui”, proprio per evitare di dover ammettere, per reciprocità, incursioni “esterne”. Inoltre i membri di una comunità frequentano la stessa “letteratura”, cioè leggono le stesse riviste, vanno agli stessi congressi, presentano reazioni comuni e apprezzano gruppi di valori simili. I “dilettanti” o gli estranei, anche se si riconosce loro una certa abilità, vengono respinti e il “giovane” resta al di fuori della comunità fino a quando non riceva un ricono29 Un classico esempio di unificazione è quanto avvenne verso il 1820 quando, per opera di Oersted e di Ampère, si prese atto che magnetismo ed elettricismo erano solo due diversi aspetti di un unico fenomeno: altra unificazione fu quella dovuta a Maxwell tra luce e onde elettromagnetiche. 30 Non importa se il paradigma alligni in un altro campo dello scibile; l’importante è che alligni e sia, quindi, accettato e praticato. 58 Quaderno n. 4 - GMEE scimento internazionale o manifestazioni di stima da parte di un’altra comunità oppure venga cooptato da un riconosciuto membro della Comunità stessa. Questi aspetti di chiusura di una comunità verso il nuovo o il diverso sono compensati, almeno in parte, dalla necessità di proteggere e allevare i giovani adepti. Comunque il primo passo, per entrare in una data comunità scientifica, è un’adozione acritica del paradigma base, compreso il corpo di regole, comportamenti o regole e postulati da seguire. Questa forma di comunità come custode del paradigma è in fondo una forma di conservazione che potrebbe, in certe condizioni, impedire o rallentare il progresso della Scienza, a volte solo perché il postulato corrente è del tutto errato o sorpassato. Ad esempio, un paradigma di carattere generale, che era indubbiamente valido in determinate condizioni storiche o ambientali o sperimentali, può ridursi con il tempo ad essere solo un caso particolare 31. La storia della Scienza è tutta una raccolta di casi nei quali l’inesistenza di un paradigma o un paradigma non valido, la non appartenenza a una comunità o il credere a “idee” non accettate dalla comunità nella quale si vorrebbe entrare od operare, ha avuto conseguenze nefaste. Alcuni esempi, da Ohm (1789-1854) a Essen (1908-1997) passando per Wegener (1880-1930) e Giorgi (1871-1950), vengono accennati nelle prossime pagine. Dato il carattere discorsivo di questa nota, non esiste lo spazio necessario per illustrare correttamente i termini delle diatribe e delle contese (per le quali si fornirà, ove possibile, riferimenti bibliografici) e ci si limiterà ad alcuni aspetti esterni, anche umani. Un’avvertenza: l’uso del criterio del paradigma, o meglio il suo abuso, può essere non corretto o addirittura pericoloso, perché porta a semplificazioni e schematizzazioni che possono indurre a giudizi aprioristici o a troppo facili generalizzazioni, tipo “nemo propheta in patria”, il “genio” è sempre incompreso, esistono i baroni ... Alcuni casi celebri, vecchi e nuovi: paradigma “sbagliato” o inesistente È opportuno osservare, come premessa a questa sezione, che l’uso dei paradigmi è solo uno dei metodi per la valutazione di eventi complessi; la realtà ha numerose componenti, soprattutto quelle caratteriali, che sfuggono a una valutazione meccanica e analitica. Quanto esposto in questa sezione venga pertanto ritenuto solo come una possibile, e non unica, descrizione e interpretazione di vicende umane e scientifiche, che hanno ben più complesse motivazioni. Giorgio Simeone Ohm (1789-1854) Un paradigma corrente intorno al 1820 voleva che l’elettricità fosse unicamente un fatto superficiale; tutti gli esperimenti svolti erano di tipo elettrostatico, anche se era già stata inventata e usata la pila. Ohm, seguendo invece il modello di propagazione del calore entro un corpo che era stato proposto dal Fourier, riteneva invece che tutta la sezione del corpo, non solo la sua 31 Si consideri il caso di Ohm, esposto nel precedente capitolo. 4 - Paradigmi 59 natura o forma della superficie, avesse importanza. All’epoca i concetti di tensione e di corrente non erano ancora precisati, gli strumenti per misurare il passaggio e la quantità del “fluido” sarebbero arrivati verso il 1830-1840 e gli Elettricisti conoscevano bene la sola Elettrostatica. In queste condizioni Ohm dovette affrontare un paradigma errato, con tutta una serie di conseguenze: la sua legge, che poi divenne una delle basi della Elettrotecnica, non venne accettata, fu costretto a pubblicare il suo libro a sue spese, venne dichiarato per iscritto “pazzo furioso”, anche perché aveva un carattere difficile, venne espulso del sistema universitario e campò dando lezioni di Fisica, girando ramingo per la Germania, inseguito dalla voce di essere pazzo e inaffidabile. G.S. Ohm. Le sue ricerche sulla conducibilità dei diversi materiali lo portarono a stabilire la legge fondamentale che collega la tensione, la resistenza e la corrente in un circuito elettrico, cioè quella universalmente nota come “legge di Ohm” (Deutsches Museum, Monaco) Solo dopo alcuni riconoscimenti internazionali (come una medaglia dalla Royal Society e la chiamata all’Accademia delle Scienze di Torino, avvenuta nel 1841), ebbe l’agognata cattedra all’Università di Monaco, un paio di anni prima della morte. Nel caso di Ohm il problema nacque dal fatto che il paradigma imperante era quello elettrostatico. La classe accademica non era pronta ad accettare l’elettrotecnica, come si constatò per una cinquantina di anni, sino al 1870 circa, con un divario sempre più ampio tra la nuova industria elettrotecnica, che mieteva successi su scala globale (con il telegrafo, la generazione e il trasporto di energia) e l’Accademia che, salvo alcune eccezioni, non era in grado di spiegare i fenomeni e i fatti industriali. Solo dopo il 1870, per opera di fisici o ingegneri come Heaviside, Maxwell, Kelvin, Helmoltz, Mascart, Ferraris, Preece e di industriali accorti e collegati con la ricerca, come i fratelli Siemens [7], Wheatstone, Ayrton, si cominciò a colmare lo spazio che si era venuto a creare tra le realizzazioni dell’elettrotecnica e il supporto teorico 32 necessario per poter progettare razionalmente i nuovi oggetti. Corollario indispensabile fu, 32 Classico esempio è il trasformatore, la macchina statica e con rendimenti elevatissimi sulla quale si basa la distribuzione odierna dell’energia elettrica alternata. La macchina esisteva e veniva venduta con il nome di “generatore secondario”, prima che Galileo Ferraris, nel 1884, ne scrivesse le equazioni, indispensabili per un progetto razionale, e ne determinasse, con un elegante metodo calorimetrico, il rendimento. 60 Quaderno n. 4 - GMEE sempre in quegli anni, la nascita della Metrologia elettrica, spinta inizialmente dall’industria dei telegrafi 33 che stava diventando globale, in particolare per opera dei Siemens. Lo sviluppo e il ruolo del telegrafo, negli anni 1860-1895, fu tale da valergli oggi in nome di “victorian internet” 34. James Clerk Maxwell (1831-1879) Un caso invero curioso è quello di Maxwell, che per la portata e le conseguenze attuali del suo elettromagnetismo meriterebbe una migliore fama e conoscenza, anche presso l’uomo della strada. La descrizione elettromagnetica del mondo, l’unificazione tra luce, calore e onde elettromagnetiche, il coronamento e completamento dell’unificazione tra magnetismo ed elettricità, avviata da Oersted e Ampere, i contributi alla Metrologia sono tali che dovrebbero comportare una notorietà e rinomanza dell’ordine di quella di cui sono circondati Galileo e Newton. Una recente indagine tra studenti di ingegneria ha portato, invece, alla constatazione che l’opera di Maxwell è in buona parte ignota, salvo che agli studenti di ingegneria elettronica. Nella seconda metà dell’Ottocento, mentre i contributi di Maxwell metrologo erano ben noti tra i colleghi europei, il suo Trattato di Elettromagnetismo non era parimenti noto e apprezzato tra i Fisici delle altre Nazioni. Questa resistenza era dovuta al fatto che, in particolare nella Francia di cultura cartesiana, l’approccio di Maxwell era considerato dionisiaco e la presentazione delle equazioni, senza una dimostrazione formale ma seguendo criteri di bellezza e simmetria, era considerata un approccio assurdo e non degno di un Fisico. Il giudizio non migliorava quando si scopriva che il Nostro scriveva poesie e traduceva in inglese i classici latini, in particolare Orazio 35. Disturbava, inoltre, la sua profonda religiosità quando sosteneva che, da una parte, le molecole e, dall’altra, l’accuratezza nella misurazione, la verità degli enunciati e la giustizia nell’agire, sono “costituenti essenziali dell’immagine di Colui che all’inizio creò non solo il cielo e la terra ma anche tutti i materiali di cui cielo e terra sono costituiti” 36. Le sue equazioni descrivevano una realtà possibile, funzionavano, ma non erano state dimostrate. Analoghe le reazioni tra i Fisici italiani, nel senso che per alcuni decenni le equazioni, con il loro formalismo e, soprattutto, con le loro implicazioni, non vennero insegnate. Contraria fu l’accoglienza degli ingegneri italiani, in particolare per l’opera di Galileo Ferraris; semplici derivazioni delle equazioni di Maxwell si trovano nel progetto di dinamo e motori. 33 Nel 1875, quando nacque l’Unione Internazionale di Telegrafia (ora UIT, Unione Internazionale delle Telecomunicazioni) con sede a Berna, si contavano non meno di 32 diverse unità di resistenza elettrica, grandezza necessaria per il progetto delle linee telegrafiche, che in quegli anni coprirono letteralmente il mondo e attraversarono gli oceani. 34 Uno studio comparato tra lo sviluppo del telegrafo e quello di internet sarebbe pieno di sorprese, nel senso che i fenomeni che accompagnarono questi due sviluppi, distanti di loro almeno un secolo e mezzo, sono spesso analoghi. 35 Gli aspri critici francesi ignoravano, probabilmente, la vena poetica di Ampère e la sua ottima e vasta cultura, come quella dei fisici Biot e Savart. 36 J.Maxwell: A discorse on molecules, Philosophical Magazine, n. 46, p. 456-459, 1871. 4 - Paradigmi 61 Il mancato riconoscimento di Maxwell in Europa, che comunque avvenne nel suo Paese37,38, è dovuto al fatto che vigeva il paradigma che richiedeva una rigorosa derivazione fisico-matematica, al limite senza esercizi o disegni a titolo di esempio39, per ogni dimostrazione e derivazione analitica, abolendo ragionamenti di similitudini e analogie. I passi dovevano essere: equazione di un modello fisico, sviluppo analitico e risultato. James Prescott Joule (1818-1889) La vicenda di Joule non ha spunti particolari, salvo la continua e impellente tensione di misurare il rendimento di alcune semplici macchine elettriche, come gli elettromagneti 40. Noto è il suo metodo: da una parte misurare il lavoro prodotto, misurando la massa sollevata da un elettromagnete, la corsa e il tempo, far funzionare l’elettromagnete entro un calorimetro ad acqua, valutare il rendimento dei calorimetri ad acqua, tarati dissipando nel loro interno un lavoro noto (tramite la discesa, in un certo intervallo di tempo, di un peso che azionava un agitatore con delle palette entro l’acqua del calorimetro) e valutando, infine, l’energia elettrica consumata dalla diminuzione di peso degli elettrodi delle pile usate per alimentare gli elettromagneti. Joule non disponeva di amperometri, che furono inventati e resi pratici vent’anni dopo, e nemmeno di voltmetri. La sua determinazione dell’equivalente meccanico della caloria ha del meraviglioso. Joule operava all’esterno di ambienti accademici e di ricerca e la sua opera, pur ripetutamente presentata nell’ambito di riunioni, rimase in pratica inosservata per una decina di anni, finché Maxwell, convinto sia del metodo e ancor più dall’accuratezza delle investigazioni, agì da manlevatore, garantendo in qualche modo che Joule era una persona seria. Quindi l’“anticamera” di Joule durò una decina di anni. Il caso di Joule si inquadra in una delle modalità viste, che vogliono che chi operi al di fuori della comunità di pertinenza di una disciplina e sia un “dilettante” non venga riconosciuto e “ammesso”, se non abbia conseguito importanti risultati, valutati positivamente da altre comunità o da un riconosciuto “esperto” della Comunità (nella fattispecie da Maxwell), i cui meriti e capacità fossero ampiamente noti. Ludwig E. Boltzmann (1844-1906) Esistono un paio di recenti libri [8, 9] del Prof. Cercignani del Politecnico di Milano, nei quali le vicende scientifiche e umane di Boltzmann vengono considerate nell’ambito della Fisica al giro del secolo e sono anche trattate con una simpatia personale, che Boltzmann si merita. Nessuno, oggi, mette in dubbio l’importanza che Boltzmann ebbe nel passaggio dalla Fisica classica a quella moderna, con nuove quantità e concetti che si affollavano, come atomo, elettrone, entropia, meccanica statistica. Di questa opinione non erano i Fisici ufficiali coevi, che non si spinsero oltre un apprezzamento formale per le attività innovatrici di Boltzmann e per il suo impegno di didatta e ricercatore. 37 Nel 1871, mentre aveva 40 anni ed era già in pensione, venne chiamato a Cambridge e gli fu affidata la costituzione del Cavendish Laboratory. Maxwell, come Galileo Ferraris, mancò a meno di 50 anni. 39 Un caso classico di questo rigore è il torinese Lagrange che osserva, nella prefazione del suo libro: “Qualcheduno avrà notato (si tratta di un testo di Meccanica Razionale) che in questo libro non ci sono disegni…”. 40 Inizialmente aveva cercato di misurare il rendimento di motori in corrente continua, costituiti da dinamo alimentate da altre dinamo, ma le difficoltà sperimentali lo costrinsero a ripiegare sugli elettromagneti. 