Tasso usurario: sul cumulo di interessi e competenze nel mutuo Tribunale Taranto, sez. II, ordinanza 17.10.2014 (Antonio Tanza) La problematica del possibile cumulo delle varie tipologie di interessi e competenze ai fini della rilevabilità del tasso usurario è un argomento che da qualche mese infiamma le contrapposte fazioni dei filobancari, da una parte, e dei formalisti dall’altra. Le tinte della vicenda sono le solite: nel momento in cui la giurisprudenza di legittimità applica la legge (cfr. Cass. Civ. n. 350/2013) e si intravede un’apertura favorevole ai clienti delle banche, immediatamente le note associazioni di categoria del credito, la dottrina juke-box, Bankitalia (cfr. Cass. Pen., Sez. V, Sent. n. 2683 del 19 dicembre 2011 - Pres. Esposito - Est. Chindemi) ed altri interessi si mobilitano per salvare il gran malato: il sistema bancario italiano. Ebbene, dopo la ventennale querelle sull’anatocismo, questa volta l’opera è quella di cercare di continuare a disapplicare la scomoda legge sull’usura, come ridisegnata dal legislatore del 1996. E’ bene richiamare la chiarissima normativa che si cerca di eludere. In particolare, per l'art. 644, comma 1, c.p.: “Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari [c.c. 1448, 1815], è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000”. Per l’art. 644, comma 3, c.p.: “La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari (c.d. usura oggettiva). Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria” (c.d. usura soggettiva). Il comma 4, dello stesso articolo, chiarisce: “Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”. Per l’art. 1815, comma 2, c.c.: “Se sono convenuti interessi usurari [c.p. 644, 649], la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” [c.c. 1339, 1419]. Infine, per l’art. 1. della L. n. 24/2001: “1. Ai fini dell'applicazione dell'articolo 644 del codice penale e dell'articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. Come si vede, tutte le norme parlano di interessi, commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, senza effettuare alcuna distinzione: in altre parole, è la pattuizione economica, complessivamente considerata, ad essere o non essere usuraria al momento della stipula. Non può sfuggire come la norma precisi anche che la sanzione viene comminata a chiunque si fa dare o promettere “... sotto qualsiasi forma ...” ed “... a qualsiasi titolo ...” come corrispettivo degli interessi (o altri vantaggi) usurari. Non è dato vivisezionare la volontà usuraria: la pattuizione economica o è usuraria o non lo è. Certo, va vista in concreto la formulazione del contratto al fine di verificare se le parti abbiano inteso applicare solo uno spread al tasso degli interessi corrispettivi in caso di mancato pagamento, oppure abbiano stabilito che, oltre agli interessi corrispettivi, siano dovuti degli interessi di mora determinati secondo un calcolo autonomo. Non va neppure trascurata l'ampiezza dello spread normativo da applicare ai tassi medi per estrarre il tasso soglia (recentemente aumentato, a beneficio del ceto bancario), comprendendo così tutti gli interessi, commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, a qualunque titolo pattuiti, che devono essere considerati come un dato unico da raffrontare al tasso soglia. Tuttavia, non può sfuggire come, in un particolare momento dello svolgimento del mutuo, vengano, sempre e comunque, a sommarsi fisicamente l’interesse corrispettivo con quello di mora: infatti, nel momento in cui il cliente si arretra nel pagamento anche di una sola rata di mutuo, prima ancora della comunicazione di perdita del beneficio del termine (cfr. art. 1186 c.c.), avviene che a quella rata, come quantificata nel piano di ammortamento (quota capitale più interessi), vengano applicati anche gli interessi di mora. Mentre solo dopo la comunicazione della perdita del beneficio del termine intimata dalla banca, la stessa richiede l’immediato pagamento della residua sorte capitale, oltre agli interessi di mora. La questione, pacificamente riscontrabile nella pratica, è, a volte, prevista perfino negli stessi contratti standardizzati ove si conviene: “Nel caso di ritardo nel pagamento di ogni importo dovuto per capitale, interessi e accessori, come pure nel caso di decadenza dal beneficio del termine….. decorreranno immediatamente a favore dell’Istituto interessi di mora, calcolati, per il numero di giorni effettivamente trascorsi e sulla base di un anno di trecentosessanta giorni…” Quindi, non vi è ombra di dubbio che ci sia cumulo di interessi corrispettivi con gli interessi di mora, anche per le rate scadute. Insomma, la scorporazione dell’interesse