38 62 Quaderno n. 4 - GMEE Di questo mancato riconoscimento si fece un cruccio il fisico austriaco, che invece era ben cosciente della portata delle sue idee e metodi, e questo lo portò a isolarsi sempre più e, forse, contribuì alla tragica decisione di togliersi la vita durante una vacanza a Duino, vicino a Trieste, nel 1906. Nel caso di Boltzmann, ci troviamo ancora dinanzi a un conflitto tra modi diversi di concepire la Fisica, con la maggioranza dei Fisici non ancora pronta ad accettare l’esistenza dell’atomo, usato al più come interessante modello, mentre egli vi credeva fortemente e ne percepiva non solo la presenza: nel suo spirito si imponevano le nuove relazioni tra atomi, temperatura, energia, statistica, probabilità, tutti concetti e quantità che non esistevano ancora nei paradigmi della maggioranza dei fisici suoi contemporanei. Alfred Wegener (1880-1930) Wegener era un rispettato meteorologo tedesco che, negli anni ’20, cominciò a far circolare la sua idea di una pangea, un unico continente primordiale 41 dal quale si erano staccate delle zolle che, galleggiando sugli strati pastosi, ma sempre liquidi, esistenti nell’interno della Terra, avevano cominciato a migrare come macro zolle continentali. Wegener si basava sulla conformazione dei continenti, con la parte meridionale del continente americano che si adatta nel golfo di Guinea e con la continuità della litologia e delle conformazioni rocciose sulle due zolle, ora separate da oceani, con l’esistenza di reperti di carattere botanico (miniere di carbone) in zone artiche, ecc. L’ipotesi, che spiegava anche i corrugamenti della crosta (cioè le montagne) e i fenomeni vulcanici, venne rigettata per una trentina d’anni 42, mentre si chiedevano delle verifiche sperimentali, poi giunte in abbondanza in paleoclimatologia, geofisica e geologia. La deriva dei continenti, oggi, non è solo accettata ma oggetto di verifiche sperimentali e di misurazioni che danno il vettore velocità relativa di una zolla continentale rispetto a un’altra, con risoluzione angolare di qualche grado per la direzione e con incertezza di qualche millimetro all’anno per il modulo. Non solo: nel punto di unione, sotto il mare, tra due zolle che si allontanano compare lava in ebollizione. La velocità relativa dei continenti è misurata da trent’anni con mezzi radioelettrici, impiegando quattro metodologie diverse, ma tutte basate su orologi atomici. Inizialmente si usarono determinazioni della posizione di punti a terra, con un metodo basato sull’intersezione di tre o più iperboloidi, individuati da posizioni successive dei satelliti americani TRANSIT o TSIKADA russi, in orbita polare. L’incertezza era di 4-5 centimetri. Si usarono, poi, altri due metodi: uno di un localizzazione sferica 43, basato su sa41 La Pangea era costituita da masse praticamente granitiche (Sial: Silicio-Alluminio) che galleggiavano su un involucro basaltico (Sima: Silicio-Magnesio). L’unica massa iniziale si era disgregata e i frammenti avevano cominciato a migrare. 42 Ad esempio, il suo testo fondamentale Die Enstebung der Continente und Ozeane del 1915 venne tradotto in italiano come “La formazione dei continenti e degli oceani” solo nel 1964. 43 Le coordinate del punto sono ottenute come l’intersezione di tre sfere aventi il centro nel baricentro istantaneo di un satellite e raggio determinato come tempo di propagazione di un segnale di tempo tra un orologio atomico posto sul satellite e un altro orologio posto a Terra. Nella realizzazione sperimentale, ormai diffusissima (alcuni milioni di ricevitori all’anno), per evitare di dotare ogni ricevitore di un orologio atomico e di adeguati sistemi di sincronizzazione si usano quattro satelliti, che devono essere tutti visibili dal ricevitore. Con un semplicissimo algoritmo (il teorema di Pitagora) ma con una complicatissima tecnica elettronica (oggi disponibile in un chip) si sincronizza un orologio piezoelettrico, che può essere di infima qualità, contenuto entro il ricevitore, in modo da misurare il tempo di propagazione. Gli orologi di tutti i satelliti devono essere mantenuti sincronizzati tra loro, con scarti dell’ordine di pochi nanosecondi. 4 - Paradigmi 63 telliti tipo GPS, e l’altro interferometrico 44, basato sui segnali di radiostelle, con incertezze residue del centimetro. Il quarto metodo richiede la disponibilità di speciali satelliti 45, muniti di retroriflettori, interrogati da Terra da stazioni laser poste in punti stabili. In questo caso la risoluzione nella velocità dei continenti scende al millimetro all’anno. Wegener morì incidentalmente nel 1930, durante la sua terza attraversata con gli sci della Groenlandia, ove si era recato per raccogliere dati meteorologici; il suo corpo fu ritrovato nel 1931. Il caso di Wegener è imputabile alla difficile intercomunicabilità tra comunità scientifiche diverse e a diffidenze reciproche, quindi al fatto che un meteorologo osasse pronunciarsi su problemi di orogenesi e di geofisica: cosa volete che ne capisca uno che ha, per definizione, la testa nelle nuvole? Giovanni Giorgi (1871-1950) Giovanni Giorgi era un giovane ingegnere elettrotecnico di Roma quando iniziò una critica sistematica al sistema di misura cgs (centimetro-grammo-secondo), sostenendone non l’impossibilità, ma la macchinosità e le numerose incongruenze che i due sistemi cgs in vigore, quello elettrostatico e quello numerico, comportavano nell’Elettrotecnica. Giorgi propose sino dal 1897, anche in sede internazionale, il ritorno alle unità del sistema metrico decimale, metro-kilogrammo-secondo, con l’inserimento di una quarta grandezza fondamentale di tipo elettrico (non importava quale) e usando come punto di unione tra i due mondi, quello meccanico e quello elettrico, il concetto e la misurazione di una potenza o di un lavoro. La potenza generata o assorbita in un processo doveva essere la stessa, usando unità elettriche o meccaniche. L’opposizione alla proposta fu vivacissima, in particolare in Inghilterra, e durò in pratica mezzo secolo, sino all’adozione della proposta di Giorgi, nel 1938, da parte della International Electrotechnical Commission e, nel 1950, da parte della Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure. Su questa vicenda esiste un’ampia e recente documentazione, con gli Atti di un convegno del 1988, tenuto presso il Politecnico di Torino e organizzato da C. Egidi [10], una nota [11], gli Atti di un convegno organizzato presso l’Istituto della Enciclopedia italiana da Salvo d’Agostino e Arcangelo Rossi, nel 2001, sulla “Figura di Giovanni Giorgi Ingegnere e Scienziato” e gli Atti di un convegno [12] organizzato da L. Callegaro presso l’Istituto Elettrotecnico Nazionale, nel 2001. Nel caso di Giorgi, si tratta prevalentemente di un problema di resistenze mentali e, in particolare, della difficoltà di abbandonare un paradigma, che era onusto di glorie, dalla fisica dell’universo alla motrice a vapore, ma voleva che per interpretare e modellizzare qualsiasi fenomeno, compreso l’elettromagnetismo applicato, fosse sufficiente la sola descrizione meccanica. 44 Il metodo, chiamato VLBI, Very Large Base Interpherometry, si basa sulla misura, in due punti fissi a Terra, della differenza tra i tempi di arrivo di uno stesso impulso del rumore radioelettrico proveniente dalla radiostella. Sono necessari orologi atomici, con stabilità dell’ordine di 10-15/ ora. 45 I satelliti sono di tipo passivo, di forma sferica e costellati di catadiottri (da decine a centinaia), che riflettono l’impulso luminoso ricevuto nella direzione di provenienza. Con un orologio atomico si determina il tempo totale di volo e, di conseguenza, la distanza satellite-stazione. Satelliti di questo tipo sono il francese STARLETTE, con 22 cm di diametro, e circa 40 retroriflettori, o il LAGEOS2 (LAser GEOdetic Satellite, costruito a Torino, con un diametro alquanto inferiore a mezzo metro, massa di circa 400 kg e costellato da 428 retroriflettori). 64 Quaderno n. 4 - GMEE Louis Essen (1908-1997) Louis Essen era un brillante fisico inglese sperimentale, che svolse tutta la sua attività di ricerca presso il National Physical Laboratory, il laboratorio metrologico inglese. A lui è dovuta la misura della velocità della luce, effettuata con metodi radioelettrici (frequenza di risonanza di cavità e interferometria in microonda); il valore numerico da lui trovato si è oggi trasformato in una costante fondamentale. Infatti c = 299 792 458,000… m/s è divenuto nel 1983 una costante fondamentale 46. Essen, poi, costruì il primo orologio atomico, basato su una risonanza dell’atomo di cesio e, in particolare, sulla differenza di energia tra due determinati livelli iperfini del Cesio 133. Essen riuscì, con una serie di brillanti esperimenti, a determinare la frequenza di 9 192 631 770 Hz, esprimendo con dieci cifre la frequenza dell’onda elettromagnetica irradiata. Essen, d’altra parte, pur rispettando le conclusioni della Relatività Generale, riteneva superfluo scomodare la relatività ristretta per numerosi fenomeni della Fisica, come l’effetto Sagnac o il paradosso dei gemelli. Questa posizione, che alcuni fisici contemporanei condividono, era conclamata a viva voce da Essen, che venne formalmente redarguito dalla Royal Society e, soprattutto, dal suo Ente, sulla cui pagina 47 si legge testualmente: “He retired in 1972 after being quietly warned not to continue contradiction of Einstein’s law of relativity” Nel caso di Essen non bastarono i risultati scientifici e i riconoscimenti internazionali; aveva messo in dubbio una teoria universalmente accettata e, quindi, era in errore. Il caso dei nuovi strumenti Anche per la nascita di nuovi strumenti è opportuna, se non necessaria, l’esistenza di un paradigma. Notevole è il caso, già visto in una nota, del barometro e del termometro. I due strumenti: sono nati nella stessa città (Firenze), sono comparsi insieme (circa nel 1650 -1660), furono costruiti, usati e descritti dallo stesso gruppo di persone (Borelli, Torricelli, Viviani, gli ultimi collaboratori di Galilei), furono materialmente “soffiati” dallo stesso vetraio (opportunamente soprannominato “il gonfia”). Il Barometro fu compreso e usato subito correttamente. Il paradigma fu offerto da Torricelli: lo strumento misura il peso dell’aria sul fondo del grande oceano d’aria nel quale viviamo; se andiamo in montagna, la colonnina deve scendere. Per il Termometro non esisteva un paradigma al quale riferirsi e fu necessario almeno un quarto di millennio per comprendere appieno il significato delle sue indicazioni, con la morte del calorico, descritto come un fluido impalpabile e presente in certi testi di Fisica per Istituti Superiori sino al 1920. In numerosi casi, non tanto per l’ideazione e la formulazione di nuove leggi fisiche ma per il terzo ruolo, l’ affermazione di una legge o di un principio, essenziale è il contributo degli strumenti, perché solo loro: 46 Non sembri una pignoleria da metrologhi, ma la assunzione di c a costante fondamentale comporta che c sia un valore “esatto” e quindi si debba pensare che a destra della virgola il numero degli zeri sia infinito. http://www.npl.co.uk/about/famous_names/louis_essen.html 47 4 - Paradigmi 65 consentono di ideare un modello del fenomeno, aiutano a ideare metodi di verifica, consentono di progettare strumenti, dei quali aiutano a redigere il bilancio degli errori, permettono di convalidare nuove teorie, mettendo in evidenza effetti collaterali, facendo scoprire altri fenomeni, cambiano di ruolo, seguendo gli sviluppi o le necessità della Fisica 48. Ringraziamenti Questo articolo è stato pubblicato sul “Giornale di Fisica”, pubblicazione della Società Italiana di Fisica (SIF). L’editore ringrazia la SIF e, in particolare, Carmen Vasini, che ha aiutato a realizzare l’iniziativa di divulgazione del testo tra le aziende tramite la rivista “Tutto_Misure”, per avere autorizzato la ristampa. Riferimenti bibliografici [1] Popper K.R.: The Logic of Scientific Discovery, Hutchinson, London, 1959 e Scienza e Filosofia, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1991. Questo libro del Popper è del 1969. [2] Kuhn T.S.: The Structure of Scientific Revolutions, University of Chicago Press, Chicago, 1977; questo libro è disponibile anche in italiano (La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1969). [3] Kuhn T.S.: The Copernican Revolution, Harvard University Press, Cambridge, 1957; il libro è disponibile in italiano (La rivoluzione Copernicana, Einaudi, Torino, 1972). [4] Kuhn T.S.: The essential tension, University of Chicago Press, Chicago, 1977. [5] Kuhn T.S., Layton J.T. e Weinga P.: The Dynamics of Science and Technology, Reidel, Dordrecht, 1978. [6] Casti J. L.: Paradigms lost, Avon Books, New York, 1989. [7[ Feldenkirchen W.: Werner von Siemens, Ohio State University Press. Columbus, 1994. [8] Cercignani C.: Ludwig Boltzmann, the Man who Trusted Atoms, Oxford University Press, Oxford, 1998. [9] Cercignani C.: Ludwig Boltzmann e la Meccanica Statistica, La Goliardica, Pavia, 1999. [10] Egidi C. (a cura di): Atti del convegno “Giovanni Giorgi and his contribution to Electrical Metrology, Politecnico di Torino, 1988. [11] Leschiutta S.: Giovanni Giorgi metrologo nel dibattito metrologico internazionale. Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2005, da pag. 371 a pag. 386 degli Atti di un convegno organizzato su Giorgi da quell’Istituto. [12] Callegaro L. (a cura di): 1901-2002 – Giovanni Giorgi: Verso l’Elettrotecnica Moderna, Clut, Torino, 2003. 48 La misurazione della velocità del suono è un interessante caso; dopo la misura di una proprietà della Fisica, è stato necessario un “attrezzo” per capire la differenza tra i calori specifici a volume costante e a pressione costante; ora la misurazione viene usata per la determinazione di R, la costante dei gas. 66 Quaderno n. 4 - GMEE L’uso della rana come rivelatore elettrico ed elettromagnetico Ecatombe di rane In Europa ci fu una vera ecatombe di rane, per scopi non culinari ma scientifici, per oltre un secolo, dal 1780 sino verso il 1920, quando si verificarono gli ultimi usi documentati di rane come rivelatori di grandezze elettriche. Ecatombi per scopi culinari si svolgono ancora imperterrite, al punto che si trovano sacchetti di rane preparate e surgelate nel supermercati. SILE, memore degli alti ruoli avuti dalla rana per la nascita dell’elettricismo, si è sempre rifiutato di cibarsene. Una rana, di fresco preparata, come raccomandava Alessandro Volta, è infatti un rivelatore di cariche elettriche e di campi sia elettrici sia elettromagnetici di spettacolosa sensibilità. Questa nota, a cavallo tra fisiologia, elettrotecnica e radiotecnica, coprirà due punti: quale è la sensibilità media di una rana, espressa in microcoulomb o in nanojoules; un uso documentato della rana come rivelatore di segnali elettromagnetici, nella fattispecie i segnali di tempo campione emessi dalla stazione inglese a onda miriametrica GBR, a 16 kHz 49, posta a Rugby e da un radiotrasmettitore francese la cui antenna faceva capo alla cima delle Torre Eiffel. Preparare la rana Per la preparazione della rana, sarebbe d’obbligo ricorrere a Luigi Galvani e Alessandro Volta, ma non si vuole turbare verdi e animalisti, ghiotti magari di risotto alle rane. Esiste comunque una tecnica, tuttora ampiamente usata in fisiologia, che consente di preparare una rana agli usi elettrici, senza farla (troppo) soffrire. La rana viene preferita ad altri animali, per la facile reperibilità, il costo ridottissimo e il fatto che, essendo un animale a sangue freddo, resta a lungo reattiva, pur essendo clinicamente morta. La sensibilità della rana, chiamando in questo modo la manifestazione di contrazioni percepibili, diminuisce con il tempo trascorso dalla morte dell’animale e con il numero di eccitazioni, ma comunque è possibile effettuare esperimenti su di essa per alcune ore. Ecco perché Volta raccomanda che la rana sia “di fresco preparata”. Sensibilità della rana Per valutare la sensibilità della rana, come rivelatore di cariche elettriche, si possono seguire due strade: una sperimentale, scaricando un condensatore di capacità nota e caricato a una certa tensione e verificando le contrazioni indotte; l’altra di carattere elettrofisiologico. Altra variabile importante sono i “morsetti di entrata”, cioè i punti attraverso i quali si fa passare la corrente o si applica la scarica, in particolare se attraverso un nervo o un muscolo. I valori indicati non dipendono tanto dalle dimensioni e dal tipo di animale, perché l’ordine di grandezza è lo stesso sia in un uomo, in una cavia o nel nostro batrace, dato che dipende dalla fisiologia della cellula. Per ottenere contrazioni notevoli, una corrente dell’ordine di circa 10-20 mA deve essere applicata per 100-300 μs, su un tronco nervoso, il che comporta trasferire una carica dell’ordine di 200 picocoulomb (simbolo pC). Se la carica è iniettata, invece, su una fibra muscolosa, sono necessari 1-2 μC; tutti i lettori di questo quaderno sanno che una 49 Questi segnali sono tuttora emessi, alle ore 00, 03, 06, ecc. di Tempo Universale. L’intensità di campo a Torino, misurata da SILE usando un’antenna a telaio campione, è ragguardevole, dell’ordine di 1,2 mV/m. 4 - Paradigmi 67 carica di 200 pC è quella immagazzinata in un condensatore da 100 pF caricato con una tensione di un paio di volt. Il confronto della sensibilità della rana rispetto a quella degli strumenti misuratori di corrente preoccupò gli elettricisti-fisiologi alla fine della prima metà dell’Ottocento. In particolare Carlo Matteucci, un bravo fisico risorgimentale, molto stimato da Faraday, istituì un confronto sistematico tra i due rivelatori, la rana e il galvanometro astatico del Nobili, quello che fu usato a Milano dal prof. Magrini, nel 1844, per validare la legge di Ohm. La rana in radiotecnica Per usare la rana come rivelatore in radioricevitori per segnali telegrafici, vennero compiuti esperimenti in Inghilterra e in Francia, debitamente descritti in letteratura, in particolare in un libro 50 comparso nel 1980. La sensibilità della rana, come per gli altri tipi di rivelatori usati nei primi due decenni della radiotecnica, veniva data come l’energia necessaria all’animale per rilevare un punto del codice Morse. Usando questo criterio di misura, per i dispositivi usati sino agli anni trenta, in letteratura si trovano i seguenti valori: Tipo di rivelatore Coesore di Calzecchi-Onesti e varianti Elettrochimico-elettrolitico Rana Silicio Rivelatore con isteresi magnetica (Marconi) Barretta (bolometro con filo caldo) Carborundum “Sensibilità” Energia/ punto (codice morse) circa 20 nJ da 40 a 300 nJ attorno 100 nJ da 40 a 400 pJ circa 10 nJ circa 10 nJ da 900 pJ a 15 nJ I valori in tabella siano valutati unicamente come indicativi, perché frutto di conversioni e di valutazioni comparative; essi, comunque, rispecchiano la situazione di un secolo or sono. 50 V.J. Phillips: Early Radio Wave Detectors, Peter Peregrinus Ltd Stevenhave, UK. Il libro appartiene alla serie History of Technology, promossa dalla Institution of Electrical Engineers inglese. 68 Quaderno n. 4 - GMEE Elettrotecnica, Elettronica e Telecomunicazioni: breve storia dello sviluppo a Torino Condizioni per lo sviluppo Un armonioso sviluppo di una scienza e di una tecnologia, specie se “nuove” o semplicemente non ancora esistenti in un luogo, comporta la necessaria presenza e sinergia di numerose componenti: uno stimolo “esterno”, interessi industriali, disponibilità di manodopera esperta o almeno volonterosa, disponibilità di energia, condizioni favorevoli di mercato, laboratori qualificati per ricerche e prove, sistema scolastico adeguato e flessibile, intese e accordi tra le varie componenti di una società tendenti a un unico fine e, quindi, una presenza o imposizione di pace sociale. Altra condizione necessaria è l’esistenza di una classe politica illuminata. Ove queste condizioni non sussistano o non vengano perseguite, le cose non funzionano. Le storie della tecnologia e dello sviluppo, anche sociale, sono piene di fallimenti: è inutile importare una nuova tecnologia, che funziona benissimo altrove, ove non esista in sede un coacervo di disponibilità e, soprattutto, non siano disponibili uomini capaci e responsabili nei vari settori, pienamente convinti di dover cooperare. Questo insieme di condizioni si verificò a Torino, in alcune occasioni e segnatamente per la meccanica, l’elettrotecnica, l’elettronica e le telecomunicazioni. Le tre parole elettriche Definiamo innanzi tutto, ed è forse opportuno, le tre parole “elettriche”. L’Elettrotecnica raccoglie in sé tutte le innumerevoli applicazioni dell’Elettricità, condotta e costretta a operare da un filo elettrico. Il motorino d’avviamento di un’automobile, un phon, una lavastoviglie, l’apriporta, una lampadina, un tramway o la locomotiva di un elettrotreno sono tutte applicazioni dell’elettrotecnica, progettate da ingegneri elettrotecnici che devono disporre di adeguati laboratori, completi di sistemi di misura. In molte altre applicazioni, come un calcolatore elettronico, il registratore magnetico, un videocitofono o l’amplificatore ad alta fedeltà, gli elettroni, le cariche elementari dell’elettricità non fluiscono lungo dei fili ma si propagano entro un materiale, il semiconduttore, o lo spazio vuoto di taluni dispositivi, come le vecchie valvole o i tubi che equipaggiavano un calcolatore o un televisore. Abbiamo ora l’elettronica e qui per il progetto sono necessari gli ingegneri elettronici. Nelle telecomunicazioni la grandezza che viaggia non è l’energia elettrica, o gli elettroni, ma direttamente un’informazione, di qualunque tipo: un suono, un numero, un orogramma di calcolo, una immagine. Il passaggio è sottile ma ha conseguenze e applicazioni rivoluzionarie: il cosiddetto “telefonino”, il telefax, il commercio elettronico con le carte di credito, internet, sono tutte applicazioni delle telecomunicazioni e dell’informatica. Naturalmente non esistono separazioni nette, perché molti oggetti, che troviamo nella vita quotidiana, sono a un tempo elettromeccanici, elettronici e informatici. Un primo esempio: i moderni frigoriferi domestici, per fare freddo, hanno bisogno di motori elettrici; le nozioni di temperatura, l’umidità e il peso, la quantità e qualità di talune derrate 4 - Paradigmi 69 si basano su sensori elettronici o lettori di etichette (i codici a barre, che vediamo nei supermercati) e la macchina può essere collegata a un deposito per i necessari rifornimenti. Altro esempio è quello dei distributori di carburante, con motori che pompano il fluido, calcolatori per ricavare il costo, un lettore di carte magnetiche e una connessione informatica di telecomunicazioni con il gestore dell’impianto o con una banca posta in un altro luogo. Sono stati sviluppati questi due esempi per far capire: la pervasività delle applicazioni dell’elettricità; la varietà delle tecnologie coinvolte e, quindi, delle competenze necessarie; l’imprescindibile disponibilità di centri di ricerca e di un sistema scolastico flessibile e aggiornato nonché di persone di riconosciute competenze e onestà. Non guasta l’incombenza di un problema comune da risolvere, intorno al quale si crei una “cospirazione” di intenti. La “cospirazione” a Torino Esempio “elettrotecnico” torinese: l’esperto di fama mondiale è Galileo Ferraris; il periodo è 1870-1910; lo stimolo comune era come superare il trauma della perdita del ruolo di capitale; la scuola d’elettrotecnica e il laboratorio erano presso il Regio Museo Industriale. Esistevano due percezioni diffuse: la disponibilità d’energia, necessaria per favorire lo sviluppo industriale, orientata verso fonti d’energia “piccole” e modulabili per azionare la piccola macchina utensile dell’artigiano (la fabbrica comprava una motrice a vapore o si trasferiva allo sbocco delle valli alpine, per cercare energia idraulica). Altro problema da risolvere era l’illuminazione della città: per fortuna esistevano sindaci illuminati e una certa disponibilità economica lasciata alla città dal governo come indennizzo, poiché si trasferiva con tutti gli impiegati statali. Non era tutto rose e concordia: furono commessi degli errori (il canale fallito della Ceronda, la pazzia di sollevare con pompe a vapore l’acqua del Po per alimentare i canali, la scelta dei tram alimentati con accumulatori, nonostante gli avvertimenti del Ferraris, assessore comunale…), ma esisteva una cospirazione generale e una volontà di voler risolvere i problemi. Un secondo esempio, con l’elettrotecnica ormai adulta e l’elettronica che nasce. L’esperto, in questo caso, è Giancarlo Vallauri e lo stimolo era la nascita e l’affermarsi delle applicazioni chiamate delle correnti deboli, come la telefonia a distanza, la radiotecnica, la radiofonia che diventa un fatto sociale, le radiocomunicazioni e i primi strumenti elettronici. Gli anni sono il periodo 1930-1960; gli Istituti di ricerca sono l’Istituto Elettrotecnico Nazionale (IEN) Galileo Ferraris, che nasce nel 1934, e il Centro di Ricerca della RAI, nato attorno al 1950. Gli insegnamenti specializzati erano offerti dai corsi di perfezionamento svolti dal Politecnico e dall’IEN, seguiti sino al 1980 da tutti i tecnici delle società telefoniche italiane. Le risorse erano assicurate, nel periodo prebellico, da una tassa di un centesimo di lira per ogni kilowattora d’energia elettrica consumata; le sinergie tra la varie componenti, accademica, industriale e istituzionale, erano assicurate dal Vallauri, che fu a un tempo presidente dell’EIAR-Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, presidente della SIPSocietà Idroelettrica Piemonte, presidente dell’IEN e, per un certo periodo, presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, nonché Ammiraglio della Marina e Direttore del Politecnico. 70 Quaderno n. 4 - GMEE Vallauri, tra l’altro, riuscì a raccogliere a Torino, presso il Politecnico e l’IEN, i migliori ricercatori elettrici italiani del momento, come Fubini (che poi divenne vicepresidente dell’IBM e consigliere scientifico di Kennedy), Sacerdote (un mago dell’Acustica), Pestarini (l’inventore della “metadinamo”, una macchina per la trazione elettrica, tuttora usata nella metropolitana di Londra) e tanti altri. I tempi consentivano, infatti, di chiamare e attirare i talenti disponibili e trattenerli con contratti a termine di breve durata, che venivano rinegoziati alla scadenza, anche dopo solo tre mesi. Una prassi del genere sarebbe oggi inconcepibile. Un esempio, infine, per telecomunicazioni e informatica. In questo caso si possono fare solo due nomi, perché molti protagonisti sono tuttora attivi. I nomi sono quelli di Mario Boella e Rinaldo Sartori, entrambi professori del Politecnico e attivi presso l’IEN, dal quale Sartori fu Direttore e Presidente. Boella curò l’elettromagnetismo sia come disciplina sia come applicazioni; Sartori l’impostazione teorica dell’informatica e la disciplina dei calcolatori. Le sfide di questo periodo, che va dal 1960 alla fine del secolo scorso, sono numerose: da una parte, lo sviluppo del radar, della televisione e del calcolatore elettronico; dall’altra, la nascita dei semiconduttori e della microelettronica, con i circuiti integrati e le applicazioni di massa dell’elettronica. Una delle forme d’azione degli Enti di ricerca torinesi e del Politecnico è stata quella di supporto scientifico a Ditte impegnate nei calcolatori elettronici, come la Olivetti. Alcune applicazioni lasciarono Torino nell’immediato dopoguerra, come la telefonia, che si trasferì a Roma, come fondazione Bordoni: con essa se ne andò una forma automatica di finanziamento delle ricerche telefoniche, legata al numero delle telefonate fatte in Italia. Al Politecnico rimase il compito di inventare e praticare profili formativi innovativi per i nuovi tipi d’ingegneri informatici e delle telecomunicazioni creando, in alcuni casi, percorsi interdisciplinari. Alcune forme della cultura “elettrica” rimasero affidate all’IEN e a un nuovo laboratorio di ricerca, lo CSELT, il Centro Studi ed Esperienze per le Telecomunicazioni; l’IEN, nel nuovo contesto, non poteva coprire tutte le discipline elettriche, come avveniva attorno alla metà del secolo, e fu costretto a presidiare alcune aree, come le misure elettriche e i materiali speciali per l’Elettrotecnica; anche il Centro di Ricerche della RAI ha visto ridimensionate le sue attività. Oggi e domani in Torino Alla fine del secolo, la situazione è ancora cambiata e forse più difficile, perché CSELT, Centro Ricerche RAI e Olivetti hanno mutato struttura e compiti. Una possibile risposta viene dall’acuta e diffusa consapevolezza che il declino della città di Torino, non più sostenuta da attività manifatturiere di massa e ormai inserita in un momento di forte competizione scientifica e tecnologica su scala globale, non possa essere contrastato senza una forte innovazione scientifica e tecnologica, come invece avvenne nel 1870 quando il Municipio di Torino comprava negli Stati Uniti la moderna strumentazione elettrica da usare nel laboratorio di Galileo Ferraris per creare “buoni” ingegneri elettrotecnici. In questa linea stanno nascendo, con il concorso del Politecnico di Torino e delle Fondazioni bancarie cittadine e con il sostegno del Governo Nazionale e Regionale, ini- 4 - Paradigmi 71 ziative di stimolo, come Torino International, l’Istituto Superiore Mario Boella e l’Internazional Communication Technology. Altra forma di rilancio e d’ammodernamento scientifico, perseguita da IEN e Politecnico, consiste nella partecipazione a gare comunitarie, molto competitive ma altrettanto qualificanti, in particolare nel settore spaziale. Dal dicembre 2003 l’Istituto Boella ha sede nelle ex Tornerie ferroviarie di Torino ristrutturate, con una superficie di 4000 m² destinata a laboratori e uffici. Il Governo, infine, ha voluto unificare, nell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM), l’IEN e l’Istituto di Metrologia “G. Colonnetti” del CNR, entrambi già con sede (confinante) in Torino: è un atto di grande interesse nazionale e un’opportunità di crescita che non deve andare perduta. 