corrispettivo dal capitale avviene solo a seguito della perdita del beneficio del termine da parte del cliente e non prima, dove avviene la sovrapposizione dei due interessi. Bisogna fare particolare attenzione alla questione, in quanto, la finalità è quella di evitare un'interpretazione abrogativa della legge n. 24/2001 che, palesemente, considera cumulativamente i vantaggi a qualunque titolo e sotto qualsiasi forma pattuiti in favore del mutuante. Se per taluna giurisprudenza è pacifico che gli interessi corrispettivi implicano la regolare esecuzione del rapporto e rappresentano il corrispettivo del prestito, mentre gli interessi moratori assolvono ad una funzione risarcitoria forfetizzata e preventiva del danno da ritardo nel pagamento di una somma esigibile, bisognerebbe, di conseguenza, sostenere l’esclusione dei tassi di mora dal calcolo dell’usura, in quanto solo eventuali e riconducibili al futuro inadempimento. Ed invece, detta giurisprudenza, enuncia che i tassi di mora sono assoggettati (se considerati separatamente) alla disciplina di cui agli artt. 644 c.p. e 1815 c.c.; mentre, se sommati ai tassi corrispettivi, sono assoggettati alla normativa solo per la parte che superi il tasso soglia. Nell’ipotesi di somma, che è quella tipica (almeno della prima rata non pagata), secondo questa giurisprudenza, la parte degli interessi corrispettivi andrebbe pagata, mentre quella relativa agli interessi di mora, no. Si tratta, però, di una “scomposizione” dell’obbligazione usuraria in aperta violazione al dettato normativo di cui all’art. 1815, comma 2, c.c., che ha una chiara funzione punitiva laddove prevede che “non sono dovuti interessi” – e cioè tutti gli interessi, non effettuando alcuna distinzione tra interessi corrispettivi e moratori, sono indebiti - e la “clausola è nulla”. Parlare di nullità parziale della clausola usuraria è veramente contra legem: è come parlare di nullità parziale della prestazione sessuale con una prostituta o di una rapina, parzialmente lecita. Ovviamente la nullità di una singola clausola implica la conservazione del contratto (c.d. principio di conservazione degli atti giuridici) ai sensi dell’art 1419 c.c. La banca è una professionista del credito e quando plasma, unilateralmente, le condizioni contrattuali ha la piena visione e consapevolezza del contratto, o meglio della massa dei contratti che promuove e sottopone all’utenza: detta consapevolezza involge l’intero contenuto delle clausole contrattuali create da analisti, tenuto conto della percentuale statistica dei contratti che andranno in mora e che “produrranno” più interessi (illeciti), compensando un’apparente convenienza degli interessi corrispettivi, stabilendo delle condizioni economiche che, spalmate su un certo numero di contratti, assicurino all’istituto, comunque, la massimizzazione del reddito. Sarebbe offensivo pensare che la banca promuova e negozi il singolo contratto con l’utente: si tratta di disegni economici complessi creati da ingegneri del credito, dove nulla è rimesso al caso. La pattuizione contrattuale è standardizzata e, dunque, unitaria e se è illecita, fa parte di un unico disegno criminoso: non vi è un mutuo usurario, ma vi sono una serie di mutui usurari ben individuati in capo a determinate “partite” di contratti diffusi nel territorio, da determinati istituti. Non diversamente per quanto è accaduto per la vendita selvaggia di derivati: sarebbe puerile affermare la singolarità del contratto, ancora più assurdo pensare che vi siano clausole parzialmente valide nell’ambito dell’imposizione economica bancaria, specialmente se penalmente rilevanti. Non è possibile in un contratto usurario frammentare la condotta lecita da quella illecita: all’usuraio va restituito il solo capitale, mentre l’interesse va totalmente soppresso avendo la normativa penale, ma anche quella civilistica, una funzione punitiva. In linea con i principi delineati dalla Corte di legittimità - ed ecco perché non ci dilunghiamo nell’esposizione degli stessi- è certamente il Tribunale di Agrigento, con l’ordinanza 28 marzo 2014, poi richiamata e confermata con esemplare motivazione dal Collegio dello stesso Tribunale, con ordinanza 8 agosto 2014 (ma si veda ex multis G.I.P. di Torino - Ordinanza 10 giugno 2014, Tribunale di Parma Ordinanza 14 luglio 2014, Tribunale di Roma - Ordinanza 22 luglio 2014, in http://www.studiotanza.it/). Seppur parzialmente criticabile, per i motivi innanzi esposti, è l’Ordinanza del Tribunale di Taranto che, tuttavia, ritiene assoggettati alla sanzione prevista per l’usurarietà anche gli interessi di mora. Infatti, la pattuizione di tassi corrispettivi superiori al tasso-soglia se integra un reato, oltreché necessariamente un illecito civile, non si vede perché non debbano sottostare alla stessa sanzione, od anche solo a quella di natura civilistica, quelli moratori. (Altalex, 14 novembre 2014. Nota di Antonio Tanza) / usura / banche / tasso usurario / mutuo / interessi / Antonio Tanza / Tribunale di Taranto Sezione II Ordinanza 17 ottobre 2014 REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI TARANTO - II SEZIONE In composizione monocratica, dott. Claudio Casarano Ha pronunziato la seguente ORDINANZA EX ART. 702 BIS nella causa civile iscritta al n. 2126 R.G. anno 2014 Affari Civili Contenziosi promossa da: ................ - rappresentato e difeso dall’avv. .............; CONTRO ..................... , in persona del legale rappresentante – rappresentata e difesa dall’avv. .............. ; OGGETTO: "Contratti bancari…” Conclusioni: le parti rassegnavano quelle in atti e qui da intendersi riportate. MOTIVI DELLA DECISIONE IL FONDAMENTO DELLA DOMANDA Il sig. ....., con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato in data 17-03-2014, affermava di aver stipulato con la Banca.......... S.p.A. in data 09-06-2010 un mutuo ipotecario a tasso variabile, finalizzato all’acquisto della prima casa, per l’importo di euro 140.000,00. Veniva previsto il rimborso del capitale e degli interessi in 360 rate mensili, ad un tasso variabile predeterminato nelle modalità di sua individuazione. L’istante aggiungeva che il costo complessivo dell’operazione a carico del mutuatario, espresso in percentuale annua (T.A.E.G. – I.S.C.), veniva determinato al momento della stipula nel tasso del 2,47%; mentre il tasso di mora veniva determinato nella misura del 1,569%, da aggiungersi però al tasso convenzionale applicabile al tempo della mora. Sosteneva il ricorrente che il tasso di mora al momento della stipula del mutuo risultava pari al 4,039% e quindi superava il tasso soglia di riferimento allora vigente del 3,945%; analogo superamento si aveva con riguardo alla data di scadenza della prima rata. Il ricorrente precisava che il pagamento delle rate intanto avveniva regolarmente. A dire della difesa istante la pattuizione di interessi moratori in misura superiore al tasso – soglia doveva andare incontro alla sanzione prevista dal combinato disposto ex art. 644 c.p. ed art. 1815, II co., c.c., ossia non doveva essere applicato alcuna forma di interesse; quindi anche quello di natura corrispettiva pattuito e corrisposto regolarmente dal mutuatario doveva considerarsi illecito e quindi indebito. A sostegno della domanda proposta la difesa istante ricordava il disposto ex art. 1 del d.l. n. 394, conv. nella legge n. 24 del 2001, secondo il quale si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento. Come faceva supporre l’espressione utilizzata dalla legge, “a qualunque titolo”, dovevano farsi rientrare nel suo campo di applicazione anche gli interessi moratori. E siffatto esito interpretativo, ricordava la difesa istante, trovava l’avallo nella sentenza della Corte Costituzionale n. 29 del 2002 oltre che nella giurisprudenza della S.C. (ad esempio Cass. n. 350 del 2013). Il ricorrente concludeva quindi perché la banca fosse condannata alla restituzione della somma di euro 12.372,70, ossia al totale degli interessi convenzionali già versati, oltre quelli che nel frattempo sarebbero stati versati fino all’esito del giudizio. LA DIFESA DELLA BANCA In primo luogo escludeva l’avvenuto superamento del tasso - soglia ed in ogni caso escludeva che gli interessi moratori potessero sommarsi a quelli convenzionali per verificare il rispetto del tasso soglia, specie quando, come nel caso in esame, avevano trovato applicazione i soli interessi corrispettivi, posto che il mutuo aveva avuto regolare esecuzione. Alla prima udienza del 08-10-2014 la causa, potendo essere decisa allo stato degli atti, veniva riservata per la decisione. NON È LA SOMMATORIA DEGLI INTERESSI CORRISPETTIVI E MORATORI AD ESSERE VIETATA, MA L’AUTOMATICA APPLICAZIONE DELLA SANZIONE PREVISTA PER I SECONDI AI PRIMI Deve considerarsi fallace il ragionamento giuridico posto a base della domanda, sotto il profilo della incongruenza logico - giuridica tra premessa e conclusione. L’argomentare della difesa istante può tradursi nel seguente sillogismo: siccome la legge considera usurari gli interessi pattuiti a qualunque titolo ed a prescindere dal loro pagamento, consegue che gli interessi moratori, se superiori al tasso - soglia, implicano la sanzione dell’illiceità anche degli interessi corrispettivi. Appare evidente il salto logico - giuridico tra premessa e conclusione. La premessa può essere