72 Quaderno n. 4 - GMEE La nascita difficile delle misure elettriche È nozione comune che, quando nasce una Scienza (e così avvenne anche per l’Elettricità, tra fine ’700 e inizio ’800), le Misure sono necessarie per sceverare la teoria che consentirà comprensione e applicazioni tra tutte le varie teorie concorrenti. Il passo è difficile, complicato e oscuro, in particolare quando non si conosca ancora cosa e perché misurare, pur sapendo che c’è certamente qualche cosa da scoprire. Esiste, nella storia delle misure, un interessante esempio: quello del termometro, il cui travaglio fu doloroso e durò due secoli e mezzo. Gli elettricisti non devono troppo lamentarsi, perché l’analogo travaglio (cosa misurasse l’elettrometro) durò solo un secolo. Quando si scopre un nuovo strumento o una nuova grandezza, le cose vanno subito bene se esiste un paradigma ideale, una serie di regole nel quale incasellare le misure. Altrimenti sono dolori. Consideriamo allora due strumenti, barometro e termometro, nati negli stessi anni, attorno al 1650, nella stessa città, Firenze, ad opera delle stesse persone, gli accademici del Cimento. Il primo venne usato subito con profitto. Torricelli fornì il paradigma d’uso: lo strumento misura il peso dell’aria in fondo al grande oceano dell’atmosfera. Il barometro fece scalpore e pose problemi filosofici non indifferenti, come l’horror vacui (l’orrore del vuoto), ma fu usato subito correttamente. Esso, ad esempio, spiegò la massima quota alla quale una pompa meccanica a pistone potesse sollevare l’aria. Diversa la vicenda dell’altro strumento coevo: cosa misurasse il “termometro” fiorentino non era noto e ci vollero praticamente due secoli e mezzo per capire le due facce del “calorico”, temperatura e quantità di calore. All’inizio di questo secolo, duecentocinquant’anni dopo l’invenzione dello strumento, testi universitari dribblavano il problema, seguitando a parlare del calorico, come di un fluido… Mancava un paradigma. Del tutto eguale il caso dell’elettrometro, usato praticamente per oltre un secolo, a volte anche con successo, senza mai capire o sapere che cosa misurasse. Le indicazioni dello strumento, basate sulla forza di repulsione tra due corpi carichi, erano legate, come oggi sappiamo, all’effetto congiunto di carica, capacità, tensione, massa, sotto l’impero assoluto dell’igrometria dell’aria nella stanza ove si operava. All’epoca si operava solo con l’elettrostatica… Chi riassunse bene la situazione fu l’abate Nollet, detto l’elettricista dei Re, che insegnò per un anno a Torino ed espresse chiaramente la necessità di uno strumento “elettrico” e di capire cosa misurasse. Così scrive, nel suo libro “Lezioni di Fisica Sperimentale”, pubblicato a Venezia nel 1772: “Ben sarebbe da desiderarsi, che avessimo qualche altro strumento, non solamente a indicarci se un corpo sia elettrico, ma quanto sia più di un altro, o più di quel che sia stato egli stesso in un altro tempo, o in circostanze differenti; questo sarebbe veramente l’Eletrometro (sic), che cerchiamo da molto tempo, e che taluni si sono lusingati di averlo trovato, ma che niun possiede, per dire le cose come sono. Quanto ci hanno messo in vista per misurare l’Elettricità, non vale meglio dei due capi di filo, che si lasciano pendere…”. 4 - Paradigmi 73 I perché delle parole tecniche Perché la permeabilità si chiama permeabilità? E perché il condensatore si chiama condensatore? E perché il morsetto dipinto di rosso di una pila si chiama positivo? Nel linguaggio tecnico di tutti i giorni, adoperiamo, per individuare concetti o proprietà ben definite, parole delle quali ci siamo dimenticati le origini e, a volte, il significato e i motivi che le hanno fatte scegliere. Vediamone alcune. Cominciano con l’indiscusso padre della terminologia scientifica e tecnica italiana: Galileo Galilei. Si potrà obbiettare che Galileo non conoscesse i fenomeni elettrici, ma egli ben conosceva quelli magnetici, anzi, almeno in parte, ci campava. Si trattava di una delle sue fonti di entrata: infatti, oltre a vendere il compasso geometrico-militare ai suoi allievi (una specie di regolo analogico per calcolare proporzioni e densità), Galileo smerciava a caro prezzo calamite naturali (pezzi di magnetite che faceva arrivare dalla Germania), da lui preparate in modo da rendere maggiori la forza di attrazione e, soprattutto, la capacità di sostenere pesi o se stesse. Questo era ottenuto mediante una scarpa metallica, che circondava parte del minerale (riconosciamo le scarpe polari, che individuano i magneti induttori o indotti nelle macchine elettriche). L’insieme delle scarpe, delle quali veniva provvista la calamita, era da lui chiamato l’armatura, perché armavano e rendevano più forte l’azione della calamita. La calamita, così armata, si sospendeva a una sbarra metallica, chiamata da Galileo, appunto ancoretta o ancora. Galileo è tutto contento di questo nome e lo scrive ad amici e conoscenti, perché è all’ancora che una nave si attacca. Quindi le tre parole, scarpa polare, armatura, ancoretta, sono state inventate a Padova, da Galileo. I miei bambini, quando avevano tre anni, e con loro tutti i bambini di quella età avevano già una solida familiarità del concetto di polarità di una pila e mai che sbagliassero il verso di inserimento nei giocattoli. Anche noi stiamo attenti a non invertire una pila. Ma quale è l’origine delle parole “positivo”, “negativo”, “più” e “meno”? Questa volte dobbiamo attraversare l’Atlantico e recarci a Filadelfia dove, attorno al 1745, Beniamino Franklin elabora le sue teorie elettriche. Uno o due fluidi? Il discorso è un po’ lungo, ma lo faremo un’altra volta. Per spiegare la parola permeabilità si deve ricorrere a Pascal e alle sue teorie magnetiche. Numerosi, e non da poco, i quesiti che la Fisica dovette affrontare dal 1200 al 1650; mettiamoli in tabella: • Perché, se si spezza una calamita, nascono nuovi poli e si formano nuove calamite? • Perché, allineando due calamite, a volte si attraggono e a volte si respingono? • Perché, in questi casi, le calamite tendono a ruotare con grande violenza nel piano che le sostiene? • Perché, lasciando fermo, orizzontale e orientato per il meridiano locale un pezzo di ferro, esso si magnetizza? • Perché un pezzo di ferro, tenuto verticalmente e percosso con energia, si magnetizza? • Perché andando a Nord, l’ago della bussola progressivamente si inclina verso quel punto cardinale? • Perché certi materiali, come il ferro, sono più permeabili del legno? A molti di questi quesiti rispose Pietro Peregrino, mentre combatteva gli arabi in Puglia, nel lungo assedio di Lucera, iniziato nel 1267; ad altri si dedicò William Gilbert, 74 Quaderno n. 4 - GMEE il medico della Regina Elisabetta, nell’anno 1600, nel suo libro “De Magnete”; ai quesiti più sottili rivolsero la loro attenzione Pascal e Cartesio. Secondo la loro teoria, quello che noi chiamiamo campo magnetico è un fluido “sottilissimo”, impalpabile, capace di penetrare i pori, di scorrere in fessure, anch’esse “sottilissime” e invisibili, chiamate latinamente meati, dei quali tutti i corpi, chi più chi meno, sono dotati. Questo fluido entra in un corpo e vi scorre dentro attraverso i meati, in latino per meata, e da qui la maggiore o minore proprietà che ha un corpo di lasciarsi attraversare dal fluido magnetico venne, ed è tuttora chiamata, la permeabilità. Quanto al fatto che un pezzo di ferro, lasciato fermo, potesse diventare una calamita, la spiegazione era semplice. La Terra era un’immane calamita, con i poli magnetici dove ci sono i poli geografici (ecco l’origine delle parole polo e polarità). Il flusso magnetico, che usciva da un polo per rientrare nell’altro, attraversava tramite i suoi meati un corpo posto opportunamente e lo magnetizzava. Questo modello forniva anche una spiegazione (anticipata da Gilbert) al fatto che, andando verso Nord, l’ago della bussola si inclinasse progressivamente. Gilbert aveva predetto e verificato (con la sua terrella, un pezzo di magnetite sagomata a sfera) che al polo Nord la lancetta si sarebbe disposta verticalmente. Restava a Cartesio il problema di spiegare la violenta attrazione e rotazione di due calamite, ma questo richiederebbe qualche nozione sulla sua teoria dei vortici e sul moto del cavatappi. I vecchi elettrotecnici annusano certamente la regola del cavatappi, utile per ricavare l’andamento del campo magnetico dovuto a una corrente… I nomi dell’elettricità Già si è visto che i nomi della elettricità hanno a volte un lignaggio altissimo, che con il tempo si è consunto o è stato dimenticato. Molti nomi del magnetismo o delle macchine elettriche li dobbiamo, come si è detto, a Galileo, come “armatura”, “espansione polare”, “scarpa polare”, “ancoretta”. A Gilbert, medico della Regina Elisabetta e contemporaneo di Galileo, si deve invece la diffusione della espressione polo. Gilbert introdusse l’idea che la Terra fosse una grande calamita e, per provarlo, prese un pezzo di magnetite, lo fece sagomare come una sfera (che chiamò “terrella”) e inventò uno strumentino semplicissimo, che denomino “versorio”. Era un ago magnetico o di ferro, incernierato in mezzo. Mettendo il versorio (la parola vuol dire, latinamente, chi dà la direzione, il verso) in vari punti attorno alla terrella, constatò che attorno a due punti della sfera (che chiamò poli, in analogia ai due poli geografici) il versorio si disponeva “verticale”, puntando al centro della terrella. A metà strada, verso l’equatore, il versorio se ne stava “orizzontale”, vale a dire in una direzione tangente alla sfera e in un piano che passava per i poli. La parola “calamita” solleva problemi immani, tanto complessi che li dovremo considerare un’altra volta. Anticipiamo solo che questa parola è adesso usata solo nella lingua italiana: anticamente era anche utilizzata nelle Baleari e, nell’alto medioevo, in Catalogna. C’è un’altra parola “magnetica” che è usata solo in italiano: “bussola”. Restiamo al magnetismo e alla parola “permeabilità”, termine elegantissimo che fu introdotto nella cerchia di Pascal, nel ’600. Il problema da spiegare era quello della progressiva magnetizzazione di una barra di ferro lasciata ferma, orizzontale (tangente al piano dell’orizzonte locale) e giacente lungo un meridiano. Non si sapeva, a quell’epoca, che il meridiano magnetico ha solitamente direzione diversa da quella del me- 4 - Paradigmi 75 ridiano geografico. Pascal accettava l’ipotesi di Gilbert e ammetteva che ci fosse un flusso di una sostanza impalpabile che usciva da un polo e si dirigeva all’altro polo, lambendo la Terra. Pascal ammetteva ancora che tutti i corpi, chi più chi meno, avessero delle fessure, meglio dei tubicini invisibili nella parte interna, che latinamente chiamò meati; la parola è tuttora usata in italiano, in particolare in medicina, ove si parla correntemente, ad esempio di un meato urinario. Il fluido attraversava il corpo per i meati, e così nacque la parola permeabilità, che, come sappiamo, è una caratteristica di ogni singolo materiale e denota la sua attitudine a magnetizzarsi se immerso in un campo magnetico. Il fluido “magnetico”, costretto a passare nei tubicini, lasciava una parte di se stesso nell’oggetto, che così si magnetizzava. Questa interpretazione offriva una spiegazione anche per il violento moto di rotazione che manifesta una calamita, quando è posta a casaccio nei dintorni di un’altra calamita o costretta ad assumere una posizione diversa dalla direzione del campo magnetico locale. Il fluido doveva raggiungere l’altro polo con il minimo di perdite e così la calamita si orientava da sola lungo il meridiano, appunto per ridurre il percorso e, quindi, le perdite. Per spiegare bene le parole positivo o negativo, o polo più e polo meno, bisognerebbe ripercorrere una vicenda complicata e considerare da vicino la diatriba che dilaniò i fisici europei per tutto il Settecento: l’elettricità, o meglio l’elettricismo, era dovuto a un solo fluido o a due fluidi diversi? Adesso (ma sono passati due secoli...) la questione fa sorridere; allora era completamente aperta e molto controversa. L’elettricità era una cosa strana, non percepita dai sensi, diversa all’esterno e all’interno dei corpi, che poteva essere facilmente schermata e dava luogo a fenomeni diversi, di caratteristiche opposte e senza alcune spiegazione. Si pensi all’attrazione tra due corpi che, appena si toccano, diventa repulsione. Quello che imbestialiva i Fisici sperimentatori era l’estrema volubilità dei fenomeni: certe stesse azioni, che avevano conseguenze clamorose (come scintille, bagliori, scosse, rumori, forze, odori), in altri momenti non avevano conseguenza alcuna. Oggi sappiamo tutto sulle relazioni tra umidità ambientale e fenomeni elettrostatici. La diversità dei fenomeni portò alla teoria dei due fluidi diversi, dal cui bilancio entro un corpo dipendeva, oggi diciamo, la polarità della carica. Dietro questa teoria troviamo Pascal, Nollet, Priestley. L’altra teoria, quella dell’unicità del fluido, proposta da Franklin, fu dimostrata dallo scolopio torinese, padre Giambatista Beccaria. La carica (la parola è moderna) dipende da un eccesso o un difetto dell’unico fluido; se è eccesso, i nomi da usare sono “più” o “positivo”; se si tratta di difetto, “meno” o “negativo”. E così, per convenzione, già all’epoca di Franklin si cominciò a dipingere di rosso il polo più; e il concetto che una pila abbia due poli, uno positivo e uno negativo, marchiate con un segno più e uno meno, divenne e restò patrimonio comune. I nostri bambini, a quattro anni, non sbagliano nell’inserire le pile dentro un giocattolo. Altri due concetti e nomi, quelli di “tensione” e di “corrente”, provocarono dei problemi, dovuti al fatto che lo studio dell’elettricità fu intrapreso per l’unica via allora conosciuta, l’Elettrostatica, irta di difficoltà concettuali e sperimentali. Sino all’invenzione della pila (una pila o colonna di dischi) non esisteva una sorgente di corrente uniforme; si avevano scariche violente e incontrollabili di questo fluido di natura ignota. Il fluido si scaricava con grande rapidità e impeto; e così, in particolare a Bologna, il fenomeno fu chiamato “il torrente” o “la torrente”, per diventare e restare “corrente”. Sempre si 76 Quaderno n. 4 - GMEE tratta di termini idraulici, dal regime torrentizio a quello fluviale, con la corrente del fiume che scorre lenta e uniforme. Confondendo effetto con causa, quello che noi chiamiamo “tensione” era designato come forza elettrica. Infatti si era capito che la forza meccanica che agiva su un corpo (su questo fenomeno era basato l’unico strumento disponibile, l’elettrometro) era proporzionale al “grado” di elettrizzazione di un corpo. A questo proposito, quello che noi individuiamo come campo elettrico, come una modificazione dello spazio attorno a un corpo elettrico, era chiamata “aura elettrica”. Pochi sanno che chi introdusse e sperimentò il concetto era l’avvocato Avogadro, incidentalmente l’unico italiano che abbia dato il suo nome a una costante fondamentale della Fisica. Per chiudere con queste nomenclature elettriche antiche, un corpo conduttore era chiamato “deferente” e “grado di deferenza” era molto vicino al concetto di inverso di una resistenza, cioè di una conduttanza. Chi sperimentò a lungo sul “grado di deferenza”, rigorosamente di’inverno (perché in questa stagione, con l’aria secca – a meno che nella natia Torino non ci fosse la nebbia – le esperienze di elettrostatica vengono meglio), fu il medico Cigna, uno dei fondatori, con Lagrange, dell’Accademia delle Scienze di Torino. Il Cigna pubblicò delle tabelle con la “conduttività comparata o relativa” di metalli, seta, canapa, ghiaccio, legnami diversi, ecc. Non si è sbagliato nel dire che il Cigna abbia ricavato la conduttanza relativa con esperienze di elettrostatica; la pila fu inventata quasi mezzo secolo dopo. La cosa strana ed eroica fu che il Cigna usò, come strumento rivelatore, il proprio corpo, valutando qualitativamente l’eccitazione muscolare (ma era medico) dovuta alla scossa. Come, poi, sia arrivato a mettere nel giusto ordine i vari conduttori è, per il redattore di questa nota, fonte di ammirazione e di sconcerto, perché la sorgente era un tubo di vetro strofinato un certo numero di volte... 4 - Paradigmi 77 Sei metri, tutti diversi ma tutti eguali SCOPI Gli scopi di questa nota sono due: presentare uno dei criteri fondamentali che costituiscono un sistema di misura, la continuità; illustrare come questo criterio sia stato seguito nella scelta dei sei campioni della lunghezza che si sono succeduti negli ultimi due secoli. Le note a piè di pagina sono indicate con numeri in apice, i riferimenti alla bibliografia sono indicati tra parentesi quadre. CRITERI COSTITUTIVI Un qualsiasi sistema di misura deve rispondere a una ben definita serie di condizioni e di caratteristiche, alcune ovvie, altre meno ma non per questo meno importanti. Un elenco è riportato nella tabella. uniformità Regolare progressione della numerazione, per poter ricavare una grandezza mediante la differenza di due letture perennità L’elemento scelto a base del sistema sia perenne, ad esempio la rotazione della Terra universalità Soddisfi tutte le classi di utenti e la definizione possa essere accettata da tutte le nazioni stabilità Stabilità nel tempo del fenomeno prescelto a base del sistema riproducibilità Deve essere possibile effettuare copie del campione « precisione » La definizione deve consentire di realizzare l’unità con la precisione necessaria coerenza o La possibilità di esprimere qualsiasi congruenza grandezza del sistema in funzione delle unità di base, senza far ricorso a costanti o coefficienti numerici « taglia 52» La “dimensione del campione” non convenienza deve essere “troppo piccola” o “tropcomodità 53 po grande” continuità La “dimensione dell’unità”, cambiando il campione, deve restare pressoché costante e comunque contenuta entro i limiti di incertezza con i quali era conosciuta la precedente definizione 51 il calendario non è uniforme; i cippi chilometrici lo sono la scala di tempo atomica non è perenne perché un orologio si può guastare le comunità di utenti sono numerose e con diverse formazioni culturali…, orgogli nazionalistici la velocità di rotazione della Terra non è costante, fluttua e la Terra rallenta ogni nazione vorrebbe un esemplare del campione le esigenze della tecnica cambiano 51 Si veda il Quaderno del GMEE “I sistemi internazionali per le misure” se un sistema di misura non è conveniente e “comodo”, non viene usato i valori numerici delle misurazioni effettuate in passato devono poter essere utilizzabili anche in seguito a una nuova definizione del campione. Un esempio è costituito dalle incertezze usate in Chimica. Nella chimica della produzione industriale le incertezze necessarie erano comprese tra 10-2 e 10-3, con le misurazioni chimiche legate all’ambiente le incertezze sono ora di 10-8 - 10 –9. 52 La distanza tra le estremità degli indici con le braccia tese (brachia tensa), in francese la toise. 53 Per la comodità all’uso, la dimensione del campione deve essere anche adatta alle necessità umane; in altri termini, alquanto laschi, la dimensione deve essere collegata alle dimensioni dell’uomo, alla sensibilità dei suoi organi o, almeno, non scostarsene ”troppo”. 78 Quaderno n. 4 - GMEE Alcune avvertenze • In questa tabella la parola precisione è stata usata in maniera del tutto qualitativa, per indicare la qualità di una misurazione. • In Metrologia, la parola dimensione è ambigua: vuol dire sia la categoria della misurazione (lunghezze, altezze, temperature) sia l’“estensione”, intesa come valore numerico della grandezza considerata. • Per soddisfare la condizione di congruenza, una qualsiasi unità SI deve poter essere espressa mediante un monomio del tipo: α α α α α α α unità SI = m 1 , kg 2, s 3, A 4, K 5, cd 6, mol 7, con i vari esponenti α numeri interi, zero compreso. La continuità, pertanto, consiste nel fare sì che il nuovo valore del campione di un’unità approssimi il meglio possibile, cioè entro determinati e quindi noti limiti d’incertezza, il valore della precedente definizione. In questo modo tutti i risultati delle misurazioni, le misure, ottenuti con una precedente definizione sono validi e possono essere usati, ovviamente entro i limiti d’incertezza “pro tempore” delle precedenti definizioni. Tipi di definizioni e di campioni Esistono tipi diversi di definizioni o di campioni, di seguito elencati: Naturali. Si considera un fenomeno esistente in natura e generalmente accessibile: il periodo di rotazione della Terra, un arco di meridiano, il periodo del pendolo che batte il secondo, la densità dell’acqua a una certa temperatura, … Fisici. La frequenza elettromagnetica di una transizione atomica, la lunghezza d’onda della luce emessa da una lampada particolare, un effetto legato direttamente a una o più costanti fondamentali, la carica dell’elettrone, la velocità della luce, la costante di Planck, la costante di Boltzmann, il numero di Avogadro, … Campioni materiali. Barra metallica, campione di massa, sasso sacro, … Campioni antropomorfi. Il braccio, il piede, il palmo, il pollice, la tesa, di solito materializzati tramite un campione materiale. Sei definizioni del metro in due secoli Nella seconda metà del ’700, come è ben noto, furono dibattute varie opzioni verso una soluzione naturale per la definizione dell’unità e, quindi, per il campione di lunghezza. Due le soluzioni più considerate: la lunghezza del pendolo che battesse il secondo; una frazione del meridiano terrestre. La scoperta che il periodo di un pendolo era funzione della latitudine e la difficoltà di individuare la lunghezza del pendolo 54 fecero propendere per la soluzione del meridiano. La storia dei vari passi che portarono al sistema metrico decimale è stata tracciata più volte e, in particolare, si trova esposta in un recente testo di Jedrzejewski [1]; altre 54 Quale è la lunghezza di un pendolo? Come tener conto della massa dell’asta o del filo? Altri problemi sono: il punto di sospensione e come definire la posizione del baricentro della massa terminale. La soluzione fu a lungo dibattuta, finché Huygens (1629-1695) trovò una soluzione teorica con la sospensione cicloidale del pendolo e con l’individuazione del centro di oscillazione di un pendolo reale (Horologium oscillatorium, Parigi, 1673). La soluzione finale, quella del pendolo reversibile, il cui periodo non dipende dalla distribuzione delle masse dei vari componenti di un pendolo, arrivò con Kater nel 1918. Questo ultimo pendolo è stato usato per un secolo e mezzo per la misura assoluta di g (accelerazione di gravità locale). 4 - Paradigmi 79 notizie dettagliate si trovano in una nota dedicata al ruolo di Lagrange negli anni cruciali della nascita del sistema [2], durante la rivoluzione francese. Nel 1790 la Assemblea comincia a studiare, con una certa regolarità, il problema di un nuovo Sistema di misure come premessa per l’abolizione e la soppressione di quello precedente e comincia a formare tutta una serie di Commissioni di studio (dieci in nove anni). Un elenco di tutte queste commissioni, con la composizione, il mandato e le date di costituzione è riportato all’inizio della nota citata in [2]. La definizione adottata, ma non ancora promulgata ufficialmente dalla Commissione pro-tempore (Borda, Lagrange, Laplace, Monge e Condorcet) nel 1791, era: Definizione 1 (1791): Il metro è l’unità legale di lunghezza ed è eguale a un decimilionesimo di un quarto di meridiano terrestre, dal Polo all’equatore. È chiaramente una definizione naturale. Ai membri dell’Assemblea non sfuggiva la carica dirompente, nei confronti del regime precedente, di un nuovo sistema di misure, monete e nuovo calendario compresi. Da qui una certa impazienza dell’Assemblea, prima, e della Convenzione, poi, per quella che pareva lentezza o esitazione delle commissioni pro-tempore. Quest’impazienza si tradusse nella soppressione di una commissione nel 1793, sostituita da una Commissione temporanea che aveva lo scopo di preparare dei campioni provvisori, in attesa di poter disporre di quelli definitivi. Più che il rigore metrologico e il rispetto delle definizioni, era importante far capire ai cittadini che le cose erano cambiate. Questa fretta si tradusse nella costruzione di Prototipi in rame per lunghezza e massa, eseguiti secondo un prima valutazione della lunghezza dell’arco di meridiano. Definizione 2 (1793): (un campione materiale con la scritta “Etalon provvisoirie des Mesures de la Répubblique, fait en execution de la loi du 1er aout 1793 (vieux stile) adopté par les Commissaires chargés de sa détermination et remis par eux au Comité d’Instruction Publique le 18 messidor. IIIe année”) mediante una barra in rame con l’iscrizione riportata qui sopra. Questi campioni materiali furono formalmente adottati dai Commissari delle varie Commissioni e consegnati al Comitato di Istruzione Pubblica. La barra in rame è attualmente conservata presso il Conservatoire des Arts et Métiers di Parigi. Si trattava, pertanto, di un prototipo che approssimava la definizione 1, ma era un vero e proprio campione materiale. Arrivano intanto, alla fine del 1798, i risultati delle operazioni di triangolazione dell’arco di meridiano da Dunquerque e Barcellona, con un nuovo valore per la lunghezza dell’arco di Meridiano e, quindi, del metro [3]. Definizione 3 (1799): un nuovo campione materiale (stecca di platino), adottato da una commissione internazionale 55 e consegnato il 22/06/1799 agli Archivi nazionali. Nelle necessarie operazioni di maneggiamento in occasioni dei confronti, questa stecca si flette e si può deformare; viene pertanto studiata, nella seconda metà dell’800, dopo la firma della Convenzione del Metro, una nuova sezione sagomata come una X e adottate opportune norme di sospensione e maneggiamento. La prima Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure 56, nel 1889, assegna a sorte, tra i vari Paesi membri della Convenzione del metro, le barre di platino-iridio che erano 55 In questa Commissione, gli stati italiani erano così rappresentati: Piemonte, Vassalli Eandi; Repubblica Genovese, Multedo; Toscana, Fabbroni; Repubblica Cisalpina, Mascheroni; Repubblica Romana, Franchini. 56 Per le parole o le locuzioni Assemblea, Assemblea legislativa, Convenzione, Direttorio, si veda qualsiasi libro di storia con un capitolo sulla Rivoluzione francese; per le parole Conferenza Generale dei Pesi e delle 80 Quaderno n. 4 - GMEE state approntate a cura del BIPM, come copie delle barra che materializzava la definizione 3. Quindi ancora un campione materiale. Definizione 4 (1927): L’unità di lunghezza è il metro, definito come la distanza, a 0 °C, degli assi di due tratti mediani tracciati sulla barra di platino–iridio, depositata al BIPM e dichiarata prototipo del metro dalla Prima Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure; questo regolo è sottoposto alla pressione atmosferica normale e sorretto da due sostegni cilindrici di almeno 1 cm di diametro, posti simmetricamente in uno stesso piano orizzontale e a una distanza di 571 mm l’uno dall’altro. È quindi sempre un prototipo materiale. Negli anni 1935-1955, in particolare per iniziativa del PTB 57, si discute la possibilità di abbandonare il prototipo materiale, per la lunghezza d’onda di una riga spettrale. Definizione 5 (1960): La definizione adottata dalla XI CGPM nel 1960 è la seguente: Il metro è la lunghezza eguale a 1 650 763,73 lunghezze d’onda nel vuoto della radiazione corrispondente alla transizione tra il livello 2p10 e 5d5 dell’atomo del Cripto 86. Non è più un campione materiale, ma fisico e di tipo atomico; quindi la definizione soddisfa i criteri di essere perenne, universale e naturale. Ci si accorse, però, che la riga emessa da questa lampada non era simmetrica ed era necessario controllare numerose condizioni fisiche per ottenere un’incertezza del metro dell’ordine di 10-8 - 10 –9. Dal campione materiale si è passati a un campione fisico. Definizione 6 (1983): La definizione adottata dalla XVII CGPM nel 1983 è la seguente: Il metro è la lunghezza percorsa nel vuoto dalla luce durante un periodo di 1/299 792 458 di secondo” Il metro è ora, pertanto, il campione di una grandezza derivata, ricavata dal secondo SI, una volta assunto un valore di c0 (velocità della luce, pari esattamente, per convenzione, a 299 792 458 m/s) ed è rimasto un campione fisico. Si sono, quindi, succedute sei definizioni, seguendo il principio della metrologia che vuole la continuità della dimensione del campione di una grandezza quando si cambi la definizione del campione: il nuovo valore adottato resti entro i margini di incertezza della definizione precedente. Questa condizione è necessaria per poter usare senza problemi le misure effettuate nel passato. In altri termini, tutte le definizioni del metro che si sono succedute nel tempo tendono a riprodurre, entro limiti di incertezza che via via si restringono, la definizione 1. Riferimenti bibliografici [1] F.Jedrzejewski: Histoire universelle de la mesure, Ellipses, Paris, 2002. [2] S.Leschiutta : Lagrange and the metric system, Quaderni di storia della fisica n. 8, pp. 47-64, 2001. [3] D.Guedj, Il Meridiano, trad. di Olimpia Gargano, 368 p., Longanesi & C., 2001. Misure (CGPM), Comitato Internazionale Pesi e Misure (CIPM) e Bureau International Poids et Mésures (BIPM, www.bipm.org) si veda qualsiasi testo di Metrologia. 57 Prima della guerra, PTR, Physicalisches-Technische Reichanstalt, dopo la guerra PTB, PhysicalischesTechnische Bundesanstalt. 