condivisa, nel senso di ritenere assoggettati alla sanzione prevista per l’usurarietà anche gli interessi di mora: se può integrare addirittura un reato – oltre che un illecito civile - la pattuizione di tassi corrispettivi superiori al tasso – soglia, non si vede perché non debbano sottostare alla stessa sanzione, od anche solo quella di natura civilistica, quelli moratori. E sarebbe proprio questa la valenza normativa dell’espressione a qualunque titolo utilizzata dal legislatore. Non può invece autorizzarsi la estensione automatica della sanzione applicabile per il tasso moratorio anche al tasso corrispettivo. Tanto per la semplice ragione che si tratta di istituti aventi diversa causa e che non necessariamente dall’invalidità dell’uno deriva anche quella dell’altro: gli interessi moratori assolvono ad una funzione risarcitoria forfetizzata e preventiva del danno da ritardo nel pagamento di una somma esigibile; quelli corrispettivi implicano la regolare esecuzione del rapporto e rappresentano il corrispettivo del prestito. Non c’è insomma tra i due istituti un rapporto di presupposizione necessaria, quale implicata dalla costruzione giuridica della difesa istante. L’INDIVIDUAZIONE DEL CORRETTO CRITERIO INTERPRETATIVO: NULLITÀ PARZIALE DELLA CLAUSOLA DI PREVISIONE DEGLI INTERESSI MORATORI EX ART. 1419 C.C. Deve muoversi dalla genesi del rapporto, ossia da quanto statuito dalle parti in tema di interessi moratori: occorre cioè prendere le mosse naturalmente dal fatto ed individuare la corrispondente regula iuris. In altri termini bisogna avere riguardo al rilievo che gli interessi moratori venivano regolati da una clausola contrattuale; quindi a ben vedere si disputa di eventuale nullità della stessa per contrasto con norma imperativa. Ai sensi dell’art. 1419, I co., c.c., la nullità di una clausola contrattuale solo quando sia stata motivo determinante del contratto può implicare la sua totale invalidità. Come a dire che in linea di principio la nullità di una singola clausola implica la conservazione del contratto (c.d. principio di conservazione degli atti giuridici) e quindi anche di altra clausola che regola un fatto diverso. Analogamente la nullità della clausola che contempla gli interessi moratori non può implicare la nullità di quell’altra clausola che contempla gli interessi corrispettivi. Dunque anche se dovesse risultare nulla, per superamento del tasso – soglia, la clausola che contempla l’interesse moratorio, a ben vedere la regola giuridica corretta è nella direzione opposta di quella prospettata dalla difesa istante: la conservazione della diversa clausola che contempla il tasso corrispettivo. Nel caso di specie peraltro la clausola che contemplava il tasso corrispettivo trovava regolare esecuzione – cioè il mutuatario pagava per tempo - e quindi al più si sarebbe potuta dare la sola eventualità della nullità (virtuale) della clausola che contemplava l’interesse moratorio. Ma anche nell’ipotesi in cui vi sia un ritardo nella corresponsione degli interessi corrispettivi e la banca abbia preteso in sua vece quello moratorio, rivelatosi usurario, la sanzione non potrebbe colpire anche il tasso corrispettivo; tanto, oltre che per le ragioni sopra spiegate, perché ai sensi dell’art. 1224, I co., c.c., in caso di mancata espressa pattuizione, come interesse di mora dovrebbe applicarsi quello corrispettivo lecito. In altri termini mancando un’apposita norma che disponga l’estensione della sanzione della nullità del tasso di mora usurario anche a quello corrispettivo (non usurario per definizione), quest’ultimo si conserva. Tale conclusione è poi in linea con il principio della tassatività delle nullità ex art. 14 delle Preleggi; senza contare che la presenza del disposto ex art. 1224, I co., c.c., laddove prevede in particolare che in mancanza di tasso di mora si applica quello corrispettivo o legale, rendeva oltremodo necessaria l’espressa sanzione del tasso corrispettivo in caso di usurarietà del solo tasso moratorio (anche se un simile rigore normativo non si sarebbe forse neanche spiegato razionalmente). Trattandosi di questione nuova, che peraltro ha trovato pure riscontro in qualche pronunzia di merito favorevole, è giusto che le spese del processo siano compensate integralmente. P.T.M. Definitivamente pronunziando sulla domanda proposta, con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., dal sig. ..... nei confronti della Banca .......... S.p.A., rigettata ogni altra domanda ed eccezione, così provvede: Rigetta la domanda e compensa le spese del giudizio. Il giudice dott. Claudio Casarano ( da www.altalex.it )
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