4 - Paradigmi 81 L’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” a Torino: la sua storia Questo capitolo racconta la storia e le conquiste di un’istituzione che rappresenta un importante momento della ricerca scientifica italiana. Oggi l’Istituto Galileo Ferraris, come affettuosamente è da sempre noto in Torino, è confluito nell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica. Si è perso un nome glorioso, noto in campo internazionale da oltre 70 anni. Perché la memoria di un passato di difficili conquiste non vada perduto, il capitolo è stato conservato anche se in parte sorpassato dagli sviluppi della metrologia italiana. Questa nota fu scritta prima dell’unificazione dell’IEN con l’Istituto di Metrologia “Gustavo Colonnetti” del CNR (1 gennaio 2006), anche con l’obiettivo di promuovere l’unificazione stessa. Il nuovo Istituto mantiene la collocazione giuridica che già aveva l’IEN. Negli anni attorno al 1935 fu avviata, in Italia, la costituzione di una rete di Istituti di ricerca scientifica a carattere nazionale: a Roma, l’Istituto d’Ultra-acustica e quello d’Alta Matematica, oltre all’Istituto Superiore di Sanità già fondato; a Firenze, l’Istituto Nazionale d’Ottica; a Napoli, l’Istituto per i Motori; e appunto, a Torino, l’Istituto Elettrotecnico Nazionale. Quest’Istituto fu dedicato alla memoria di Galileo Ferraris, che aveva promosso, tra il 1880 e il 1897, lo sviluppo dell’insegnamento e della pratica dell’Elettrotecnica presso il Regio Museo Industriale, l’ente dal quale poi nacque il Politecnico di Torino. L’Istituto fu così istituito con un Regio Decreto Legge del 4 ottobre 1934, n. 1691, convertito nella legge 11 aprile 1935, n. 762, quale centro d’alti studi nel campo delle discipline elettriche. L’Istituto si sviluppò rapidamente, aiutato da una notevole libertà amministrativa e da una, per i tempi, rilevante larghezza di mezzi, con due milioni di lire di contributo l’anno, equivalente grosso modo a 2 milioni di euro odierni. Istituto Elettrotecnico Nazionale "Galileo Ferraris": la sede storica in corso Massimo D’Azeglio a Torino Dall’epoca della sua fondazione, come centro d’eccellenza nel campo delle discipline elettriche e di quelle a loro affini, l’Istituto mantiene forte la propria consapevolezza d’istituzione d’alto prestigio scientifico nazionale e internazionale, la cui operosità è testimoniata, fra l’altro, da un complesso di 3 500 pubblicazioni scientifiche, da oltre 580 rapporti tecnici e da alcune decine di libri. 82 Quaderno n. 4 - GMEE L’Istituto dispone di un consistente patrimonio bibliotecario costantemente aggiornato (circa 15.000 volumi) afferente alle discipline della fisica e dell’ingegneria, ivi compresi testi d’epoca, editi tra il 1700 e il 1800, e taluni manoscritti dello stesso Galileo Ferraris. La sua struttura La natura giuridica è quella di Ente pubblico di ricerca afferente al Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica (MURST) e a carattere non strumentale, ai sensi del DPR 5 agosto 1991. In questi oltre sessanta anni, l’ordinamento è stato più volte modificato ed è retto, dal 1992, da un nuovo statuto, ispirato ai principi d’autonomia che la legge 9 maggio 1989, n. 168, istitutiva del MURST, riconosce agli enti nazionali di ricerca a carattere non strumentale. Esistono, ovviamente, i necessari Regolamenti dell’Istituto, tra i quali il Regolamento d’amministrazione, finanza e contabilità e il Regolamento concernente l’organizzazione e il funzionamento dell’Istituto. Ma più rilevanti, per la vita dell’Ente, sono state le conseguenze dei cambiamenti al contorno. Mentre nel 1934 aveva senso cercare di coprire con un unico Ente tutto lo scibile elettrico, diviso al più tra correnti forti e correnti deboli (la parola comunicazione non era quasi usata e quella informazione era sconosciuta, almeno in senso ingegneristico), questo non era più vero dopo la fine della guerra. La nascita della elettronica e delle sue applicazioni, quali i controlli, il radar, i calcolatori, costrinse così ad un nuovo orientamento delle attività. Attività esistenti sin dalla fondazione, come la elettromeccanica, la metrologia elettrica e quelle del tempo, le ricerche sui materiali magnetici, costituirono la prevalente e attuale struttura scientifica dell’Ente. Non dimentichiamo che l’IEN si identificò, per oltre venti anni, con l’Istituto di Elettrotecnica del Politecnico; con la realizzazione della nuova sede del Politecnico di Torino, le attività didattiche e quelle di ricerca universitaria abbandonarono la vecchia sede di Corso Massimo d’Azeglio e anche i loro stretti legami con l’IEN. Come vive l’Istituto L’Istituto è un Ente, che riceve sì contributi da parte dello Stato, ma deve impostare e perseguire una propria vita economica se vuole essere attivo; infatti i contributi, solitamente e in particolare nel passato, coprono le spese del personale e non quelle del funzionamento: essendo appunto l’Istituto indipendente, significa che ogni spesa, dal tagliare l’erba alla bolletta della luce, dall’acquisto della strumentazione alle spese di missione, deve trovare un’apposita copertura di entrata. Questo stato di fatto è documentato dalle seguenti cifre, medie sul triennio 1996 – 1998: Entrate totali: 19,3 miliardi di lire, di cui: ◊ Da parte dello Stato: 13,2 miliardi di lire (68,4%) ◊ Da contratti, consulenze, servizi: 3,95 miliardi di lire (20,5%) ◊ Altre entrate (residui, affitti, interessi): 2,15 miliardi di lire (11,1%) 4 - Paradigmi 83 Spese totali: 19,3 miliardi di lire, di cui: ◊ Oneri per il personale: 12,2 miliardi di lire (63,3%) ◊ Spese di gestione: 4,0 miliardi di lire (20,8%) ◊ Spese per l’attività di ricerca: 3,1 miliardi di lire (15,9%) A cosa serve l’Istituto Innanzitutto ogni nazione necessita di riferimenti metrologici, indispensabili come sostegno alle attività scientifiche e, soprattutto, a quelle produttive; l’Italia, per curiosi motivi storici, vede queste attività sparpagliate tra tre Enti, in quanto è l’unico tra i Paesi che, pur avendo firmato la convenzione del metro, non si sia ancora dotato di un Istituto Nazionale di Metrologia 58. All’IEN sono così affidate le cosiddette metrologie elettriche, alle quali, per consuetudine, si accoppiano quelle acustiche, fotometriche e di tempo e frequenza. Alla metrologia si affiancano attività di ricerca sui materiali magnetici, di elettrotecnica e di ingegneria dei sistemi. All’IEN, dove la E significa Elettrotecnico, spettano compiti particolari e difficili perché, come è ben noto, le misurazioni di qualsiasi grandezza fisica stanno diventando sempre di più elettriche o elettroniche. Inoltre esiste un andamento generalizzato per riferire, tramite opportune costanti fondamentali e particolari esperimenti, i campioni delle grandezze fondamentali al campione di tempo. Attività sono in corso, anche all’IEN, per riferire il campione di massa (che è ancora un prototipo materiale, come praticavano quattromila anni fa i Sumeri) a grandezze elettriche e quindi, tramite l’effetto Josephson e quello von Klitzing alle costanti fondamentali e e h e al secondo. È pure concepibile un campione “atomico” di corrente e di carica, con un “contatore” che numera gli elettroni che passano in una singola sezione in un certo intervallo di tempo. In questo caso la costante è e, la carica di un elettrone, e il riferimento è legato al campione di tempo. Come è ben noto, nei Paesi industrializzati, come l’Italia, almeno il 5% del prodotto lordo interno annuo va, direttamente o indirettamente, nel sistema delle misure. Per il nostro Paese si tratta, quindi, di almeno 100 000 miliardi di lire su 2 milioni di miliardi di lire. Come sostegno alla produzione, l’Istituto, unitamente all’Istituto di Metrologia G. Colonnetti del CNR, al quale sono affidate le metrologie meccaniche e termiche, e all’Istituto Nazionale per la Metrologia delle Radiazioni ionizzanti dell’ ENEA, ha avviato e sostiene, da oltre vent’anni, il Servizio di Taratura in Italia, che comprende una rete di un centinaio di laboratori che, con le loro tarature, assicurano nella pratica i necessari riferimenti metrologici alle attività produttive. Compito ulteriore dei tre Enti, che assicurano la correttezza metrologica lungo le catene nazionali di taratura, è quello di tessere la rete internazionale di collegamenti e riconoscimenti, necessaria per ottenere la validità internazionale dei certificati rilasciati in Italia. Grandi novità stanno avvenendo, quali la nascita di un accordo internazionale, sottoscritto nell’ottobre 1999 anche dall’Italia, che porta il nome di Mutual Recognition Arrangement. 58 Dal 2006 i tre istituti metrologici italiani sono diventati due: l’INRiM di Torino e Istituto Nazionale di Metrologia delle Radiazioni Ionizzanti (INMRI) dell’ENEA, Roma Casaccia. 84 Quaderno n. 4 - GMEE Produzione scientifica, formazione, diffusione dei risultati e della cultura L’Istituto programma e svolge, tra i propri fini istituzionali, attività di ricerca di base, finalizzata e applicata, curando la diffusione dei risultati attraverso la letteratura scientifica e con proprie pubblicazioni, e svolge anche una capillare attività di diffusione della cultura, basata sulla peculiare preparazione dei propri ricercatori. Si deve riconoscere, infatti, che in taluni settori l’Istituto ha, ma anche deve avere e dimostrare di avere, una peculiare competenza: ad esempio, nella metrologia e nello studio dei fenomeni magnetici. Queste attività si svolgono in conformità a un Programma triennale e a Piani annuali di attuazione del Programma stesso. L’Istituto, inoltre, ai fini della conoscenza e della valorizzazione dei risultati della propria attività di ricerca, promuove l’organizzazione di convegni, seminari, riunioni e altre consimili manifestazioni. La rilevanza della produzione scientifica è documentata dal complesso delle pubblicazioni, delle partecipazioni a programmi di ricerca europei, internazionali e nazionali e dalle partecipazioni a confronti internazionali di misura. Tale complesso è sintetizzato dalle seguenti cifre, che rappresentano la produzione media annuale nel trienni 1996-1998: ◊ Volumi pubblicati: 3,2 ◊ Articoli su riviste internazionali: 53 ◊ Articoli su riviste nazionali: 9 ◊ Comunicazioni su atti di congressi internazionali: 55 ◊ Comunicazioni su atti di congressi nazionali: 26 ◊ Rapporti tecnici: 18 ◊ Partecipazioni a programmi di ricerca internazionali ed europei: 13 ◊ Partecipazioni a programmi di ricerca nazionali: 22 ◊ Partecipazioni a confronti internazionali di misura: 8 Per quanto concerne le attività di formazione, l’Istituto organizza, anche in collaborazione con Università e altri Enti di ricerca pubblici e privati, iniziative di formazione, aggiornamento, qualificazione di ricercatori e tecnici. L’Istituto, inoltre, con i propri laboratori costituisce tradizionalmente un importante riferimento per lo svolgimento di tesi di dottorato di ricerca e di laurea a carattere sperimentale. Ad esempio, nel 1998, le tesi di dottorato di ricerca concluse nel corso dell’anno sono state quattro, quelle in corso di svolgimento 6 e 42 sono state le tesi di laurea concluse. La nuova sede L’Istituto ha avviato da tempo una fase di espansione dei propri laboratori. Alla sede storica, sita nel centro di Torino, circa venticinque anni or sono si è affiancata una prima espansione, sull’area dell’antico aeroporto di Mirafiori, nella periferia meridionale della città, per un totale di circa 14 000 m2 ; una seconda espansione è attualmente in fase di completamento per ulteriori 12 000 m2, sempre a Mirafiori. Questa seconda espansione, che sarà completata entro il 2000, ha richiesto un impegno di oltre 40 miliardi di lire, coperto da un apposito finanziamento pubblico. 4 - Paradigmi 85 Palazzina in strada delle Cacce a Torino, con presidenza e direzione dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica. Nell’Istituto sono confluiti, come auspicato nel testo, IEN del MURST e IMGC del CNR. Il personale Il personale dell’Istituto ammonta a circa 140 persone: 28 in amministrazione e 112 nelle attività tecniche o scientifiche. Un’osservazione di rilievo: si potrebbe osservare che appare elevata la percentuale del personale dedicato alle attività amministrative (è noto che presso analoghi Enti di ricerca esteri questa percentuale varia dal 5 al 10 per cento). La situazione dell’IEN si giustifica con due ordini di motivi: da una parte, l’Istituto è “indipendente”, quindi deve assicurare ogni funzione, dal patrimonio agli stipendi al personale; dall’altra parte, questa completa indipendenza assicura all’Istituto un’agilità che è sconosciuta agli Enti pubblici. Una convenzione, una volta decisa, può essere siglata in un paio di settimane e così un contratto o un ordine. Un problema che affligge gli Enti Pubblici di ricerca in Italia è quello dell’età del personale. La situazione per l’IEN, riportata all’inizio del 2000, è rappresentata in figura: in ascissa è espressa l’età del personale tecnico o scientifico, in ordinata la “popolazione” corrispondente a ogni età. In media altre 30-40 persone frequentano l’IEN a titoli vari: borsisti, contrattisti, dottorandi, visitatori stranieri. Interessante è notare l’effetto della guerra, per la fascia di età tra 55 e 58 anni. 7 6 5 4 3 2 1 0 24 26 28 30 32 34 36 38 40 42 44 46 48 50 52 54 56 58 60 62 64 La situazione dell’Istituto non è grave ma desta preoccupazione, se è vero che la maggiore produttività del ricercatore si ha intorno ai 35 anni, dopo i quali gli entusiasmi e i furori si spengono (per fortuna non è sempre vero...). Si deve anche osservare che l’ingresso in carriera del personale con laurea viene sempre più ritardato; uno si laurea a 25 anni, un anno di borsa, tre anni di dottorato, un eventuale servizio militare e così ma- 86 Quaderno n. 4 - GMEE turano facilmente i trenta anni. Il personale laureato “entra”, comunque, nella ricerca a 26-27 anni, in quanto le attività di dottorato sono solitamente già polarizzate. A questa situazione l’IEN cerca di reagire cogliendo ogni occasione per introdurre dei giovani; ad esempio, nel 1999, sono stati avviati concorsi per undici unità a tempo indeterminato e per cinque contratti a termine. E domani? Negli ultimi tempi il sistema della ricerca non universitaria è stato profondamente riorganizzato nel nostro Paese. Ad esempio, nuovi statuti e ordinamenti sono stati attivati per ASI, CNR, ENEA, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Istituto Nazionale di Astrofisica, ecc. In questo nuovo panorama l’IEN deve trovare modo di riaffermare le proprie peculiarità, in particolare nell’ambito della metrologia e dei materiali. L’Istituto nutre fiducia nella nuova organizzazione del sistema della ricerca, nella convinzione che la propria tradizione e il proprio bagaglio di esperienze e attrezzature troveranno una giusta e corretta collocazione. Già si è detto della continua tensione verso l’immissione di nuove e giovani forze; altri obiettivi prioritari sono quelli di attrezzare i nuovi spazi che si stanno rendendo disponibili e il sempre più profondo inserimento del vecchio Istituto nel contesto europeo. 4 - Paradigmi 87 Quale Metrologia per l’Italia? Che la colonna portante della “Qualità” di un Paese sia il suo sistema metrologico, di taratura, di certificazione e di accreditamento è cosa non controversa. Propongo di considerare, in questa nota, solo la prima componente, quella degli Istituti Metrologici Nazionali, presentando la curiosa situazione dell’Italia, per quanto riguarda la struttura primaria di riferimento. L’esigenza per ogni Paese di disporre di una struttura che fosse sì articolata, ma potesse agire in forma efficace e coerente fu percepita alla fine del secolo scorso, da tutte le Nazioni, dopo la firma della “convenzione del metro”, avvenuta nel 1875. La convenzione del metro è lo strumento diplomatico-giuridico-scientifico-tecnico che presiede alla costruzione e al mantenimento del Sistema Metrico Decimale. E così, un secolo fa, tra il 1895 e il 1901, cinque nazioni, convinte dell’incidenza economica delle “Misure” sui commerci interni e internazionali e sullo sviluppo delle industrie tradizionali, spinte inoltre dall’irrompere della nuova industria elettrica, e quindi dalla necessità che uno solo fosse il sistema di misura per le nuove grandezze, promossero la costituzione di Istituti Metrologici Nazionali. Le cinque Nazioni furono, nell’ordine, Russia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti e Giappone. La opportunità che anche il nuovo stato italiano assumesse compiti e ruoli nel settore fu acutamente percepita da Galileo Ferraris, che presentò nel 1882 la proposta di costituire un laboratorio nazionale, sia pure inizialmente per le sole misure fotometriche. L’interesse per la fotometria era dovuto al fatto che, per la nuova forma di energia che si stava diffondendo, il gas illuminante, la determinazione del potere energetico veniva effettuata tramite misure fotometriche. La proposta del Ferraris trovò attuazione, ma non sotto la forma di Istituto Nazionale, con l’istituzione a Torino, nel 1888, di una “galleria fotometrica” (con dimensioni e attrezzature paragonabili a quanto esisteva all’estero) presso il Regio Museo Industriale, dal quale è nato poi il Politecnico. Intanto, mentre in Italia le proposte di costituire un Istituto Metrologico Nazionale cadevano l’una dopo l’altra, nella prima metà di questo secolo e prima del 1950, furono fondati altri sei Istituti Metrologici Nazionali in Argentina, Australia, India, Canada, Sud Africa e Nuova Zelanda. Tra queste nazioni manca l’Italia e continua a non comparire anche nell’elenco delle altre venticinque nazioni che si sono dotate in questa seconda metà del secolo di una struttura metrologica dedicata. Non sono certo mancate in Italia attività metrologiche, come tutti sappiamo, anche ad alto livello, ma è sempre stata assente la volontà e, forse, la capacità politica di capire le dimensioni del problema e quindi il suo impatto sulle attività produttive e di ricerca del Paese. Mentre il Giappone in questo 1999, dinanzi a una paventata crisi economica, ha deciso di portare al 6% entro il 2005 la componente del P.I.L. per la ricerca, partendo dall’attuale 3,5%, l’Italia veleggia attorno all’1% e, nei fatti, sta scendendo. Un esempio tra tanti: aumentano, e giustamente, gli stipendi degli addetti, non fosse altro che per tener conto dell’inflazione, ma non aumentano in proporzione le dotazioni assegnate all’Istituto Elettrotecnico Nazionale. Parlando dell’IEN, questa è la sua storia: nel 1932 il Ministero, allora, dell’Educazione Nazionale, per iniziativa del Prof. G.C. Vallauri del Politecnico, decise la costituzione a Torino, riprendendo e completando una iniziativa della SIP, dell’attuale 88 Quaderno n. 4 - GMEE Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris. Nel novello Istituto, sin dal 1934, furono iniziate ricerche e attività di misure per le grandezze elettriche, fotometriche, acustiche e di tempo e frequenza, le stesse ancora coltivate. Nel dopoguerra, per iniziativa del Prof. Gustavo Colonnetti, il Consiglio Nazionale delle Ricerche istituì a Torino, nel 1956, gli Istituti Termometrico e Dinamometrico che, nel 1968, unitamente a due nuovi Reparti, Lunghezze e Masse Volumi, formarono l’Istituto di Metrologia, Gustavo Colonnetti (IMGC) del CNR, con sede sempre a Torino. Per la metrologia delle grandezze riguardanti le radiazioni ionizzanti, l’ENEA, che aveva avviato sin dalla fine degli anni ’70 attività metrologiche presso i propri laboratori del Centro Ricerche della Casaccia, formò all’inizio degli anni ’80 un Laboratorio di Metrologia e infine istituì, nel 1992, l’Istituto Nazionale di Metrologia delle Radiazioni Ionizzanti (INMRI), le cui finalità riguardano la salute umana e la protezione ambientale. Ci si potrebbe domandare: ma è proprio necessaria, anche per l’Italia, una struttura autonoma e indipendente, quale potrebbe essere quella di un Istituto Nazionale di Metrologia? Molte sono le risposte possibili, tutte orientate in senso affermativo. Innanzitutto i tre attuali Istituti appartengono a Enti con diversi livelli di finanziamento, di capacità di autofinanziamento, di autonomia e rispondono ad amministrazioni di diversa tipologia; in un caso, per studiare e adottare un contratto o una convenzione di ricerca, sono sufficienti 5-6 settimane, in altri casi possono passare gli anni. Inoltre: ◊ la corrente rappresentanza tripartita, in sede comunitaria e internazionale, crea problemi di vario tipo; ◊ esistono inevitabili ridondanze o duplicazioni; ◊ solo in una struttura “piccola” e dedicata si può attuare la meritocrazia e prendere rapidamente decisioni, senza attendere il risultato di elaborate complesse consultazioni o mediazioni di carattere politico o sindacale, ad esempio nell’apertura di nuovi posti di lavoro; ◊ solo un Ente piccolo, motivato e libero da implicazioni ideologiche può mantenere il necessario colloquio con l’Università, dove si formano i giovani e si fa frequentemente dell’ottima ricerca, anche metrologica; ◊ l’Italia è, come si è visto, l’unico Paese senza un Istituto Nazionale di Metrologia o senza un forte Ente di finanziamento e di controllo; ◊ la situazione è stata ben studiata da una serie di commissioni ed è ormai da anni matura per discussioni e decisioni. La soluzione più razionale sarebbe la costituzione di un Istituto Nazionale di Metrologia, autonomo, sorvegliato dal Ministero dell’Università e Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST) o, eventualmente, dal Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato (MICA) o da tutti e due. Al momento, soltanto l’IEN, tra gli Istituti Metrologici Primari, così come individuati dalla Legge n. 273 del 1991 sul Sistema Nazionale di Taratura, ha dato attuazione ai principi di autonomia previsti dalla Legge n. 168 del 1989 e, quindi, potrebbe costituire l’esempio o il nucleo di aggregazione. È chiaro che un Istituto Nazionale di Metrologia (INM), quale quello qui proposto, comporterebbe, oltre a numerosi problemi (alcuni etici, altri pratici, che vanno dal pre- 4 - Paradigmi 89 stigio all’inventario, ma possono essere risolti dalla volontà di un Ministro e di un Governo), la collocazione dei tre Istituti metrologici primari nel nuovo ente nazionale e, di conseguenza, tre interventi di rilievo: - scorporare IEN dal MURST, - scorporare IMGC dal CNR, - scorporare INMRI dall’ENEA. I tre istituti potrebbero essere collocati in un nuovo ente nazionale che operi, ad esempio, nell’ambito del MURST. È stata anche considerata la possibilità di un Istituto Nazionale di Metrologia, con compiti allargati alla Tecnologia, con 600 persone (quindi con dimensioni da metà a un quinto di analoghi Enti europei), nel quale confluirebbero IEN e IMGC, che sarebbe sempre un Ente pubblico di ricerca, posto sotto la sorveglianza del MURST. Almeno uno dei tre interventi, lo scorporo di IMGC dal CNR per passare all’INM, non sembra attualmente possibile, vista l’indicazione del Ministro dell’Università e della Ricerca che il CNR deve restare “generalista”. Non si vuole certo contraddire un’indicazione di carattere politico, che non è né tecnica né razionale, ma il principio di un Ente “generalista” potrebbe, al limite, significare che ogni attività di ricerca debba essere effettuata dal solo CNR e non presso l’Università o altri Enti di Ricerca. Si è, invece, della ferma opinione che un’attività peculiare quale quella metrologica debba godere di particolari requisiti di autonomia e di agilità, mal conciliabili o praticabili entro Enti di rilevanti dimensioni e affetti, tipicamente, da problemi di efficienza e di scarsa responsabilità, solo perché “grossi”. Ove la strada, che è quella razionale, di un Istituto Nazionale di Metrologia non potesse, o non potesse ancora, essere battuta, restano da investigare alternative di tipo consortile o la creazione, come è avvenuto da vent’anni in Francia, di un’unica struttura nazionale di coordinamento e di finanziamento. Altra azione, di minore rilievo ma essenziale per MURST e MICA, è quella di predisporre un provvedimento legislativo che assicuri una copertura finanziaria alle attività che gli Istituti Metrologici Primari devono effettuare per adempiere i compiti assegnati dalla legge n. 273/1991, come elemento fondamentale del Sistema Nazionale di Taratura: svolgimento di studi e ricerche finalizzate alla realizzazione dei campioni primari delle unità di misura, confronto a livello internazionale di tali campioni, loro mantenimento e messa a disposizione ai fini della disseminazione. Tutto ciò tenendo conto delle nuove e più impegnative esigenze di riferibilità provenienti dall’industria e dalla società. La fase degli studi di fattibilità e delle proposte è stata largamente compiuta e il Ministro dell’Università e della Ricerca, che ha la responsabilità del corretto andamento di tutta la Ricerca Nazionale, e quindi anche della Ricerca e delle Attività Metrologiche, d’intesa con il Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, ha dinanzi a sé tutte le informazioni necessarie per prendere una decisione, che a questo punto diventa unicamente politica. Scritto a Torino, il 26 marzo 1999 90 Quaderno n. 4 - GMEE La contesa tra negoziante e cliente è sempre stata vivace: chi difendeva il consumatore in passato? Ci occupiamo di un detto biblico, che è diventato un proverbio corrente nella nostra lingua: non avere due pesi e due misure. Un peso per comprare – più grosso – e uno più piccolo, per vendere. Il trucco dei due pesi era assai comune in passato, praticato in tutti i commerci e frequentemente sanzionato da leggi o consuetudini. Nel commercio delle stoffe, in quasi tutta Europa, vigevano due prassi. Secondo la prima, il negoziante, quando comperava, faceva traslare lungo la pezza il campione di lunghezza (ad esempio, una stecca di legno), ma aveva il diritto di interporre il pollice, con la scusa di marcare meglio la fine del campione, tra la posizione finale della stecca e la nuova posizione. Usando il piede liprando, il campione “storico” di lunghezza del Piemonte (lungo 53 cm), e ammettendo che un pollice sia largo 2,5 cm, risultava un vantaggio, in lunghezza, per il venditore intorno al 9%. Secondo l’altra tradizione, disposta la pezza da misurare su un tavolo, era diritto del venditore ruotare la stecca in un piano verticale, usando come “cerniere” gli spigoli della stecca. In questo modo, ad ogni “steccata”, si guadagnava lo spessore della stecca, in pratica tra il 3 e il 5%. Altro “trucco”, sempre con le stoffe, era quello di usare “metri” opportunamente corretti, in maniera da tener conto degli effetti della “decattizzazione”, cioè del ritiro delle stoffe. Con questi metodi si poteva guadagnare qualche altro punto percentuale. Il fondamento “giuridico” di queste prassi era quello di riconoscere al negoziante un aggio, per tener conto dello sfrido conseguente ai tagli della pezza. Per millenni, in tutte le campagne europee, le tasse o gli oneri di affitto o di concessione sono sempre stati pagati in natura, solitamente grano, avena o segale, misurati a volume. Due cose erano estremamente critiche per il contadino, che doveva così pagare le tasse: il campione (solitamente un secchio cilindrico) e la tecnica di riempimento. Su entrambe interveniva la cupidigia umana. Il secchio era solitamente un cilindro di legno, un materiale che poteva usurarsi o deformarsi o essere facilmente modificato e, quindi, doveva essere saltuariamente verificato. Ogni Stato, a tal fine, disponeva di corpi di esperti: quando trovate dai robivecchi questi oggetti, verificate se, stampigliati sulle parti metalliche o impressi a fuoco sul legno, si trovino il nome del saggiatore o l’anno dell’ultima operazione. Questi campioni erano costruiti in maniera da presentare sempre un volume in eccesso, che veniva corretto inchiodando o avvitando sul fondo un pezzo di legno, opportunamente sagomato per “tarare” il volume. Frequentemente questo artefatto scompariva o veniva opportunamente limato, in modo che il contadino dovesse versare più grano per riempire il recipiente. Ma quando il recipiente poteva essere considerato pieno? Altra sorgente di molte diatribe. Il recipiente doveva essere considerato pieno “a raso”, cioè facendo scorrere un righello sulla bocca, oppure “a colmo”, cioè quando la superficie superiore aveva la forma di un cono tale che un solo chicco in più ruzzolasse per terra? E il cono doveva partire dal bordo esterno o interno del secchio? Era lecito scuotere il secchio durante la riempitura? Da che altezza poteva o doveva essere versato 4 - Paradigmi 91 il grano, in maniera da avere un assestamento uniforme? E il secchio, che poi doveva essere sollevato in maniera da versarne il contenuto, doveva avere un manico come gli usuali secchi, due maniglie, un traversino o un’asta centrale che sporgeva dal fondo e terminava in un gancio? Sterminata è la letteratura riguardante queste ultime controversie, con esperimenti e interminabili cause giudiziarie. Sembra, infatti, che la presenza dell’asta centrale, ove si versasse il grano da una certa altezza, favorisse la costipazione del grano, con vantaggio del “Signore” al quale si pagava il tributo. Questo maggior riempimento era stimato aggirarsi tra l’1 e 2%. Sono cose certo dei secoli passati ma, almeno per un millennio, queste furono le vicende in tutte le campagne di Europa, dalla Polonia alla Spagna. Chi volesse saperne di più, consulti il Kula: Le misure e gli uomini dall’antichità ad oggi, Laterza, Bari, 1987, e soprattutto il Testo: Memento du pesage, Hermann, Paris, 1946. Emina del Piemonte, costruita probabilmente nel 1700, controllata e bollata una volta all’anno. Campione usato per misurare volumi d’orzo, di grano e di prodotti analoghi. Ancora in uso nella zona d’Alba per misurare volumi di noccioline. Contiene 750 once in peso di acqua distillata. 92 Quaderno n. 4 - GMEE Misurare l’impossibile Tante volte capita di dover valutare o, addirittura, misurare una cosa e di non saperlo fare. Questo evento è più frequente di quanto non si creda: manca, ad esempio, uno strumento di caratteristiche adeguate, non si sa bene quale sia il misurando o non sappiamo a quali delle sue proprietà o conseguenze si sia realmente interessati e, quindi, ignoriamo da che parte incominciare. È chiaro che qui non parliamo delle misurazioni di grandezze della Fisica e nemmeno di quelle della percezione, legate come sono alla fisiologia ma rientranti a buon diritto nella prassi della metrologia. Ci interessiamo invece, in questi casi più difficili, ai legami sottili (ma non per questo meno reali) tra misurazioni fisiche, percezioni, sensazioni e giudizi di merito. Esempi di queste misure sono: il giudizio sulla qualità di un’autovettura dal rumore ovattato di una porta che si chiude (i costruttori di automobili lo sanno e sanno anche cosa il cliente si aspetta) o la valutazione qualitativa di una salsa di pomodoro dal suo colore, a prescindere dalle sue qualità organolettiche. Chi fa le salse lo sa, tanto che il colore viene corretto (è meglio non sapere come) secondo le indicazioni di piastrelle ceramiche opportunamente colorate, esistenti in commercio, verificate dalla Comunità Europea e comunemente in vendita da almeno una ventina d’anni. Così operando ci si avventura in un terreno minato, perché ogni risultato si presta a essere usato con risvolti commerciali, in quanto incide direttamente sull’accettazione o meno di un prodotto industriale, e quindi è necessario seguire convenzioni etiche, di sicurezza e di rispetto di norme e regolamenti. L’importanza di impressioni e giudizi opinabili è accresciuta dal fatto del notevole miglioramento della qualità dei prodotti industriali. Il potenziale cliente si trova dinanzi decine di prodotti industriali equivalenti e, quindi, scattano nella scelta meccanismi qualitativi, di carattere opinabile, comunque efficaci e frequentemente legati a valutazioni e opinioni innescate dalle conseguenze, non razionali, di un’impressione. Il problema esiste, è percepito come reale dall’industria tutta, dai fornitori di beni o di servizi e richiede uno sforzo interdisciplinare in una decisione che ha molte dimensioni, dettata prima dalla percezione umana e, poi, dall’interpretazione, sempre umana. Chi è stato allenato, come i lettori anziani di questo quaderno, nelle severe ma autosufficienti discipline della Metrologia, male si muove al di fuori del proprio orto e, peggio, si muove se deve operare in un campo nel quale le misure fisiche, la scienza dei materiali, la biologia, la psicofisica, la psicologia hanno tutte qualche cosa da dire e, soprattutto, devono interagire a pari livello con le neuroscienze, la sociologia, l’ergonomia e i giudizi di merito. Ma il problema esiste e, pertanto, è necessario uno sforzo cognitivo in più dimensioni, soprattutto per collegare le misurazioni degli attributi e delle qualità, cioè le misure che sappiamo fare alle loro interpretazioni e sensazioni indotte, in un contesto culturale che è praticato da altre comunità non costituite da ingegneri o fisici. Quindi noi ingegneri e fisici (questo è un problema non indifferente) dobbiamo liberarci dalle strutture che abbiamo assorbito praticando le misure, per imparare ad ascoltare gli altri. Per affrontare questo nuovo tipo di problemi, la Comunità Europea, nell’ambito del VI Programma Quadro, ha avviato studi per “anticipare” i nuovi aspetti della scienza e della tecnologia che stanno emergendo in Europa. In particolare, esiste un programma chiamato NEST (New and Emerging Science and Technology) entro il quale sono state 4 - Paradigmi 93 individuate delle iniziative di esplorazione, chiamate PATHFINDER. Una di queste iniziative è stata chiamata, appunto, “Measuring the Impossibile”. Per capire come avviare gli studi e cominciare a ragionare su come procedere, il 20 Ottobre 2004, a Bruxelles, è stata tenuta una riunione di una ventina di ricercatori europei, nella quale è emersa l’idea di lanciare da otto a dieci gare, con bando (uscito il 10/12/2004, EC, DG Research,), mentre per il 13 aprile 2005 è stata fissata la data limite per la presentazione di proposte. Per ulteriori informazioni si veda www.cordis.lu/next/pathfinder.htm e www.cordis.lu/path_ideas.htm, siti dai quali si accede anche al bando sul tema “La Misura dell’Impossibile”. 94 Quaderno n. 4 - GMEE Indice dei nomi A Accursio, Accorso da Bagnolo (1184-1263) 16 Alciati, Francesco (1522-1580) 16 Ampère, André-Marie (1775-1836) 57, 60 Angelotti, Ernesto (contemporaneo) 30 Augusto, Flavio Romolo (circa 459 - post 476) 15 Avogadro, Amedeo (1776-1856) 76, 78 Ayrton, Willian Edward (1847-1908) 49, 59 B Barkhausen, Heinrich Georg (1881-1956) 56 Beccaria, Giovanbatista (1716-1781) 35, 75 Biot, Jean-Baptiste (1774-1862) 60 Boella, Mario (1905-1989) 56, 70, 71 Boltzmann, Ludwig E. (1844-1906) 61, 62, 65, 78 Bonaparte, Napoleone (1769-1821) 27, 42, 43, 53 Borda, Jean-Charles de (1733-1799) 38, 52, 79 Borelli, Giovanni Alfonso (1608-1679) 64 Bosco (don), Giovanni Melchiorre (1815-1888) 54 Budde dr. E. (DE) 49 Bunsen, Robert Wilhelm (1811-1899) 47 Burel, Eugène (1817- post 1867) 47 C Carhert prof. H.S. (USA) 49 Carlini, Francesco (1783-1862) 27 Carlomagno, Carlo detto Magno (742 - 814) 54 Carnap, Rudolf (1891-1970) 56 Cartesio, Descartes René (1596-1650) 74 Cassini, Giovanni Domenico (1625-1712) 25, 26 Castelli, Benedetto (1577-1644) 32, 33 Casti, J.L. (contemporaneo) 65 Cercignani, Carlo (contemporaneo) 61, 65 Chavez A.M. (Messico) 49 Cigna, Giovanni Francesco (1734-1790) 76 Cimarosa, Domenico (1749-1801) 43 Condorcet, Jean Antoine Nicolas Caritat, marchese di (1749-1794) 38, 79 Costantino, Flavio Valerio (272-337) 15 Cromwell, Oliver (1599-1658) 9 D Delambre, Jean Baptiste Joseph (1749-1822) 52 E Egidi, Claudio 63, 65 Elisabetta I d’'Inghilterra (1533-1603) 74 Eschilo (525 a.C.- 456 a.C.) 28 Essen, Louis (1908-1997) 58, 64 Eulero, Leonhard Euler (1707-1783) 37 F Fabbroni, Francesco 79 Fabre d’Eglantine, Philippe François Nazaire (1750-1794) 38 Faraday, Michael (1791-1867) 67 Feldenkirchen, W. 65 Ferrié, General G. (1868-1932) 56 Ferraris, Galileo (1847-1897) 22, 30, 47, 49, 56, 59, 60, 61, 70, 81, 82, 87, 88 Foscolo, Nicolò Ugo (1778-1827) 36 Franchini, Pietro (1768-1837) 79 Franklin, Beniamino (1706-1790) 35, 36, 73, 75 Fubini, Guido (1879-1943) 70 G Galilei, Galileo (1564-1642) 18, 19, 20, 21, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 60, 64, 73, 74 Galilei, Vincenzio (1606-1649) 34 Indice dei nomi Galois, Évariste (1811-1832) 42 Galvani, Luigi (1737-1798) 40, 41, 44, 66 Gilbert, William (1544-1603) 38, 73, 74, 75 Giorgi, Giovanni (1871-1950) 59, 64, 65, 67 Giustiniano, Flavio Pietro Sabbazio (483-565) 16 Goethe, Johann Wolfgang von (1749-1832) 50 Granduca di Toscana, Ferdinando III d’Asburgo-Lorena (1769-1824) 34, 36 Greaves, Direttore del Post Office inglese 49 Guedj, Denis (contemporaneo) 80 H Heaviside, Oliver (1850-1925) 59 Helmoltz, Herman Ludwig F. von (1821-1894) 49, 50, 51, 59 Higman prof. A. (Canada) 49 Hospitalier prof. E. (FR) 49 Huygens, Christiaan (1629-1695) 26, 78 J Jedrzejewski, Frank (contemporaneo) 78, 80 Joule, James Prescott (1818-1889) 47, 49, 61 K Kater, Henry (1777-1835) 78 Kelvin, William Thomson (1824-1907) 59 Kohlrausch, Friedrich Wilhelm Georg (1840-1910) 51 Kuhn, Thomas Samuel (1922-1996) 56, 57, 65 L Lagrange, Giuseppe Luigi (1738-1813) 37, 38, 39, 52, 61, 76, 79, 80 Lalande, Joseph-Jérôme Lefrançais de (1732-1807) 37 Langmuir, Irving (1881-1957) 56 Laplace, marchese Pierre-Simon (1749-1827) 38, 39, 79 Lavoisier, Antoine-Laurent de (1743-1794) 38 95 Leduc, dr. S. (FR) 49 Leibnitz, Gottfried Wilhelm (1646-1716) 25 Leopoldo II, D’Asburgo-Lorena (1747-1792) 43 Licinio, Flavio Galerio Valerio Liciniano (ca. 250–325) 15 Livio, Tito ( 64 a.C.- 17) 14 Luciano di Samosata (120 circa -180 circa) 7 Luigi Filippo d’'Orleans (1814-1896) 54 Lunner dr. O. (DE) 49 M Magellano, Ferdinando (1480-1521) 23 Magrini, Luigi (1802-1868) 67 Maiocchi, Giovanni Alessandro (? - 1851 o 1854) 45 Marconi, Guglielmo (1874 - 1937) 49, 67 Maricourt, Pietro Peregrino (XIII secolo) 73 Mascart prof. E.E.N. (FR) 49 Mascart, Leon Brillouin (1899-1969) 59 Mascheroni, Lorenzo (1750-1800) 79 Massenzio, Marco Aurelio Valerio (278-312) 15 Matteucci, Carlo (1811-1868) 67 Maupertuis, Pierre-Louis Moreau de (1698-1759) 25, 26 Maxwell, James Clerk (1831-1879) 47, 56, 57, 59, 60, 61 Mayer, Julius Robert von (1814-1878) 50 Mazzoleni, Marc’Antonio (? - dopo il 1635) 32, 34 Méchain, Pierre François André (1744-1804) 52 Monge, Gaspard (1746-1818) 38, 79 Morse, Samuel Finley Breese (1791-1872) 48, 67 Multedo, Ambrogio (1753 - 1840) 79 N Newton, Isaac (1642-1727) 24, 25, 26, 37, 60 Nichols, prof. E.L (USA) 49 Nobile, Antonio (1795 circa - 1863) 29, 30 Nobili, Luigi (1784-1835) 45, 67 Nollet, Jean-Antoine (1700-1770) 72, 74 Quaderno n. 4 - GMEE 96 Nuno Garcia de Torena (attivo intorno al 1524) 23 O Occam, Guglielmo di Ockham (1280 - 1349) 55 Oersted, Hans Christian (1777 - 1851) 57, 60 Ohm, Georg Simon (1789-1854) 45, 58, 59, 67 P Paisiello, Giovanni (1740-1816) 43 Palaz dr. A. (SW) 49 Parini, Giuseppe Parino (1729-1799) 41 Paris, Marianna (moglie di A. Volta dal 1788 al 1792) 43, 44 Pascal, Blaise (1623-1662) 25, 34, 73, 74, 75 Pascoli, Giovanni Placido Agostino (1855-1912) 29 Persico, Enrico (1900 - 1969) 56 Picard, Jean (1620-1682) 25 Pigafetta, Antonio (1491-1534) 23 Pitagora (575 a.C.-490 a.C.) 62 Plana, Giovanni Antonio Amedeo (1781-1864) 27, 28, 45 Planck, Karl Ernst Ludwig Marx, detto Max (1858-1947) 78 Popper, Karl Raimund (1902-1994) 56, 65 Preece, William Henry (1834-1913) 49, 59 Priestley, Joseph (1733-1804) 75 R Riccioli, Giovanni (1598-1671) 23, 24 Romme, Gilberto (1750-1795) 38 Rossi, Teodosio (1560 circa - 1620 circa) 10 Rowland prof. H.A. (USA) 49 S Sahaulka dr. J. (Austria) 49 Sant’Agostino, Aurelius Augustinus Hipponensis (354 - 430) 54 Santorio Santorio (1561-1636) 31, 33 Santorre Conte di Santa Rosa, Annibale De Rossi di Pomarolo (1783-1825) 28 Sartori, Rinaldo (1909-1981) 70 Savart, Felix (1791-1841) 60 Schaered H. (DE) 49 Schomandl 56 Schreck, Johann, conosciuto come Terrentius (1576-1630) 34 Siemens, Ernst Werner von (1816-1892) 49, 51, 59, 60, 65 T Tabarroni, Giorgio (1921-2001) 41 Talleyrand, Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord (1754-1838) 38 Tarquinio il Superbo, Lucio Tarquinio (? - 496 a.C.) 14 Tavella, Patrizia (contemporanea) 18 Thompson prof. S.P. (UK) 49, 56 Thury prof. R. (SW) 49 Tomson prof. E. (USA) 49 Torricelli, Evangelista (1608-1647) 64, 72 Totò, Antonio De Curtis (1898-1967) 9 Touan M. de la (FR) 49 V Vallauri, Giancarlo (1882-1957) 56, 69, 70, 87 Vassalli Eandi, Antonio Maria (1761-1825) 79 Verri, Pietro (1728-1797) e Alessandro (1741-1816) 36 Violle M. (FR) 49 Viviani, Vincenzo (1622-1703) 32, 34, 64 Voigt prof K. (DE) 49 Volta, Alessandro Giuseppe Antonio Anastasio (1745-1827) 41, 42, 43, 44, 66 Volta, Luigi (fratello di Alessandro) 43 Voltaire, François-Marie Arouet (1694-1778) 26, 29, 33, 43 Volterra, Vito (1860-1940) 40 W Wheatstone, Charles (1802-1875) 46, 47, 48, 59 Weber C.E. (UK) 49 Weber prof R. (SW) 49 Wegener, Alfred Lothar (1880-1930) 58, 62, 63 Wennmann (Svezia) 49 Autore Sigfrido Leschiutta, già presidente dell’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” (IEN), è membro dell’Accademia delle Scienze di Torino e docente di ruolo al Politecnico di Torino. È nato nel 1933 e ha iniziato la sua carriera di scienziato nel 1963 all’IEN. Tra i tanti prestigiosi incarichi ricoperti in ambito nazionale ed europeo nel settore della ricerca spaziale e in particolare per la realizzazione delle scale di tempo, spiccano: membro del Consiglio Scientifico dell’ASI dal 1989 al 1995 e presidente dal 1992 al 1994; delegato nazionale al Science Programme Committee di ESA dal 1994 al 1996 e membro del Solid Earth WG di ESA; presidente della Commissione internazionale per il Tempo e la Frequenza. È stato membro del Comitato Internazionale dei Pesi e delle Misure; nell’ambito delle attività connesse a tale organismo ha firmato, a nome degli istituti metrologici primari italiani, l’Intesa di Mutuo Riconoscimento tra istituti primari di metrologia di tutto il mondo. Amplissima la sua attività didattica, nell’università, anche come coordinatore del Dottorato di Metrologia, nella Teledidattica per il Consorzio Universitario Nettuno e in molti altri ambiti. È autore di circa 200 pubblicazioni e di due libri. Come ben dimostra il quaderno da lui scritto, molteplici sono i suoi interessi culturali che spaziano dalla storia alla musica, dagli strumenti di misura antichi alla letteratura. € 14,00 ASSOCIAZIONE ITALIANA “GRUPPO MISURE ELETTRICHE ED ELETTRONICHE” L’arte della misure viene presentata in quattro capitoli, ciascuno costituito da una serie di brevi interventi, alcuni ironici, altri drammatici, sempre però scritti con grande vivacità, semplicità di linguaggio e immediatezza del messaggio che intendono proporre. È il messaggio dell’universalità delle misure, nate “a misura d’uomo” ma con valori che dal singolo si proiettano sull’umanità intera. La grande capacità di Sigfrido Leschiutta consiste nell’affrontare con allegria temi difficili, riuscendo così a farli apprezzare e comprendere. Mentre si legge con piacere la prosa scorrevole e i continui richiami ai nostri giorni e ai problemi che ci sono intorno, si apprende il cuore della storia della metrologia attraverso fatti e personaggi reali, che con lo scorrere della pagine divengono amici con i quali piace confrontarsi. Nel primo capitolo, “Gli orologi, i calendari e i satelliti”, otto quadretti storici, dalla antica civiltà cinese ai giorni nostri, presentano le tecniche più curiose inventate dall’uomo per misurare lo scorrere del tempo e per definire i riferimenti indispensabili per associare a un evento la sua collocazione nel passato. Il secondo capitolo, “La terra e le mele”, affronta in quattro quadri il tema della forma e delle dimensione della Terra, presentando quattro problemi che hanno coinvolto alcuni tra i più noti scienziati in dispute accanite e in misure geniali. Il terzo capitolo, “Personaggi”, è una gustosa galleria di figure vive, con le loro debolezze ed eroiche convinzioni, immerse nel loro tempo ma capaci di testimonianze universali. Galileo, Franklin, Lagrange, Volta, Helmoltz e molti altri sfilano davanti al lettore con tutta la loro umanità, portando ciascuno un tassello di nuova conoscenza da tramandare per costruire tutti insieme la scienza come essa è oggi. Nel quarto capitolo, “Paradigmi”, l’autore, che molti lettori già ben conoscono e apprezzano con lo pseudonimo SILE, ha cercato di riassumere la sua grande esperienza nella scienza e nella sua storia, proponendo sintetici quadri di alcuni tra gli accadimenti che hanno contribuito a trasformare il modo stesso di concepire la scienza. La lunga strada tracciata nel quaderno è arricchita da ricordi di momenti vissuti che costituiscono una preziosa testimonianza del lento progredire di istituzioni e organismi, nella scienza e in particolare nella metrologia. I QUADERNI DEL GMEE N° 4 L’arte della misura del tempo presso le cortigiane e altre curiose storie sulle misure, le istituzioni e i personaggi che hanno edificato la moderna metrologia E G E M Sigfrido Leschiutta Unità del GMEE di Torino
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